Dagospia, 2 marzo 2022
Storia del rapporto tra Venditti e De Gregori
Il Principe e Cicalone, storia di un’amicizia mitizzata diventata concerto. De Gregori e Venditti, gli opposti che si ritrovano per sommare il pubblico dell’uno e quello dell’altro e trasformare l’appuntamento in evento (sennò gli stadi come li riempi?). È la ricetta di Friends and partner, la multinazionale della musica italiana, che ha sotto contratto la quasi totalità degli artisti nazionali, ne dispone e ne organizza la vita (artistica), spesso giocando sulla mozione dei ricordi con la suggestione degli incontri e delle rimpatriate, delle amicizie ritrovate e delle associazioni impensabili (come quando Francesco cantò all’Arena di Verona con Fedez e Checco Zalone).
Così, alla fine, l’azienda guidata da Ferdinando Salzano è riuscita a mettere insieme quel tour che Il Principe (soprannome firmato Dalla) e Cicalone (definizione di Guccini) non fanno da cinquant’anni. Non l’hanno fatto perché non ne avevano voglia, perché sono artisti distanti, autori e cantanti agli antipodi, caratteri opposti, romani diversi (Monteverde uno, quartiere Trieste l’altro). Timido, schivo, aristocratico il primo, esuberante, viscerale e popolare il secondo.
Interprete intimo uno, “ugola di tungsteno” (così l’aveva battezzato Lilli Greco, mitico produttore della Rca) l’altro. Si sono beccati, probabilmente si sono detestati, hanno fatto pace davanti ai riflettori, ma chissà perché hanno continuato a essere associati in una retorica immaginaria dell’amicizia che parte da lontano.
Ragazzi del Folkstudio, lo sghangherato e fascinoso locale di via Garibaldi, luogo dell’esordio sul finire degli anni Sessanta (con un quartetto battezzato I giovani del Folkstudio assieme a Giorgoo Lo Cascio e Ernesto Bassignano), debuttanti con un primo album, Theorius Campus, firmato assieme per una contingenza più che per un’urgenza musicale: la casa discografica, non volendo rischiare, aveva concesso di fare mezzo disco a testa, metà Venditti e metà De Gregori.
E, dal caso, sbucarono due canzoni fatte a quattro mani e due voci. Eppure Theorius Campus è passato alla storia come prova di un indissolubile legame artistico, continuamente evocato, mantenuto in vita, raccontato, alimentato dalla romanità, dalla fede romanista e dal rimando a quei primi passi comuni al Folkstudio sotto l’ala di Giancarlo Cesaroni, il chimico patron del locale di via Garibaldi e poi di via Sacchi.L’unico vero tour congiunto, i due ragazzi, l’avevano fatto qualche mese prima, anche questo per caso: un viaggio della Federazione giovanile comunista in treno in Ungheria (compenso per aver registrato su richiesta di Nanni Loy la musica di uno special televisivo magiaro).
Antonello aveva preso il posto Claudio Lo Cascio, che aveva rinunciato alla spedizione perchè si doveva sposare. La storica collaborazione artistica, dopo il disco, si esaurisce rapidamente con la coda di uno di quei tour multipli che servivano a lanciar più artisti emergenti (con loro c’era Riccardo Cocciante).
Theorius Campus segna il lancio di Antonello con due canzoni potenti e popolari, Roma Capoccia e Sora Rosa, e fa da spartiacque a due carriere separate, a volte antagoniste. Le differenze li allontano e suonano evidenti in quelle due canzoni comuni dell’album, con «l’ugola di tungsteno” di Venditti che sommerge la voce intima di De Gregori.
Il successo crea un solco: uno diventa il campione di una canzone d’autore popolare, l’altro è il paladino di una canzone dal gusto aristo-snob. Arrivano anche a lanciarsi frecciate musicali a distanza: “è un pianista di piano bar vende a tutti tutto quel che fa” canta Francesco nel brano conclusivo di Rimmel, il disco che sblocca la sua storia.
