il Fatto Quotidiano, 2 marzo 2022
In tv fuori i virologi e dentro i generali
Domenica sera un anonimo poeta, tifoso romanista in fila ai tornelli dello stadio di La Spezia, interrogava cordialmente gli steward impegnati nel farraginoso controllo dei documenti: “Ahòòò, ancora che chiedete ’sto green pass??? Non ve l’hanno detto che adesso c’è la guerra?”. Saggezza popolare: una singola pennellata che spiega più di un editoriale.
La mutazione repentina e inesorabile delle priorità giornalistiche ai tempi dell’invasione dell’Ucraina ha prodotto un ricambio impressionante nei palinsesti televisivi. Il Covid c’è ancora ma non si vede più. Dopo due anni di dominio, i virologi non sono più frequentatori abituali degli studi tv. Rapidi come erano entrati, stanno uscendo dai talk show: ora tocca agli esperti militari.
Si è scritto e detto fin troppo della figura vagamente inquietante degli scienziati mediatici; un po’ professori, un po’ divulgatori da piccolo schermo, un po’ influencer e imprenditori di se stessi. Il racconto incontrollato e contraddittorio del Coronavirus nelle trasmissioni tv ha creato mostri: innanzitutto nel pubblico, che nella miriade di voci e personaggi in frequente contraddizione tra di loro, ha fatto sempre più fatica a distinguere le opinioni dai fatti e la scienza dall’intrattenimento, finendo per non fidarsi più di nessuno. Ma pure negli stessi uomini di scienza, che da Burioni in giù si sono lasciati vezzeggiare – chi più, chi meno – dall’improvvisa popolarità e hanno assaporato vantaggi e svantaggi degli eccessi di comunicazione: tra i primi ci sono senz’altro i gettoni per le partecipazioni televisive; è notizia degli ultimi giorni – ne ha scritto Viola Giannoli su Repubblica – che diversi degli scienziati ospiti seriali avevano iniziato ad affidarsi ad agenti e procuratori per contrattare le presenze e massimizzarne il profitto. Questo mercato che prometteva di essere a lungo munifico, si è prosciugato quasi da un giorno all’altro.
Arrivederci virologi, benvenuti analisti militari. Una nuova generazione di esperti già riempie i salotti con la naturalezza di chi ci è nato dentro o non aspettava altro. Il primo della lista è già fresco idolo delle maratone belliche di Mentana e sembra avere le caratteristiche – per capacità divulgative e per una certa autostima, chiamiamola propensione alle telecamere – per raccogliere il vuoto di carisma causato dalla scomparsa degli scienziati. Si chiama Dario Fabbri e su twitter si presenta così: “Analista geopolitico, saggista, divulgatore. Curatore di Scenari, mensile di approfondimento geopolitico di @DomaniGiornale”. Domenica, su La7, spiegava con gelida serenità che se l’Occidente appoggiasse l’introduzione di una no-fly zone sopra l’Ucraina vorrebbe dire “cacciarsi in una guerra nucleare”. E aggiungeva: “Per me possiamo farlo, eh”. Sottotesto: basta che siamo consapevoli che poi moriremo tutti. Per capire quanto siano intasate le agendine dei nuovi analisti, basta leggere i suoi tweet in questi giorni: “Appuntamento domani alle 12 su @RaiTre”, “Alle 16 sarò a @SkyTG24”, “E alle 17 ci vediamo alla Maratona Mentana (Speciale @TgLa7) @La7tv”. E così via.
In sostituzione della vecchia nazionale virologi (Bassetti-Burioni-Capua-Crisanti-Viola-Galli, eccetera, da leggere con l’intonazione di Nando Martellini), la squadra degli analisti militari già schiera una prima linea cospicua: oltre a Fabbri, imperversano Alberto Forchielli, Vincenzo Camporini, Andrea Margelletti, Leonardo Tricarico.
Il primo sarebbe in verità un imprenditore, ma con il talento della tuttologia. In questi giorni va in tv a parlare di guerra – domenica era da Massimo Giletti – a raccontare le ovvie preoccupazioni del settore: “Se il gas viene interrotto facciamo il segno della croce e riattiviamo il carbone”. Il personaggio buca lo schermo, a suo modo, infatti è già stato omaggiato con l’imitazione di Crozza (“L’Europa è come la voglia di pagare le tasse in Italia, non esissste”).
Margelletti, presidente del CeSI (Centro Studi Internazionali di Roma), è più sobrio, più serio e un po’ più grigio. Negli ultimi cinque giorni è ovunque: intervistato dalla Stampa e dal Messaggero, ha scritto sul Mattino, è stato convocato da Tagadà (La7), Rtl 102.5, Rai 2, Porta a Porta (Rai 1), 24Mattino (Radio24). Camporini, ex capo di stato maggiore dell’Aeronautica Militare e della difesa, si divide tra gli studi televisivi e l’entusiasmante avventura in Azione, il partito di Carlo Calenda. Tricarico, pure lui ex militare, aviatore e capo di stato maggiore dell’Aeronautica, ha scandalizzato un po’ i conduttori delle trasmissioni – che però continuano a invitarlo – con le sue opinioni divergenti rispetto al pensiero comune, definendo un “fallo di reazione” l’invasione di Putin e accusando la Nato di “isteria antirussa”. E a proposito di posizioni eccentriche, si candida come esperto del conflitto in corso persino il senatore Tommaso Cerno, di sicuro mai banale, convocato domenica sera a Non è l’Arena a parlare di Ucraina solo perché, a quanto si apprende, parla il russo.
La prima sensazione è che si stia replicando lo stesso schema dell’abbuffata di virologia: si moltiplicano le opinioni, si gonfiano nuovi ego e in fondo si continua a capire poco o nulla di quello che succede davvero. Finiremo per rimpiangere il raggelante jingle “Sìsì vax” cantato da Crisanti, Bassetti e Pregliasco a Natale? Chissà. L’importante è che i nostri eroi non si arrendano. Per alcuni di loro è già iniziata un’immaginifica operazione riciclo. Su La Stampa di domenica l’immunologa Antonella Viola ha lanciato un ponte concettuale tra il Covid e la guerra, con una tesi affascinante (“Le epidemie possono modificare l’esito dei conflitti, possono essere una conseguenza o possono precederli”) e suggerendo in fondo che la mossa bellica di Putin sia una copertura della sua pessima gestione sanitaria. Altri, come Galli, Pregliasco e Cartabellotta, hanno iniziato a riempire i residui interventi pubblici con valutazioni geopolitiche. Mica li si può lasciare soli, adesso.