Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  marzo 03 Giovedì calendario

Umberto Tozzi compie 70 anni e si racconta

Umberto Tozzi, domani è il suo compleanno: che effetto fanno 70 anni e più di 80 milioni di dischi venduti? 
«Invecchiare non mi ha mai fatto piacere, ma sono contento della carriera che ho avuto e il vantaggio di essere musicista è che il palco ti fa dimenticare l’anagrafe. Sto finendo il tour con Raf con dispiacere, perché mi sono divertito tanto». 
Il primo grande successo è «Ti Amo». Era il 1977 e poi l’ha cantata Berlino nella «Casa di carta 4», la serie tv più vista al mondo. Mentre «Gloria» l’ha voluta Martin Scorsese in «The wolf of Wall Street». Perché certi suoi brani funzionano nel tempo e anche all’estero? 
«Forse perché ascoltavo i Beatles e la musica anglosassone e ho assorbito quella metrica. Per me, vale più il suono che la parola, ci sono frasi che stanno lì perché boh, ma suonano. Fui il primo a farlo e Lucio Battisti disse che, dopo di lui, l’unica cosa nuova era la mia musica». 
Tozzi bambino sognava di diventare cantante? 
«No, calciatore. Sono nato a Torino, mamma casalinga, papà guardia notturna per mantenere tre figli e dopo aver vissuto due guerre. Stavamo in cinque in una camera e cucina, io vivevo per strada. Poi, imbracciai per caso una chitarra e cominciai a uscire non per giocare a pallone ma per suonare sulle panchine. Dopo, ho fatto per anni il chitarrista freelance, mangiando panini, ospitato a Milano a turno da amici musicisti. Ero timido e mi vergognavo della mia voce. Quando scrissi delle canzoni con Giancarlo Bigazzi e il produttore Alfredo Cerruti mi chiese di cantarle, non volevo saperne». 
Cantare quando cominciò a piacerle? 
«Ho iniziato a capire che la mia voce dava emozioni solo una ventina d’anni fa e, da allora, me la sono goduta». 
Eppure, spopolava. 
«Soprattutto all’estero. Ho fatto tournée ovunque nel mondo, eccetto in Oriente: sono stato in aereo più io che un pilota di Alitalia. E ho vissuto l’emozione di vedere grandi artisti cantare i miei brani, come Laura Branigan con la cover di Gloria. E cantare Ti amo con Anastasia mi ha fatto quasi piangere». 
Solo «quasi»? 
«Pensi che quando nell’82 vinsi il Golden Globe, manco volevo andare a ritirarlo. Mi commuovono di più altre cose: l’amore, il mio cane...». 
Del Sanremo vinto nell’87 con Gianni Morandi, Enrico Ruggeri e «Si può dare di più» che ricorda? 
«Che fu splendido perché c’era un rapporto strettissimo: eravamo insieme nella Nazionale cantanti. Mogol e poi Morandi facevano giocare solo quelli che vendevano di più anche se a pallone erano schiappe, ma io sono stato capocannoniere per 12 anni». 
Neanche allora i critici le diedero tregua: amavano di più i cantautori impegnati. 
«Non sopportavano che vendessi milioni di copie. Ci provavo a spiegare che non erano solo canzonette per un’estate al mare, poi, la verità l’ha dimostrata il tempo».  
Come festeggia i 70 anni? 
«Con un concerto in Belgio ad aprile e altri all’estero, con un tour quest’inverno nei teatri delle grandi città, fra cui, Torino, Milano e Roma. E Sugar ha rilevato il mio repertorio e porterà cose belle sul mercato che non posso dire». 
Come nasce una canzone? 
«Il talento sta nell’avere l’ispirazione per tre accordi forti, poi, la canzone mi viene in massimo tre ore. Sono pure pigro. Anni fa, dovevo scrivere con Mogol. Mi disse: però io non lavoro più di due ore al giorno. E io: io anche meno!». 
Se lavora così poco, cosa fa tutto il giorno? 
«Prima, giocavo a calcio, poi a tennis. Ora, avendo problemi al ginocchio, nuoto. Per il resto, faccio la spesa, cucino, mi piace, ho tre nipoti». 
Quali suoi brani ama di più? 
«Quelli del Grido, un grande insuccesso del ’96. Dentro ci sono testi che mi rappresentano moltissimo. E anche tanto attuali: le “facce di angeli luridi” sono i politici che si nascondono dietro la faccia d’angelo. E c’è E ti voglio, dedicata a mia moglie Monica. Dice: forse un paradiso e io voglio viverlo con te». 
L’ha incontrata nell’86, l’ha sposata tre volte, in Comune nel ’95, in chiesa l’anno dopo e poi a Mauritius. 
«Se n’è aggiunta una quarta, a Montecarlo, dove abbiamo sempre vissuto coi nostri due figli. E vorrei risposarla ancora, ma per convincerla devo trovare una location che la possa stimolare».