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 2022  marzo 01 Martedì calendario

Intervista a Jonathan Safran Foer

Lo scrittore americano Jonathan Safran Foer ha una nonna ucraina di origini ebraiche sopravvissuta alla guerra e all’Olocausto. È quasi morta di fame, ma è stata capace di rifiutare carne di maiale che l’avrebbe tenuta in vita, perché non era kosher, perché «se niente importa, non c’è niente da salvare» (che ha dato il titolo a un suo libro). Ecco, qui parliamo di Ucraina, ma sembra di sentire la voce della nonna alitare ancora alle sue spalle.
Cosa pensa di quanto sta accadendo?
«È complicato. È molto facile esprimere solidarietà, appuntarsi uno sticker sul petto o andare a una marcia per la pace ma non è necessariamente voglia di cambiamento. Lo abbiamo visto con il clima. La stragrande maggioranza degli americani si dicono preoccupati, il 70 per cento, compresi la maggioranza dei repubblicani, vogliono che gli Stati Uniti stiano negli accordi di Parigi, ma pochissime persone poi, a livello personale, fanno quello che sarebbe necessario».
In termini di Ucraina?
«Nell’East Village c’è un famoso diner ucraino, Veselka. Negli ultimi giorni ci sono code intorno all’isolato, un centinaio di persone che vogliono mangiare ucraino per solidarietà. Ma il problema arriverà quando si sentiranno gli effetti delle sanzioni. Il mondo è così interconnesso che colpiranno i russi ma gli effetti si sentiranno anche qui, per non parlare delle risorse naturali. Quindi mi chiedo: ognuno ha una gran voglia di indossare una maglietta gialla e blu, ma quanta voglia avrà di pagare la benzina 5 dollari al gallone? Stiamo a vedere».
Nel 1999 è andato in Ucraina per ricercare le radici ebraiche di suo padre. Da qual viaggio è nato il suo primo libro, Ogni cosa è illuminata (Guanda). Cosa ricorda di quel viaggio?
«È il paese da cui venivano i miei nonni, un paese molto complicato con cui ho una relazione complicata. Mia nonna è scappata ed è stata l’unico membro della mia famiglia a sopravvivere. Alla fine della guerra è tornata e un vicino di casa, un gentile, le disse: devi andartene da qui, subito! E qui non c’entravano più i tedeschi, ma gli ucraini e i polacchi, che all’epoca erano profondamente antisemiti».
Gli ucraini di oggi sembrano un popolo democratico, legato ai valori liberali dell’occidente. Si stanno dimostrando coraggiosi, fieri, e reagiscono in un modo per certi versi inaspettato.
«Siamo nel 2022 e l’Ucraina ha un presidente ebreo che ha vinto in maniera schiacciante le elezioni. Il paese ha fatto un lungo viaggio e il processo mi pare sia accelerato da quanto ci sono andato. Venticinque anni fa sembrava un paese rurale, comunista. Con città dall’architettura brutalista, molto cemento e poco verde e poca scelta in termini di cibo».
Ci è più tornato?
«No, ma vorrei farlo appena sarà di nuovo possibile. Ci sono andati mio padre e mio fratello. Ma già allora quello che mi aveva colpito era la gente. La mia presenza talvolta metteva a disagio le persone, perché riapriva vecchie ferite, ma ho incontrato solo generosità, ogni singola persona – e ne ho incontrate dozzine – con me è stata calorosa, si è fatta in quattro per aiutarmi. Quando spiegavo perché ero lì, molti scoppiavano a piangere».
Il popolo ucraino sta facendo la storia. Ha visto i video delle donne e dei bambini che preparano le molotov?
«Mio fratello maggiore (Franklin Foer, ndr) è un giornalista e ha scritto proprio ieri un articolo intitolato ‘Una preghiera per Volodymyr Zelensky’ dove parlava del suo coraggio. Come Charles de Gaulle non è rimasto a Parigi durante la guerra, non ci aspettiamo più che i nostri leader – e neanche i cittadini – rimangano al proprio posto di fronte alle difficoltà: quando le cose si mettono male e la tua casa diventa insicura, parti. Gli ucraini oggi stanno plasmando un nuovo tipo di umanità e una diversa relazione su cosa è casa».
Non è facile capire cosa è casa in un mondo globalizzato dove tutti sembrano poter stare ovunque.
