il Fatto Quotidiano, 1 marzo 2022
Seguire il denaro per sconfiggere Putin
Il grosso delle sanzioni occidentali (lo leggete sopra) mira a schiantare il rublo e impedire alla Russia di operare sui mercati. L’obiettivo è prostrare il Paese. Esiste però un versante dell’offensiva che potrebbe aprire scenari inediti: è la lotta ai grandi patrimoni offshore, una mossa che può indebolire Putin senza infliggere sofferenze alla popolazione se non si ridurrà ai soliti pochi “oligarchi”, i miliardari arricchitisi con le privatizzazioni degli anni 90 o emersi nel ventennio dell’ex Kgb. Una corte plasticamente simboleggiata da Roman Abramovich, ex patron del colosso Yukos e proprietario del Chelsea, ieri invitato ai negoziati in Bielorussia.
Sabato, i Paesi occidentali hanno deciso di congelare gli asset delle “persone che facilitano la guerra in Ucraina e le attività del governo russo”. Una task force ne inseguirà i patrimoni nel mondo. Basterà?
Economisti progressisti come Thomas Piketty, Gabriel Zucman e Paul Krugman hanno chiesto un’azione più incisiva: più che le sanzioni massive (che colpiscono i più poveri), serve concentrarsi sulle migliaia di ricchi che possono fare pressione sul presidente russo. Questa scelta è favorita dalla condizione del Paese. La Russia ha una debolezza peculiare: la sua ricchezza è estremamente concentrata – più di qualsiasi altro Paese dell’Est ex comunista o della Cina – ed è in gran parte all’estero. Secondo i dati di Zucman, l’1% più ricco dei russi possiede il 20% del reddito nazionale (era il 26% negli anni 90) e un quinto della ricchezza delle famiglie è offshore (percentuale che sale al 50% se si considera lo 0,01% più ricco). Questi patrimoni sono il frutto delle eccedenze commerciali degli anni 90 e rappresentavano, nel 2015, l’85% del Pil russo. È come se gli italiani avessero 1.500 miliardi nei paradisi fiscali. I dati della Banca centrale russa mostrano che, Usa e Svizzera a parte, i centri di ripulitura dei capitali russi sono la Gran Bretagna e tre Paesi Ue (Cipro, Lussemburgo e Irlanda). Parliamo di ricchezze enormi, che fanno la fortuna di interi Paesi e sono valse alla Capitale inglese il nomignolo di “Londongrad”.
Finora le sanzioni hanno colpito 680 russi (26 oligarchi si sono aggiunti ieri). L’Ue ha anche vietato alle banche di accettare depositi da cittadini russi oltre i 100 mila euro (50.000 sterline in Inghilterra), ma la vera ricchezza non è nei depositi, infruttiferi, ma in aziende e immobili di lusso, spesso gestiti da società di comodo in paradisi fiscali. Su Le Monde, Piketty ha proposto di tassare al 10 o al 20% le attività offshore dei russi con patrimoni oltre i 10 milioni, congelando il resto. Parliamo dello 0,02% della popolazione più ricca, 20 mila persone su 110 milioni totali, che salirebbero a 50 mila se la soglia di patrimonio scendesse a 5 milioni. “Scommettiamo che questo gruppo influente si farà sentire al Cremlino?”, ha scritto l’economista.
La misura peraltro porterebbe incassi fiscali, ma per realizzarla serve una vera trasparenza. “Panama Papers”, “Paradise Papers” etc. hanno mostrato come i ricchi (russi) aggirano le sanzioni grazie a studi fiscali e società in paradisi come le Isole Vergini britanniche: è il caso di Yuri Kovalchuk, il banchiere di Putin e capo della Banca Rossiya (studio Mossack Fonseca) o di Arkady Rotenberg, l’amico di Putin che ha aggirato le sanzioni post Crimea grazie allo studio Appleby. Ma la lista è lunghissima.
Per inseguire queste ricchezze serve un registro internazionale dei patrimoni. La commissione internazionale per la riforma della tassazione d’impresa (Icrt) l’ha proposto da tempo e peraltro sarebbe fondamentale contro elusione fiscale e riciclaggio. Problema: non piace ai ricchi occidentali e per questo finora non se n’è fatto nulla. Ora qualcosa si muove. Il governo inglese ha deciso di accelerare l’istituzione di un registro dei veri proprietari degli immobili di lusso, misura attesa da anni che però potrebbe richiedere almeno un anno per essere operativa.
E l’Italia? Finora non ha brillato: ha ritardato di quasi 2 anni l’istituzione del “Registro dei beneficiari effettivi”, il minimo sindacale previsto da una direttiva Ue del 2018. Il tutto mentre il Mise concedeva “passaporti d’oro” a 14 miliardari russi in cambio di poche centinaia di migliaia di euro investiti nel Paese attraverso il programma “Visa invest”.