Corriere della Sera, 28 febbraio 2022
Ritratto di Lukashenko
Ha fatto probabilmente bene il presidente ucraino Volodymyr Zelensky a non accettare di andare in Bielorussia per trattare con Putin: il Paese guidato da Aleksandr Lukashenko che per tanti anni si è barcamenato tra Europa e Russia non ha più la minima indipendenza. È diventato praticamente una provincia nella quale il signore del Cremlino detta legge, come se fosse una semplice appendice della Russia. La rivolta di piazza seguita all’ultima rielezione plebiscitaria (e fasulla) del leader che è in sella da 28 anni stava per disarcionare il «babbo», come ama farsi chiamare dai suoi concittadini/sudditi. Lukashenko è stato salvato solo dall’aiuto «fraterno» del potente vicino. E si sa che da queste parti del mondo gli aiuti non sono mai gratuiti.
Nella tana del lupo
Così quando aveva già deciso di invadere l’Ucraina mesi fa (ora lo sappiamo) Putin telefonò al caro Aleksandr per comunicargli che i suoi militari avrebbero condotto ampie manovre sul territorio della Bielorussia proprio a ridosso del confine con l’Ucraina. Poi gli ha fatto sapere che il numero dei mezzi coinvolti sarebbe aumentato e che altri uomini erano in arrivo. Infine gli ha detto che molto probabilmente le truppe di Mosca sarebbero rimaste a lungo, se non per sempre, sul territorio bielorusso. Lui, il babbo, sa benissimo come si muove il caro Volodya; racconta di avergli detto non molto tempo fa con aria ammiccante: «Ora non sono più io l’ultimo dittatore d’Europa». Putin lo avrebbe guardato gelido: «Non pensi certo che sia io», gli avrebbe risposto.
Oltre a quella per l’hockey, Lukashenko sembra condividere con Putin anche la passione per le belle donne. Non ha mai divorziato dalla moglie Galina, ma ai media del Paese è proibito parlarne. Ha una compagna, di cui pure nessuno scrive nulla, che gli ha dato un figlio, Nikolaj che lui chiama Nikolenka. Di lei si sa che è endocrinologa; in realtà si tratta quasi certamente di Irina Abelskaya che era il medico personale del presidente. Secondo alcune malelingue, anche la dottoressa sarebbe caduta in disgrazia negli ultimi tempi a causa di nuove fiamme, naturalmente assai più giovani del sessantasettenne capo dello Stato.
Nikolenka è da sempre la luce degli occhi del presidente che lo vestiva fin da piccolo con una copia della divisa militare da lui indossata, tanto che veniva soprannominato «mini-Aleksandr».
Nato come dirigente di azienda agricola ai tempi dell’Urss, Lukashenko è entrato in politica con l’indipendenza della Bielorussia, dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel 1991. Nel 1994 era già presidente e da quella poltrona non lo ha spostato più nessuno. È stato rieletto cinque volte sempre con percentuali bulgare; l’ultima volta, due anni fa, l’80%. In un’intervista ha detto confidenzialmente al giornalista: «Creda a me che sono un presidente esperto. Presidenti non si diventa, si nasce».
L’elogio di Hitler
Le uscite estemporanee del babbo sono diventate famose in questi anni. Da quando lodò Hitler per ciò che aveva fatto per la Germania alla definizione che diede di sé stesso: «Sono ateo, ma un ateo ortodosso». Al suo popolo preconizzò: «Vivrete male, ma non a lungo». L’arrivo del Covid lo ha fatto scatenare. Prima ha negato che la pandemia esistesse in Bielorussia, poi si è lanciato in analisi scientifiche, sostenendo che nel Paese erano diminuiti i casi di cancro. «Dio voglia che il Covid sia un rimedio contro le malattie oncologiche». Infine ha prescritto la cura contro la pandemia: sauna, vodka e lavoro nei campi con il trattore.
Dipendenza da Mosca
A capo di un Paese senza sbocco al mare e con poche materie prime, Lukashenko ha sempre dovuto contare sull’aiuto della Russia. La Bielorussia fondamentalmente vive trasformando le materie prime che arrivano da Est e rivendendole all’Europa o alla stessa Russia. Perché il meccanismo funzioni, visto che non si tratta di imprese ad alto contenuto tecnologico, il petrolio con il quale fa benzina e gasolio deve essere poco caro. Idem per il gas che fa funzionare le aziende di fertilizzanti. E allora bisogna compiacere l’amico Volodya.
Quando negli anni la Russia si faceva troppo pressante, il babbo si rivolgeva all’Europa e minacciava di cambiare fronte. Se Bruxelles insisteva troppo con le richieste di democrazia, Lukashenko si volgeva nuovamente verso Mosca. Ma adesso il gioco è finito. A lui, comunque, importa soprattutto rimanere in sella. E magari passare il potere a uno dei suoi figli, tanto per stare tranquillo. Si dice che stia «formando» il primogenito Viktor che ha 46 anni. Gli ha fatto fare le prime esperienze come assistente per la sicurezza nazionale. L’anno scorso lo ha nominato presidente del comitato olimpico.