Corriere della Sera, 2 marzo 2022
Ci può essere un golpe contro Putin?
L’offensiva contro l’Ucraina sarebbe costata finora alla Russia oltre 10 mila morti. «Abbiamo avuto un numero di perdite tremendo: in una sola settimana abbiamo perso lo stesso numero di soldati della missione in Siria in otto anni», rivelano al Corriere fonti militari russe. Se confermata, si tratterebbe di una cifra spaventosa, che la dice lunga sulle difficoltà incontrate dall’esercito del Cremlino, nonostante la soverchiante superiorità di mezzi e uomini. Ma soprattutto sarebbe una cifra che amplifica i problemi di Vladimir Putin, alle prese con la scommessa della vita. Quella che lo potrebbe consacrare come restauratore della Santa Russia, il nuovo zar che ha unificato il Russkij Mir, come sogna. Ovvero potrebbe infliggere un colpo contundente al suo prestigio e alla sua autorità, al punto da farne vacillare il potere.
Le notizie dal terreno dicono che i comandi russi hanno cambiato tattica e che ora la linea di attacco si sta facendo più brutale, meno attenta ai costi civili dei bombardamenti. «Putin vuole una vittoria militare e la vuole presto, la conquista di Kiev è diventata la priorità», dicono le fonti, secondo cui il regime change, il cambio di regime con la cacciata di Zelensky, indicato come obiettivo all’inizio, non è più nei desiderata del Cremlino. Anzi. «Una vittoria militare permetterebbe di dettare le condizioni di un negoziato con l’attuale governo».
È solido Vladimir Putin, sul piedistallo finora intoccabile e intoccato dal quale, da oltre due decenni, «regna» sul Paese degli undici fusi orari? O anche per lui varrà la legge non scritta degli autocrati e dei dittatori, il cui destino spesso si intreccia con le avventure militari? La prima risposta di molti analisti e imprenditori è che Putin sia ancora in pieno controllo di tutte le leve del potere e inoltre disponga di uno zoccolo duro nell’opinione pubblica, che ne appoggia le scelte anche grazie alla forza e penetrazione della sua propaganda. «Ha un potere totale – dice un manager italiano da molti anni in Russia – e anche se la situazione sta spingendo alcuni fra gli oligarchi a esprimere insoddisfazione, queste voci non hanno al momento alcuna sponda politica o militare». Certo, a renderlo forte è anche uno scetticismo di fondo che permea una parte della popolazione russa quanto alla possibilità di un cambiamento: «Il bombardamento di Kiev è uno shock per molti russi, che lì hanno parenti o amici. Ma la maggioranza non protesta, c’è un’apatia di fondo perché sono convinti che non serva a nulla, che tutto è stato già deciso da Putin e dai cinque o sei fedelissimi che lo spalleggiano».
Nessuno però nega gli scricchiolii, i sussulti, segnali che qualcosa si stia muovendo dentro un Paese che scende progressivamente verso una fase di incertezza, durezze economiche e isolamento dal mondo. Sono i 6 mila arresti operati dalle forze di sicurezza in pochi giorni nelle manifestazioni spontanee. È il fremito di petizioni e lettere aperte, moderni samizdat contro la guerra che fioriscono da un capo all’altro del Paese, per tutte quella dell’oppositore Lev Schlossberg che ha raccolto 700 mila firme. Sono le prese di posizione pacifiste di alcuni oligarchi come Fridman e Deripaska, di 300 eletti locali che chiedono di trattare, di personaggi dello sport e dello spettacolo, di tre deputati comunisti della Duma, che hanno detto di aver votato il riconoscimento delle due Repubbliche del Donbass «in nome della pace e non della guerra». O le decine di migliaia di post sui social media, che invitano a cessare l’aggressione. E sono i fiori, migliaia di bouquet depositati davanti all’ambasciata dell’Ucraina a Mosca. «Io credo che Putin possa anche cadere, ma non adesso, ci vuole del tempo», dice Valerij Solovei, politologo e storico che ha diretto il Dipartimento di Affari Istituzionali al celebre MGIMO, l’Istituto di Relazioni Internazionali dell’Università di Mosca, prima di esserne licenziato per le sue opinioni indipendenti. Secondo lo studioso, «la situazione è destinata ad aggravarsi, la guerra in Ucraina colpisce la nostra coscienza e il nostro livello di vita e avrà gravi conseguenze sociali ed economiche, che possono sfociare in crisi politica». Solovei considera lo scontento delle élite, oligarchi e imprenditori, un fattore importante e decisivo: «Al momento non sono pronti a parlare a voce alta, ma se la deriva proseguisse potrebbero unirsi, hanno collegamenti con alcuni gruppi politici e insieme possono mettere una fortissima pressione su Putin. Ma questo non accadrà prima dell’autunno, il regime è forte e stringe le viti della repressione, ha già dimostrato che non è disposto a tollerare alcun dissenso».
È anche una questione di fedeltà degli apparati di sicurezza, sui quali al momento Putin mantiene un dominio pieno e incontrollato: «Egli sarebbe in pericolo se le élite percepissero che non abbia più l’appoggio dei servizi e allo stesso tempo si verificassero proteste di massa della popolazione scontenta», dice Abbas Gallyanov, un analista che ha fatto lo speechwriter per Putin e adesso lavora come consulente politico indipendente. E aggiunge: «Se lo vedessero abbastanza indebolito e se si convincessero che possono farlo senza rischi, allora le élite potrebbero tradire Putin. Ma non è per domani». Come la Storia ci insegna, quando la Russia entra in uno smutnoe vremya, un periodo dei torbidi, sono i boiardi che finiscono per sbarazzarsi dello Zar.