il Fatto Quotidiano, 3 marzo 2022
Intervista a Luciano Canfora
Luciano Canfora – storico, filologo, professore dal lunghissimo curriculum, autore prolifico sia per il sacro (l’accademia) che per il profano (noi), oggi emerito all’Università di Bari – ha il guaio dell’autorevolezza nell’epoca buia del pensiero unico. Un cortocircuito non nuovo, acuito in questi giorni dall’emotività suscitata dall’invasione russa in Ucraina. Lo chiamano in tivù per parlare della storia dell’Ucraina e poi, se poco poco esprime un’opinione dissonante o anche solo laterale, lo tacciano (quando va bene) di veterocomunismo nostalgico. Non sarà invece che è il “luogocomunismo” il problema del dibattito? La prima risposta del professore è questa: “Premessa: quella in corso è una guerra tra potenze. Le guerre tra potenze non sono ideologiche. Le persone dotate di pensiero critico hanno il diritto di farsi delle domande. E chiedersi se una potenza ha provocato l’altra”.
Questa affermazione, conoscendo l’italiano, non dovrebbe tradursi in un appoggio alla Russia di Putin.
Esatto: dire questo non significa schierarsi, significa fare un’analisi. Solo gli stupidi dicono che gli ex comunisti, o i tuttora comunisti, sono automaticamente filorussi o antiamericani. È un pensierino da gallina, se le galline non si offendono dato che oggi si offendono tutti. Quello che rivendico è la possibilità di osservare e analizzare lucidamente i fatti per come si sono succeduti. Da quando è caduta l’Urss il metodo dell’Occidente è stato demolire tutto il blocco ex sovietico, pezzo per pezzo, facendo avanzare minacciosamente il confine della Nato fin sotto Pietroburgo. Questo è accaduto, perché la Russia è l’unica altra potenza che ha un deterrente atomico pari a quello americano. Aggiungo che in Siberia c’è uno dei giacimenti di terre rare – cioè minerali preziosi e, appunto, rari – più importanti del mondo e quindi ovviamente fa gola.
Perché non si tollerano analisi e posizioni diverse?
Nessuno è più intollerante dei cosiddetti liberali. A questo proposito mi torna alla mente una felice battuta di Gabriel García Márquez che una volta parlò di “fondamentalismo democratico”. Sembra un ossimoro, eppure è ciò con cui ci confrontiamo ogni giorno. L’intervista al grande scrittore colombiano, cui mi riferisco, apparve su un giornale certamente non “ultrasinistro” come la scalfariana Repubblica.
In Italia esiste ancora un movimento pacifista?
Sì, ma lo vorranno ridimensionare perché non è aria. Ma torniamo sul problema delle responsabilità. Della guerra del 1914 ebbero responsabilità tutti, ma nei Paesi che poi furono vincitori si accusarono gli imperi centrali: perché persero. Fu anche quella una guerra di cui tutti ebbero colpa, a partire dall’Inghilterra che la volle fortissimamente (come recita il titolo di un celebre libro) e infatti la ebbe. Nel momento in cui si entra in guerra, arriva sempre (sempre!) il momento in cui si denuncia il “nemico interno”. Ricordiamo il “taci, il nemico ti ascolta”, collocato persino nei bar: i fascisti non inventarono nulla. Ma, a proposito di ossimori, l’intolleranza, quando è supportata dal pensiero liberale, è ancora più intollerante.
Nel ’14 gli interventisti hanno avuto, in gran parte, il buon gusto di arruolarsi. I commentatori che oggi auspicano un intervento armato non sembrano intenzionati a sperimentare in prima persona la linea del fronte.
È probabile, ma questa isteria è talmente volgare che passa anche la voglia di discutere. Qualche giorno fa al Tg2 il ministro Daniele Franco escludeva con toni perentori l’eventualità di un blocco del sistema Swift. Poi Biden ha dettato la linea – “sanzioni o terza guerra mondiale” – e tutto è cambiato. Ma queste cose si possono dire, o no?
C’è un vaccino all’incapacità di sopportare un pensiero critico?
Non lo so. Chiedo, piuttosto, razionalità e possibilità di verificare i fatti. Ricordiamo il bel libro di Marc Bloch, La guerra e le false notizie. E Bloch in guerra ci era andato davvero! False notizie pullularono anche all’epoca del conflitto nei Balcani. Ne abbiamo viste molte. La coniugazione televisiva tra immagini e parole è perfetta per creare falsi. Ci indigniamo a giorni alterni. Vuole un esempio? Al Sisi. Non è un dittatore? Il suo regime non processa Zaki? Non ha ucciso Giulio Regeni? Eppure, a parte qualche stilettata di prammatica, abbiamo e coltiviamo intensi rapporti con l’Egitto. Ci dicono ora che avremo il gas dall’Algeria: il governo militare algerino mise fuori legge, a suo tempo, il partito che aveva vinto le elezioni (esattamente come ha fatto Al Sisi in Egitto). Evviva i modelli di democrazia con cui facciamo affari!