Anni dopo Antonello si leva il macigno, riferendosi all’amico racconta in una intervista a Mollica: “Quante me ne avete fatte negli anni ’70. Quando De Andre’ si accorse di te, io rimasi solo, col mio linguaggio meno forbito, ma ugualmente forte e colto. Venivate a rovinare le presentazioni dei miei dischi. Al Teatro Gerolamo io presentavo ’Quando verra’ Natale’ e tutto andava per il meglio quando siete arrivati voi con Nanni Ricordi e vi siete messi a fare casino, mandando via la gente. Io mi arrabbiavo come una bestia e pensavo: ’ma questi due fighetti, che vogliono?’’.
Nel ‘96, un quarto di secolo dopo Theorius Campus, improvvisamente si ritrovano, in occasione della campagna elettorale dell’Ulivo per le elezioni politiche. “Stamattina ho telefonato a Francesco e gli ho chiesto se gli andava l’idea di esserci per un saluto a Veltroni. Mi ha richiamato e mi ha detto: sì Antonello, ma se ci andiamo cantiamo insieme”, la ricostruzione di Venditti. Si esibiscono a piazza Vittorio, due soli pezzi, Roma Capoccia e Viva L’Italia, quanto basta per riaccendere la retorica dei cantautori riuniti.
Invece finisce con le due canzoni per l’Ulivo e i giornali che continuano a sognare sulla ritrovata amicizia. Sette anni dopo un altro vagito, la canzone ’’Io e mio fratello’’, che esordisce così: “Sono Antonello e questo è mio fratello/ Il mio miglior nemico/Il mio peggiore amico”.
In quell’occasione Francesco chiede pubblicamente scusa a Antonello, rivelando comunque il solco scavato: ’’Antonello, ho fatto un grandissimo errore e chiedo scusa. Ti devo confessare che quando hai scritto l’inno della Roma, sono rimasto spiazzato in modo anche spiacevole, da cantautore impegnato con la puzza sotto il naso, da cantautore col Kappa. Invece quella canzone e’ una straordinaria canzone. La canto in certi momenti formidabili della Roma, come si fa a non cantarla’’’.
Il miglior nemico e il peggior amico si ignorano o quasi per altri 15 anni, salvo un’uscita incontrollata di Antonello nel backstage del concerto di Vasco Rossi all’Olimpico del 2011 (Antonello è uno specialista delle uscite incontrollate, non per niente è Cicalone, come quella volta che durante un certo a Messina sparò “perché Dio ha creato la Calabria?”, frase poi finita su Youtube e che gli scatenò contro l’intera regione). Nell’aftershow dell’Olimpico, chissà perché, se la prende contro la reunion di De Gregori e Dalla: “Uno che dà retta a Dalla è un coglione”, fu la sentenza.
Ma il tempo, si sa, lenisce tutte le ferite, la nostalgia di sè addolcisce i ricordi, mettici in più l’offerta a cui non si può dure di no di Friends and partner e, cosí, rieccoli ora a braccetto, pronti a celebrare il matrimonio mai celebrato. Salzano aveva messo il primo mattone del suo progetto tre anni fa all’Arena di Verona, con Francesco ospite dell’altro ex ragazzo del Folkstudio nel concerto dei quarant’anni di Sotto il segno dei pesci.
La serata è stata lo sbrinamento definitivo, lo scivolo verso gli stadi del duo ritrovato. Causa covid l’appuntamento è slittato ma, nel frattempo, i due hanno continuato a filare in armonia, cullati dal progetto di santificazione urbi et orbi di quell’unione indissolubile che non c’era mai stata. Si sono persino ritrovati all’Expo di Dubai con Antonello ospite di Francesco per cantare di nuovo Roma Capoccia e Viva l’Italia
L’Olimpico, il 18 giugno, sarà il debutto di un lungo viaggio, si annunciano tre ore con la suggestione di un catalogo musicale che ci ha accompagnato lungo tutta la vita. Impossibile mancare, ma non c’è bisogno di condire la storia con la leggenda di un sodalizio artistico da ricomporre. Lo stesso Venditti, qualche giorno fa, presentando l’appuntamento ha ammesso: “Finora non avevamo mai lavorato su nulla di realmente strutturato”. Non è mai troppo tardi.