Corriere della Sera, 28 febbraio 2022
Intervista a Virginia Raffaele
«Sono nata e cresciuta dentro un luna park, facevo i compiti sulla nave pirata, cenavo caricando i fucili, il primo bacio l’ho dato dietro il bruco mela. Poi il parco ha chiuso e le giostre sono scappate». Sembra l’incipit dell’autobiografia di un bugiardo, quindi roba da non credere, invece la vita di Virginia Raffaele ha preso forma proprio lì, al luna park dell’Eur a Roma, fondato negli Anni 50 dai suoi nonni.
Ladra di facce di professione, talenti da vera fuoriclasse, acrobazie vocali da trapezista, virtuosismi imitativi da funambolo. Quando ha capito che sapeva far ridere?
«Inconsapevolmente a tre anni. Montarono un palco ma i miei non mi permisero di salirci finché approfittando della loro distrazione salgo, prendo il microfono e tiro giù una bestemmia clamorosa... parte una risata collettiva, ovviamente i miei non si potevano arrabbiare, io l’avevo sentita lì da qualcuno. Fu un inizio molto rock ‘n‘ roll».
Aveva raccontato di non voler fare l’imitatrice («non amavo fare le imitazioni, mi hanno convinto i tre della Gialappa’s»): le vive come una limitazione?
«Le imitazioni sono state incidentalmente il mio biglietto da visita, il mio successo è partito da lì, grazie ai Gialappi e a Mai dire grande fratello ho trovato il gusto della parodia, una chiave personale per reinterpretare il carattere di un personaggio pubblico. Però io ho studiato per fare l’attrice, è bello spaziare, è divertente variare, sei tu che rendi il tuo lavoro senza limiti».
Maria Elena Boschi eterea ed evanescente, Carla Fracci eterea ma per un altro motivo, Ornella Vanoni parecchio sciroccata, la criminologa Bruzzone assetata di horror, Donatella Versace un tanto al botox: c’è una parodia a cui è più affezionata?
«Le parodie dei personaggi veri stanno davvero su uno stesso piano; penso piuttosto a un personaggio inventato e non a un’imitazione vera: trovo la poetessa transessuale Paula Gilberto do Mar la mia creazione più divertente anche per il suo significato profondo. Mi piace il lavoro da attore che c’è dietro, quelli inventati sono personaggi che crei da zero».
Bruzzone, Belén e Vanoni non l’hanno presa bene...
«Sono cose che ho letto anche io suoi giornali. Con Ornella Vanoni adesso ci sentiamo, è venuta anche a vedere il mio nuovo spettacolo due volte in quattro giorni (si intitola Samusà, è in tour nei teatri fino a maggio)».
Carla Fracci un passo avanti invece...
«Quando la incontrai mi rivelò: “Chaplin mi disse” – e già capite il livello, Chaplin – “sarai famosa solo quando qualcuno ti imiterà”».
Le parodie come nascono?
«A parte Nicole Minetti che era sulla cresta dell’onda – onda anomala direi —, in genere non sono legate all’attualità. Le scelte nascono da quello che mi ispira di più, dal mondo che posso riprodurre. Mi piace chi ha una storia dietro, su quello puoi lavorare, come è successo per Carla Fracci e Donatella Versace».
La voce non è mai un problema?
«No, a parte quella della De Filippi che è stata progettata dal Kgb: è irriproducibile. Ma la voce non è un discrimine, quella della Polverini non era precisa ma faceva ridere nel contesto, anche la Fracci non era proprio così, timbro e colore non erano i suoi, ma la ricordavano in modo caricaturale».
Davvero faceva i compiti nella nave pirata?
«Non quelli di matematica, che facendo su e giù non era semplicissimo. Era per rendere l’idea. Per chi ci nasce e ci cresce il luna park con le sue attrazioni viene utilizzato come se fosse una casa: hai il salotto, la camera da letto, la cucina. Facevo merenda sulla panchina davanti allo stand dei miei genitori, il gelato lo prendevo davvero sulla nave pirata, ma ferma. Quando vivi lì lo stand diventa il luogo dove tutto succede».
I suoi genitori avevano due stand: quello del tiro al Cinzano con i fucili per colpire le bottiglie e quello dei pesci con le palline da lanciare nelle bocce d’acqua.
«Mio papà stava allo stand dei pesciolini, mentre io e mia mamma a quello del tiro. Preferivo i fucili e odiavo i pesci perché stavano in una rotonda ottagonale, faceva sempre freddo per l’umidità della vasca e dovevi girare come una trottola, da un banco all’altro. Io facevo da spola tra pesci e fucili, e mio padre mi chiamava con i fischi. Per questo fischio così bene tanto da farne un numero nello spettacolo. Era una situazione surreale che poi è diventata normale, si crea uno strano confine tra chi sta al di qua e al di là del bancone. Per me era assurdo che un bambino stesse a casa con la nonna a fare i compiti, mia nonna era quella dei fucili. Ho vissuto tutto al contrario».
Il ricordo più tenero?