«Non posso parlare per gli altri, ma questo mi ha fatto molto pensare al significato profondo della parola casa: qual è il mio attaccamento per la casa? E anche: dove è la mia casa? È il luogo dove sto vivendo in questo momento o dove sono cresciuto? E cosa significa andare a difendere un luogo per il quale si prova un attaccamento? È piuttosto eccezionale che in un questo mondo dove consumismo e individualismo sembrano i valori dominanti su tutti gli altri. Sembra piuttosto impossibile anzi che un popolo abbia un tale attaccamento per la propria casa, tragico e stimolante allo stesso tempo».
Ci sono storie di ucraini che vivono da anni in Italia e che stanno lasciando un luogo e un lavoro sicuri per tornare a difendere il proprio paese.
«Pensavo proprio stamani al concetto di usa e getta. Trentacinque anni fa avere un computer in casa era qualcosa di eccezionale. Oggi un computer e un telefono sono usa e getta. Anche le idee e i valori politici lo sono. Ma gli ucraini stanno dicendo: non tutto è usa e getta. Anche molti di quelli che potevano lasciare il paese senza problemi – come Zelensky – hanno detto no: la nostra casa e il nostro paese non sono usa e getta. Hanno tracciato una linea tra ciò che si può buttare e ciò che è necessario. Per me è stimolante e degno di supporto a ogni prezzo».
Il prezzo è alto. Putin parla di atomica, sventola concetti e parole che pensavamo di non sentire più. Sembra che il mondo vada indietro: si parla di nuovo di guerra, le disuguaglianze sociali aumentano.
«Non lo sappiamo ancora. C’è un altro modo guardare a quanto accade. E cioè: forse questo è l’ultimo sussulto dell’autoritarismo. È possibile che a breve in Ucraina si istalli un governo di salute pubblica sostenuto dalla Russia ma è altrettanto possibile immaginare che Putin non sia più al potere nell’arco di un mese. Io sono sorpreso da quanto sta facendo Putin, ma sono più sorpreso dalla reazione che ha provocato».
In che senso?
«Siamo sempre convinti che nessuno si possa mettere d’accordo e che non si possa agire contro niente, specialmente se c’è un prezzo da pagare a livello personale. E il mondo invece si sta alleando, e non per qualcosa che fa fare più soldi a tutti, o per essere più potenti, ma per fare ciò che è giusto. Non so se nel passato saremmo stati capaci di fare qualcosa di simile. Certamente la tecnologia ha cambiato le regole, tutto è pubblico e condiviso. Era più facile non fare la cosa giusta quando non si conosceva la verità, ma oggi la verità si sa e non abbiamo la scusa dell’ignoranza. Ignorare è una scelta che la maggior parte delle persone non vuol fare».
Mi sembri molto ottimista.
«Sono entrambe le cose».
I social media sono stati anche fonte di disinformazione, di manipolazione.
«È vero, i social media hanno danneggiato il mondo più di Putin, ma in questo caso hanno una funzione positiva, perché la gente vede cosa accade, e i messaggi degli ucraini sono visti anche dai russi, che vivono sotto un dittatore miserabile, e credo che se raggiunti dalle notizie vere anche i russi sono disposti a rischiare le proprie vite per cambiare la situazione».
Paura è la parola del momento. La gente è spaventata. Pensa che ci sia davvero il rischio di una Terza Guerra Mondiale?
«Non sono spaventato dalla minaccia nucleare: sono spaventato per gli ucraini, ma non credo che siamo più vicini a una Terza Guerra Mondiale di quanto lo fossimo un mese fa. Il mondo è troppo globalizzato per aver voglia di una guerra. In termini geopolitici non credo che il mondo sia mai stato più sicuro».
Ma Putin per certi aspetti ricorda Hitler. Nella Storia talvolta le cose accadono per caso, oltre il volere degli uomini. Se dovessi mettere un personaggio come Putin in un romanzo?
"È chiaramente pazzo. E non credo rappresenti il popolo russo, è un maniaco e i maniaci sono molto pericolosi. Non lo metterei in un libro, perché in un romanzo un personaggio deve fare delle cose logiche. La letteratura si fonda sulla psicologia, sulle motivazioni umane – buone o cattive che siano. Ma le motivazioni di Putin non sono chiare e quindi sarebbe un tremendo personaggio letterario».