La Stampa, 2 marzo 2022
Il Po è un gigante senz’acqua
La motonave Beatrice è in vendita, non naviga più perché si incaglia. Il comandante Carlo Alberto Favarelli si è arreso dopo questo inverno senza nemmeno una goccia di pioggia. «Era una promessa fatta in punto di morte a mio padre Dante, gli avevo giurato che saremmo tornati sul Po. Lui faceva il pontiere quando il ponte di Spessa, il paese in cui siamo nati, era fatto di chiatte legate strette. E prima di lui ci aveva lavorato mio nonno Paolo, mutilato nella prima guerra mondiale. Anche io ho lavorato per trent’anni alla cava di sabbia, sempre nel Po. Il grande fiume per noi è sempre stato come un parente. Noi diciamo così: vado a trovarlo. E tutti capiscono di chi stai parlando. Vai al Po. Vai a controllare la portata, vai a perlustrare le sponde. Vuoi sapere come sta. Ecco, il Po sta malissimo. Mai visto niente di simile in vita mia».
Nata in un cantiere navale di Mantova e varata nella primavera del 2016, la motonave passeggeri Beatrice, in onore della figlia del comandante, era stata progetta sul modello delle imbarcazioni fluviali del Reno per navigare in poca acqua: a pieno carico pesca al massimo settanta centimetri. Trecentomila euro di battello per stare nel Po, seguire e risalire la corrente fino alla zona di Piacenza, portare i turisti e intanto mantenere quella promessa fatta a un padre che aveva sempre vissuto nel fiume. «Ma lo vedete oggi? Il Ticino alla confluenza ha 40 centimetri d’acqua, forse meno. Dove andiamo? E qui a Spessa, l’idrometro del ponte Alcide De Gasperi segna -2 metri e 12 centimetri. Record negativo di sempre. Visto che supera il -2 metri e 10 centimetri del terribile luglio 2019. Ci abbiamo provato, per noi finisce qui». Il comandante Favarelli lascia il Grande Fiume, ma in realtà è il fiume che sta lasciando noi.
«Questa condizione di siccità idrologica invernale è la più grave degli ultimi 30 anni», dice Andrea Gavazzoli, responsabile delle relazioni Istituzionali dell’autorità di bacino del fiume Po. «Abbiamo -34% sulle portate mensili di gennaio e febbraio. A Pontelagoscuro siamo oltre -40%, cioè quasi alla soglia di allerta. Ma è la sezione di Piacenza a essere quella con i valori più negativi».
La catena di approvvigionamento è unica. Come è unica la sorte di questa immensa pianura. Senza la neve sulle montagne, senza la pioggia e senza la nebbia, senza l’umidità, il fiume si svuota e la terra inaridisce. L’idrometro al Ponte della Becca, all’altezza di Pavia, racconta un mondo che non esiste più. Sta piantato nella sabbia e nell’erba. A centro metri dall’acqua. Come un errore. Eppure era proprio lì che arrivava il fiume, un tempo.
Ecco il pensionato Luciano Bellan, durante la passeggiata pomeridiana: «Mai visto il fiume così basso, peggio di così muore». In certi tratti si vede nitidamente il fondale: ecco una vecchia sedia, ecco una griglia da campeggio. Le piccole barche con la chiglia piatta e metallica stanno ormeggiate all’imbarcadero. Nei giorni di splendore, che sono sempre quelli di acqua abbondante, da qui si può navigare fino a Venezia. «Voi giornalisti vi interessate al Po solo nei casi estremi, per la siccità e per le alluvioni». Difficile dare torto a Simone Calatroni, che gestisce il rimessaggio. «Indubbiamente il livello idrometrico è cambiato, c’è meno acqua. Ma la domanda è questa: cosa è stato fatto negli ultimi cinquant’anni? Il fiume sembra non interessare a nessuno, non ci sono punti di attracco. Non c’è cura. Non ci sono progetti. Ogni sforzo viene punito, invece che incoraggiato. Faccio un esempio: qui davanti si trattava di sostituire un tetto di amianto con un tetto di pannelli fotovoltaici. Il progetto è stato bloccato perché c’era un nido di pipistrelli. Tutte le storie del Po sono così. Nessuno riesce a prendersene cura».