«Tanti... Ricordo mia nonna: faceva molto ridere, faceva di tutto per attrarre il pubblico, dal cantare al cercare di fare battute a chi passava. Mi vengono in mente anche i giri in bicicletta, quel profumo delle estati che stavo lì, con l’odore intenso dei tigli e il rumore delle cicale. Nel mio nuovo spettacolo invito il pubblico a fare il verso delle cicale e mi sembra di tornare lì, in quelle domeniche assolate di noia perché la gente andava al mare ma noi stavamo all’Eur. Ricordo il brivido dei giri in bicicletta a mezzanotte, avevo otto anni e provavo una sensazione di libertà assoluta».
Il ritorno in tv
La voce della De Filippi è stata progettata dal Kgb: è irriproducibile. Ora sono nel cast di «Lol», l’avversario più temibile è il Mago Forest, mi fa ridere anche se sta fermo
Ha vissuto anche il pregiudizio sui giostrai, «zingari» da stare alla larga?
«Quello è arrivato nella maturità, da piccola non lo sentivo. Non ho ricordi spiacevoli se non quando il luna park ha iniziato a chiudere, lo vedevo morire, lentamente abbandonato, metteva malinconia perché avevo vissuto feste di Natale e Carnevale meravigliose. A otto anni vinsi il primo premio, mia madre mi aveva vestita da vecchia, infatti a dieci ho fatto testamento e ho lasciato le Barbie a mia cugina...».
Una nonna clown e cavallerizza che faceva il circo, la strada era già segnata?
«Mia nonna era un personaggio stupendo: metteva in scena macchiette, faceva avanspettacolo e parodie, mi raccontava poesie, mi leggeva Petrolini. Diceva sempre: fateme fa’ tutto ma non fateme sta’ a casa con la ragazzina. Era un’artista e sbroccava perché voleva stare a intrattenere il pubblico dello stand. Cresciuta così non ho mai pensato di fare un altro lavoro».
Cosa le hanno insegnato i suoi genitori?
«A non essere invidiosa, che è una grande qualità sia in questo ambiente sia in generale. Loro magari pensavano che potessi vedere le altre bambine come più fortunate, ma ho capito presto che l’invidia non porta a niente».
Lei è maniacale...
«È vero. Mi prendono in giro perché a fine spettacolo magari chiedo: ma perché la luce a destra non è partita al momento giusto... è come se registrassi tutto quello che faccio e mi succede intorno».
Comicità di testa o di pancia?
«Tutte e due. L’alternanza è micidiale, è quello che funziona. A volte basta una pausa, una faccia, un’espressione a far esplodere la risata. Oppure è divertente portare il pubblico con la parola da una parte e farlo ripiombare da un’altra: l’effetto comico arriva all’improvviso».
È nel cast della seconda stagione di «Lol» in streaming su Prime Video: cosa l’ha spinta a partecipare?
«Quando spieghi il format in due parole vuol dire che funziona: chi ride va fuori, finito. È da tanto tempo che non facevo qualcosa in tv, è un’esperienza vera, di pancia, mi piace anche mostrare una parte umana. Devo dire che non sapevo chi avrei incontrato, poi purtroppo i miei incubi hanno preso forma e corpo. L’avversario più difficile si è rivelato il Mago Forest, mi fa ridere anche se sta fermo».
Con che modelli è cresciuta?
«Ho consumato A me gli occhi, please di Proietti e In principio era il Trio di Marchesini, Solenghi, Lopez, avevo le videocassette vhs e le so ancora a memoria. Quando sento Massimo gli cito dei pezzi e lui mi chiede come faccio a ricordarmeli. Una donna che mi ha sempre affascinato da morire è Monica Vitti, per la sua ironica sensualità, la buffa bellezza, un insieme di stupende contraddizioni; e poi ovviamente Franca Valeri e Bice Valori per alcuni dei personaggi meravigliosi che hanno creato».
L’incontro da ricordare?
«A 15 anni andai a vedere Anna Marchesini a teatro e alla fine mi sforzai di spingermi in camerino per farmi fare un autografo. Quando le dissi che mi chiamavo Virginia, rispose che anche sua figlia si chiamava così: ho pensato come una scema che fosse un segno del destino. Di Gigi Proietti invece ero completamente innamorata, la sua risata la riconoscevo tra tutte. Quando mi bussò al camerino dopo uno spettacolo con Lillo e Greg mi misi a piangere dall’emozione. Poi ci siamo anche frequentati e gli chiesi se aveva ancora la Saab blu targata AL641Y, da piccola fuori dall’Olimpico mi dissero che quella era la sua macchina e io memorizzai la targa».
Con Checco Zalone siete amici.
«Molto amici, ci vediamo, passiamo serate in compagnia sul divano con la chitarra, è una persona vera, sincera, colta, molto intelligente e piacevole».
Ha un incubo ricorrente?
«Faccio piuttosto fatica a dormire, la testa non si spegne mai».
A 60 anni la vedremo ancora con il cerone a far parodie?
«Il comico deve fare gli aggiornamenti come l’iPhone. Per rimanere fedele alla comicità devi anche avere la capacità e lo sguardo di evolverti perché se no arriva un momento in cui ti dicono: ma ancora le parodie? Devi ampliare la strada se no resti incastrato. Quello che so è che a quell’età sicuramente va comunque messo un bel po’ di fondotinta».