Corriere della Sera, 3 marzo 2022
Quel mondo che tifa per Putin (e odia l’America)
Per avere un punto di vista diverso dal nostro sulla tragedia ucraina, si può leggere Ma Xue, ricercatore al China Institute of Contemporary International Relations, think tank legato all’intelligence di Pechino. «La Russia – scrive l’esperto cinese di geopolitica – si è adattata dal 2014 per sopravvivere a dure sanzioni finanziarie. L’America e i suoi alleati europei finiranno per subire i danni dal loro sostegno all’Ucraina. La Russia seminerà odio e sabotaggio della Nato. L’emergenza profughi metterà in crisi l’unità degli europei».
Più Vladimir Putin ci appare in difficoltà in Ucraina, più si addensano gli interrogativi sui piani della Cina nei retroscena di questa aggressione. Quando i due leader s’incontrarono il 4 febbraio alle Olimpiadi di Pechino, Xi Jinping diede il suo via libera all’invasione? Se è così, bisogna capire qual è il tornaconto di Pechino. Quale ruolo si sceglierà nel nuovo mondo economico-finanziario disegnato dalle durissime sanzioni occidentali contro Mosca? È possibile che decida di prendere le distanze dall’aggressione, come spera il presidente Zelensky quando invoca una mediazione cinese nel conflitto? O invece siamo di fronte alla realtà di un vero e proprio Asse, con cui l’Occidente dovrà fare i conti a lungo?
Solo la Cina ha forza economica e influenza politica tali da poter offrire una via d’uscita al leader russo. Che Xi abbia deciso di abbracciare la teoria dell’accerchiamento di Putin, è chiaro dal comunicato congiunto che i due firmarono ai Giochi invernali un mese fa. Spiccava la condanna dei «cinque consecutivi allargamenti della Nato», e l’insistenza sulle «legittime richieste per la sicurezza russa». Con un summit così visibile, seguito dall’aggressione all’Ucraina non appena la tregua olimpica si è chiusa, Xi si è legato all’immagine di Putin. Ha sbagliato i calcoli?
Nell’immediato la Cina incassa un danno economico. Ha interessi importanti in Ucraina, di cui era diventata il principale partner commerciale lungo quelle Vie della Seta che si espandono nei Balcani e puntano su Trieste. Il governo di Pechino ha dovuto evacuare 2.300 concittadini. Sulle sanzioni, nel breve termine la Repubblica Popolare è attenta a non diventare una vittima collaterale: ha sospeso per cautela gli acquisti di carbone russo, per evitare che le banche cinesi intermediarie possano finire nel mirino degli americani. Seconda economia mondiale, con un attivo della bilancia commerciale pari a 676 miliardi di dollari, la Cina non vuole guastare i proficui rapporti che ancora intrattiene con noi. Però approfitta di questa crisi per collaudare un ordine finanziario alternativo al nostro. Pechino ha già un sistema parallelo per i pagamenti interbancari (Cross Border Inter-Bank Payment System o Cips), che aggira ogni genere di sanzioni internazionali. È ancora piccolo, gestisce solo il 5% delle transazioni mondiali, ma sta crescendo. Nelle riserve della banca centrale russa il renminbi cinese ha quasi raggiunto il peso del dollaro. È vero quel che si osservava per le vie di Mosca nei giorni scorsi: nell’assalto ai bancomat la gente voleva dollari o euro, non renminbi. Ma un’economia sempre più autarchica come quella russa dovrà assuefarsi anche alle banconote con la faccia di Mao. Il gas russo ha già nuovi contratti di forniture a Oriente per compensare in futuro il blocco di Nord Stream 2.
Il vero vantaggio di lungo termine per Xi Jinping è strategico. Con l’invasione dell’Ucraina Putin ha creato un formidabile diversivo che risucchia l’America verso il Vecchio Continente, la costringe a dirottare risorse verso un teatro che la dottrina Biden considerava ormai secondario. Stravolgere le priorità americane, catturare l’attenzione del grande rivale in Europa anziché nell’Indo-Pacifico, è un beneficio inestimabile che Xi Jinping saprà capitalizzare, a Taiwan o altrove.
Nel nuovo Asse il binomio Cina-Russia è meno isolato di quanto appaia in Occidente. La mozione Onu di condanna dell’aggressione ha avuto sì 141 voti, ma anche cinque no e 35 astensioni. Nell’elenco degli astenuti oltre alla Cina figurano India e Pakistan: tutti insieme fanno tre miliardi di abitanti. Un indizio su cosa mai può unire due nemici giurati, India e Pakistan: l’acquisto di armi made in Russia. Colpisce pure l’astensione degli Emirati Arabi Uniti, forse il prossimo rifugio per i capitali degli oligarchi banditi da Londra e Zurigo. La Turchia, membro della Nato, non aderisce alle sanzioni economiche. L’Occidente è compatto ma l’Occidente non è tutto. Vista da Pechino o Delhi, da Karachi o dal Golfo Persico, è meno chiaro che questa crisi sia inequivocabilmente disastrosa per Mosca. E non è solo la realpolitik degli autocrati che crea zone di tolleranza verso Putin. I social media cinesi traboccano di risentimento anti-occidentale, e solidarietà verso Mosca.