la Repubblica, 2 marzo 2022
Alla ricerca di yacht e ville degli oligarchi
La caccia ai tesori degli oligarchi di Putin è partita e non riguarda solo gli Stati Uniti ma anche l’Europa. Il via è stato dato tre giorni fa con un tweet dall’account ufficiale della Casa Bianca: «In settimana lanceremo una task force multilaterale e transatlantica per identificare, dare la caccia e congelare gli asset degli oligarchi, i loro yacht, le loro dimore e ogni altro guadagno illecito che potremo trovare». Lunedì sera è poi arrivata la nuova lista della Ue, con i nomi di altre 26 persone molto vicine a Putin che hanno accumulato ricchezze e hanno fatto propaganda o si sono spese attivamente contro l’Ucraina e a favore dell’annessione della Crimea del 2014. A coinvolgere l’Europa ci ha invece pensato la presidente del Parlamento Ue Roberta Metsola, parlando prima di Zelensky: «Gli oligarchi di Putin e coloro che lo finanziano non dovrebbero più essere in grado di usare il loro potere d’acquisto per nascondersi dietro una patina di rispettabilità nelle nostre città, comunità o nei nostri club sportivi. I loro super yacht non dovrebbero trovare porto nella nostra Europa. Mai più».
E così è scattata la caccia al mega yacht dell’oligarca, le cui posizioni sono monitorate attraverso il sito Vessel Finder che riceve i segnali dai trasmettitori Ais di bordo che servono a evitare collisioni in mare. Alcuni yacht, ha scritto Cnbc in base ai dati di Marine Traffic, si stanno muovendo verso il Montenegro e le Isole Maldive. In effetti il Nord di Alexey Mordashov, 29 miliardi di dollari di patrimonio e maggiore azionista della Severstal, incluso nella lista nera della Ue, è stato segnalato nall’Oceano Indiano. La scorsa estate, fresco di cantiere, con i suoi 146 metri e 500 milioni di valore, si era presentato davanti alla spiaggia di Rena Bianca in Costa Smeralda. Lì nel 2013 aveva comprato la villa Parodi Delfino per 66 milioni e dalla famiglia Lucchini le acciaierie di Piombino, mai rilanciate e rispedite alle banche creditrici. Il Nord nelle acque sarde si è incrociato spesso con il Dilbar di Alisher Usmanov, altro miliardario vicino a Putin che deve le sue fortune al gigante dell’alluminio Metalloinvest e che sbarcò in Costa comprando la villa di Merloni a Romazzino. Ora si dice ne abbia sette o otto vicino al Golfo del Pevero, oltre ad aver acquistato villa Maramozza a Lerici. Con il suo “Amore Vero”, yacht di 88 metri visto spesso a Liscia di Vacca, Igor Sechin è considerato il più temibile e il più fedele di tutti gli oligarchi. Potentissimo numero uno del colosso petrolifero di Stato Rosneft, cresciuto anche sulle spoglie del concorrente Yukos, finito smembrato per la disobbedienza a Putin del suo leader Mikhail Khodorkovsky. Anche Sechin è di casa in Italia, ogni anno partecipa al Forum Eurasia di Verona invitato da Antonio Fallico, plenipotenziario di Intesa Sanpaolo a Mosca, e nello scorso decennio ha investito prima nella Saras dei Moratti, poi nella Pirelli di Tronchetti Provera e quindi con l’Eni nel mega giacimento a gas di Zohr a Nord dell’Egitto. A scorrazzare in Mediterraneo, tra Spagna, Costa Azzurra e Sardegna è stato avvistato spesso il My Solaris di Roman Abramovich, il patron del Chelsea che lunedì è stato chiamato da Zelensky a sedere al tavolo dei primi contatti tra russi e ucraini. Abramovich non compare nella lista Ue nella quale invece sono compresi diversi esponenti dei media e delle arti, come il violoncellista Sergei Roldugin, uomo d’affari che gestisce il sistema finanziario del presidente attraverso società offshore e la Bank Rossiya nota a Mosca come il “portafoglio di Putin”. Insomma un blocco di oligarchi compatto, con miliardi di dollari frutto delle privatizzazioni delle grandi imprese di Stato degli anni ‘90 e che agli albori del Duemila si è stretto intorno a Putin in cambio di fedeltà e sostegno in politica estera. Ora questo meccanismo che ha proliferato per vent’anni comincia a mostrare alcune crepe, come mostrano le dichiarazioni contro la guerra di due ex fedelissimi della prima ora, come Mikhail Fridman e Oleg Deripaska. Bisogna vedere se i governi occidentali riusciranno veramente a infliggere un duro colpo a questa contaminazione di capitali portatori di guerra più che di lavoro e consumi.