Corriere della Sera, 1 marzo 2022
Intervista ad Alex Schwarzer
Da Pechino 2008, medaglia d’oro nella 50 km di marcia ai Giochi cinesi, a Pechino Express, il reality itinerante in cui ha viaggiato in coppia con il medico sportivo Bruno Fabbri, Alex Schwazer da Calice di Racines (Alto Adige), 37 anni, ha vissuto più vite di un gatto. Dio di Olimpia da straordinario talento dell’atletica, poi clamoroso caso doping con squalifica nel 2012, infine controverso caso doping bis nel 2016, con strascico di polemiche. La tv è un’avventura inedita per Alex, che nel frattempo si è sposato con Kathrin, è diventato papà di Ida, 5 anni, e Noah, uno e mezzo, e coach di podisti amatori: «Alleno tutti i giorni, anche la domenica».
Che esperienza è stata Pechino Express, Alex?
«È stata un’avventura in cui, finalmente, ho potuto alzare la testa dalla strada e guardare a destra e a sinistra. Quando marciavo, quando viaggiavo per gare, non avevo tempo di fare il turista. Anche oggi con i bambini: con mia moglie ci organizziamo in funzione della loro comodità. Prima di partire Bruno e io sapevamo che sarebbe stata tosta».
È stato l’elemento agonistico a spingerla ad accettare?
«No, io e Bruno siamo stati la coppia meno agguerrita. Ovviamente ci sono situazioni in gara che ti costringono a muoverti velocemente ma noi abbiamo sempre cercato di goderci il viaggio. Dopo tanta atletica, non avevo più voglia di una cosa ansiogena».
È tornato in Turchia dopo l’esperienza negativa della prima positività al doping.
«Alla Turchia non mi legano solo brutti ricordi, però: lì ho fatto il viaggio di nozze con mia moglie e mia figlia. L’ospitalità del popolo turco va molto oltre le nostre abitudini: ho incontrato persone che hanno poco ma sono disposte a darti tutto».
La cosa più difficile?
«Chiedere. Se chiedi un passaggio a uno sconosciuto, non devi avere paura di chiedere anche l’ospitalità per la sera. Noi eravamo in difficoltà: non volevamo esagerare».
Il programma è stato girato in pandemia: come vi siete organizzati?
«Eravamo tutti vaccinati, obbligo di mascherina ogni volta che si entrava in contatto con qualcuno. Chi accettava di ospitarci doveva fare un tampone rapido lì, su due piedi, organizzato dalla produzione. Nonostante queste difficoltà, sono stato molto bene: viaggiavo con uno zaino e un euro al giorno in valuta locale, eppure sono tornato a casa con 2-3 chili in più! Ma ho sperimentato che le persone ti danno, ti offrono, questa è la cosa meravigliosa e sorprendente».
Come ha gestito la lontananza dalla famiglia?
«Ecco, questo è stato l’aspetto più tosto di tutta l’esperienza. Ma nessuno mi ha obbligato, ho scelto io e con mia moglie abbiamo avuto un’idea: registrando un video al giorno, cambiando abiti e luogo, ho fatto in modo di non far pesare la mia assenza ai bimbi. Noah è piccolo ma Ida capisce tutto. Fino a Pechino Express ero stato via di casa al massimo 4-5 giorni... Quando sono tornato a Calice, una notte, Ida si è svegliata e non credeva ai suoi occhi».
E gli altri partecipanti? Sono stati curiosi della sua storia tutto fuorché banale?
«Si è creato un bel gruppo già dal primo incontro: ora abbiamo una chat su WhatsApp, ci si scrive quasi tutti i giorni. No, nessuna curiosità speciale su di me».
E con il suo partner è andato sempre d’accordo?
«Al 99%, direi. Bruno è stato coraggioso ad accettare, è spiritoso e acculturato. L’1% di disaccordo è stato quando ho deciso qualcosa senza di lui. Prima parliamoci, mi ha detto. Aveva ragione».
Gli anni dell’atletica ad alto livello le sono stati utili?
«Non mi pare: io marciavo, a Pechino Express bisogna correre! Piuttosto devi essere bravo ad apprezzare le piccole cose. Io alla fine ero felice anche di un pavimento duro su cui poter riposare...».
Farà altra tv?
«Se intende l’isola su cui litigare per un pugno di riso, non credo! Se il programma ha aspetti interessanti, a livello culturale, perché no?».
Ci vediamo a Parigi 2024, i prossimi Giochi?
«La mia squalifica finisce a ridosso, troppo tardi per poter provare a qualificarmi. E comunque non sarebbe così facile, alla mia età».
Il futuro, quindi, di cosa è fatto, Alex?
«Della famiglia e dell’allenamento: lo sport è la mia vita, sento ancora il fuoco dentro. Parliamo di un agonismo non esasperato, di amatori che sognano di fare la maratona sotto le tre ore. Ma è il modo per trovare il mio spazio nel mondo».