Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  marzo 01 Martedì calendario

Il soldato Tolstoj


Mi consolo a immaginare che tra i soldati russi che in questi giorni hanno invaso l’Ucraina, vi sia un ventisettenne in cerca di verità com’era Tolstoj nel 1855, quando combatteva nella guerra di Crimea, pochi chilometri più a sud dell’attuale linea del fuoco. I suoi reportage da Sebastopoli conquistarono immediatamente il grande pubblico russo, perché erano veri. Nel senso che la guerra la raccontavano come Omero, attraverso l’amore, il dolore, la sofferenza, il sangue, la vanità e i cadaveri senza gloria. In un tempoincuiglialtri scrivevanodieroi,stendardi, patrie e sciabole luccicanti, tutte cose fatte appostaper autoingannarsi e ingannare.
Anche a questo punto della “guerra di Putin”, spartiacque tra l’Europa di oggi e quella di domani come la guerra di Crimea combattuta dall’alfiereTolstoj, sisente forte ilbisogno di verità. GiàaSebastopolinonerasemplicemetterne in luce le mille sfaccettature, perché da un lato c’era l’impero dello zar che non voleva rinunciare al Mediterraneo,edall’altrounacoalizione francese, inglese, ottomana e piemontese tenuta insieme da un groviglio inestricabile di ragioni. Ma in questa battaglia di Kiev è anche più complicato, dato che la logica dell’aggressione russarestapermoltiversi imperscrutabile. Di sicuro c’è che con essa è ritornata la morte in Europa. E che le argomentazioni con cui Putin ha tentato di giustificare l’attacco, sono basatesullamanipolazionedellaveritàesulla menzogna.
Prendiamo la sua ricostruzione “storica” di qualche giorno fa, che poi si è rivelata una dichiarazione di guerra. Ci sono almeno tre cose che il nostro ipotetico soldato russo in cerca di verità dovrebbe sapere al riguardo: anzitutto che il paese in cui sta combattendo è indipendente dalla dissoluzione dell’Urss del 1991, per decisione dei suoi abitanti, inclusi quelli del Donbass e della Crimea; che fino ad allora, salvo il periodo 1917-1920, l’Ucraina era stata parte diun’entitàpoliticagovernatadaMosca, equesto da quando nel 1654 il cosacco Bohdan Khmelnytsky l’aveva offerta allo zar; e che prima di quel momento fatidico, fin dalla sua formazione, l’Ucraina aveva fatto parte del commonwealth polacco-lituano, nemico giurato della Russia zarista.
Nelle parole di Putin dell’altro giorno non c’è tracciadituttoquesto.Ciha raccontatochel’Ucraina non è mai esistita, e che quella moderna sarebbe una creatura di Lenin e dei bolscevichi, ma senza entrare nel merito dei fatti. Altrimenti avrebbe dovutospiegarne l’indipendenza nei primi anni della rivoluzione, segnati dallo scontro tra anticomunisti “bianchi” e bolscevichi “rossi”. Che poi era la conseguenza logica di quel che l’Ucraina era sempre stata nei secoli precedenti: una “Piccola Russia” distinta da quella più grande. Che come scriveva Gogol’ nelle sue opere giovanili, venne forgiata da un miscuglio di popoli e dai cosacchi del Dnepr, che la dotarono di una propria lingua, una religione, una propria cultura e una propria musica popolare.
Se poi il nostro ipotetico soldato russo diretto a Kievfosse veramente affamatodiverità come loeraTolstoj,invececheallamitologiaedulcorata di Putin, dovrebbe dedicarsi ai miti fondativi della sua gente, a partire da quello della “Russia di Kiev” antesignana della Russia moderna. Scoprirebbe che è più complesso di quelchesembra,nelsensochecomeognimito che si rispetti presta il fianco a un’infinità di interpretazioni.
Naturalmente è a Kiev, e lungo il Dnepr, che si è compiuto il destino di tutte le Russie. Non vi è alcun dubbio al riguardo. Ma questo accadeva prima dell’anno Mille, al tempo della conversione di Vladimir il Santo, quando Mosca non era ancora Mosca, non era ancora la Terza Roma, quando il potere diabolico e celeste degli zar non abitava ancora tra gli uomini.
E dunque il principato di Kiev precede nel tempo quello di Moscovia, con buona pace di Putin a cui piace riscrivere la storia. E perciò non è vero come ci ha detto l’altra sera che nel 1991 l’Ucraina è diventata sovrana out of the blue, percolpadiLeninedelsuoapproccioconfederale. La questione ucraina, sia Lenin che Stalin, se l’erano ritrovata in eredità. E non potendola risolvere a modo loro, perché con le identità nazionali c’era poco da fare come si era capito nell’Ottocento, se la trascinarono dietro né più e né meno come avevano fatto gli zar. E così l’Ucraina è diventata indipendente e sovranagrazie alla storia,alla geografiae alla fede del suo popolo, e non per il capriccio di un uomoodiunpugnodiuomini.
Ora lo sanno tutti che una volta scoperta la verità non si può continuare come prima. Proprio come quando scoppia improvvisamente una guerra che ci riguarda, e ci si rende conto di non poter più vivere facendo finta di nulla. L’alfiere Tolstoj ad esempio, scoperta la verità sulla guerra, cioè l’insensatezza di Sebastopoli, annotò sul diario che avrebbe presto lasciato l’esercito per diventare scrittore. Ecco, forse mentresicombattelabattagliadiKievdovremmo annotare tutti qualcosa di importante sui nostri diari, se non altro per il fatto che scrivere, in momenti come questi, schiarisce le idee. E chissà che una volta smascherate le bugie di Putin, e prima di macchiarsi di troppi orrori, non faccia la stessa cosa anche il nostro ipotetico soldato russo in cerca di verità, magari lasciandosi guidare dal soldato-scrittore di Sebastopoli.
Nel maggio del 1855, mentre «migliaia di bombe, palle e pallottole continuano a volare dai bastioni alla trincee e dalle trincee sui bastioni», Tolstoj inizia a fantasticare di uno strano piano di pace. Si sarebbe dovuto cominciare mandandoa casaun soldato perognuno degli schieramenti, e poi un secondo, e poi un terzo, e un quarto… Fino a che sul campo di battaglia non fosse rimasto un soldato per parte, in modo da poter risolvere la guerra con un duello. «Questoragionamentopuòsembrareunparadosso maècorretto»annota.Perchédovesta scritto che bisogna per forza essere centomila contro centomila e non ottantamila contro ottantamila, oventimila controventimila,o venti controventio unocontrouno?
«Nessuna di queste cose è più logica delle altre. L’ultima, viceversa, è assai più logica, perché è più umana» assicura Tolstoj. Tanto «la questione che i diplomatici non hanno risolta, non viene risolta neppure dalla polvere da sparo e dal sangue». E questa è la verità di Sebastopoli, di Kiev, e di tutte le guerre che ancora ci ostineremoa combattere.