Il Po di Mario Soldati. L’autore del primo viaggio enogastronomico della storia: «Ecco la salama da sugo che si può mangiare soltanto a Ferrara, con dentro il vino e il cognac». Italia, 1957. Oggi resiste un solo pescatore di professione lungo tutto quel tratto di fiume. Si chiama Enrico Orsi, già figlio di Dante e nipote di Erminio, pescatori a loro volta. Ma resiste a Roncarolo, dopo la diga della centrale elettrica, perché lì la portata dell’acqua deve sempre essere alta. «È il punto più profondo del Po, arriva a 25 metri. Ma purtroppo di barbi e pescegatto ce ne sono sempre meno».
Lungo il fiume viene coltivata ogni tipo di verdura, dal radicchio al pomodoro, dalla barbabietola alla cipolla. Non c’è un’altra zona d’Italia con una così alta concentrazione di biodiversità. Il riso, il frumento. L’aglio, gli asparagi, le ciliegie. Sono tutte forme di vita che dipendono dall’acqua. È da questo fiume che taglia l’Italia da Ovest e Est che si vede bene il futuro. Chi prende l’acqua per primo e chi per secondo? Con quali regole? Con quali limitazioni? «Bisogna ragionare in termini di sussidiarietà. Dal Po ogni anno vengono prelevati 20 miliardi di metri cubi d’acqua per l’industria, per l’energia e per l’agricoltura», dice ancora Andrea Gavazzoli. «Ebbene. Questa è la quarta emergenza idrica negli ultimi dieci anni. Ma per la prima volta siamo preoccupati che l’acqua poterebbe non bastare per tutti. Anche la falda sotterranea è scarica. Il vento caldo ha fatto danni. È mancata la neve, il fiume è scarico e anche il terreno è arido. Ora iniziano le irrigazioni delle campagne. Quando durerà la scorta d’acqua del Po?».
Se il Piemonte è a secco, soffrono la Lombardia, il Veneto e l’Emilia Romagna. Nessuno può fare a meno del bene primario. Ma il comandante Favarelli non crede più ai miracoli: «Sono andato a parlarne ovunque, ti ascoltano per cortesia e poi nessuno fa niente. Per esempio, là sotto, sulla sponda destra, ci sono centinaia di quintali di legnami fermi, impantanati. Ostruiscono metà del tratto navigabile, sono lì da mesi o anni. Oppure i tre attracchi, gli unici tre attracchi di questa parte del fiume, a Rea, Frega e Parpanase: sono abbondanti. Io non so perché il fiume non interessi a nessuno, non l’ho mai capito. Ma so che in settant’anni il Po così secco non l’ho mai visto».
Avevano scelto un posto vicino alla pista ciclabile che unisce Torino a Venezia. Sognavano di essere un po’ come sul Reno oppure come in Olanda, ma senza per questo tradire loro stessi. Da qui mollava gli ormeggi la motonave Beatrice: «Gratis i bambini fino a 10 anni». Musica da ballo e navigazione lenta, vino e specialità culinarie. Solo che manca l’acqua. Nel giro di otto anni il fiume non è più navigabile. «Siamo riusciti a fare l’ultima gita con dei turisti a maggio del 2019. Adesso la motonave Beatrice è ferma all’ormeggio, vado a guardarla ogni giorno come una mucca nella stalla». Quello che vede l’ex comandate Favarelli è la diretta conseguenza di quanto sta succedendo a Pian del Re, alla sorgente del Po, trecento chilometri più a Ovest. «Quest’anno è stato l’ennesimo anno anomalo. Sia per le precipitazioni, sia per le temperature. L’inverno più caldo degli ultimi sessant’anni».
Stefano Fenoglio è un professore dell’Università di Torino specializzato nello studio dei fiumi di montagna, vive su quelle montagne che originano il grande fiume: «Non piove dall’Immacolata. Da tre mesi non abbiamo precipitazioni significative. A dicembre la temperatura è stata di un grado superiore alla media, quasi due gradi a gennaio. Tutto questo si traduce nel fatto che la neve è evaporata. I versanti delle montagne esposti a Sud sono brulli, sembrano montagne afghane. E a Pian del Re, dove nasce il Po, la sorgente si è spostata di cento metri a valle per trovare la forza». Così cambia la geografia, e così cambiano i destini delle persone. Quando cambia il clima.