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 2022  febbraio 28 Lunedì calendario

La contromossa americana


NEW YORK — La Casa Bianca, a ragione, abbassa i toni sulla minaccia nucleare di Putin, che ieri ha ordinato di mettere in allerta il sistema nucleare russo. Il Pentagono però prepara i piani, perché non può prendere il pericolo alla leggera.Il primo punto, nell’immediato, sarà capire cosa significa in concreto la decisione del Cremlino. La Russia ha 6.255 testate nucleari, contro le 5.550 degli Usa, ma se si aggiungono le 290 francesi e le 225 britanniche il livello è quasi identico. Il trattato New START consente ad entrambi di averne 1.550 schierate, in genere sui missili balistici intercontinentali nei silos o sui sottomarini. Invece le bombe destinate agli aerei, o quelle tattiche per i razzi a corto raggio, vanno montate. Al momento il Pentagono non alza il livello di allerta, per non cadere nella trappola dell’escalation artificiale di Putin, ma potrebbe farlo rapidamente se notasse movimenti nell’arsenale russo.Detto ciò, è indispensabile guardare lontano. «Questa – avverte Joseph Cirincione – è una minaccia seria, non un bluff. La dottrina militare russa integra nei piani di attacco la dimensione cyber, convenzionale e atomica, e una settimana prima dell’invasione hanno fatto esercitazioni nucleari. Putin minaccia di usare queste armi, i suoi militari sono pronti, e quindi dobbiamo prepararci». L’analista del Quincy Institute for Responsible Statecraft di Washington, già presidente del Ploughshares Fund e autore di libri come Nuclear Nightmares, Bomb Scare e Deadly Arsenals, ha dedicato la vita al disarmo, e dice che i numeri non contano: «Nessuno ragiona più in questi termini. I russi hanno più testate e bombe tattiche; gli americani sono più pronti e hanno lo scudo, ma non basterebbe a proteggerci. Quando vai sopra le cento testate, ognuno ha la forza sufficiente a cancellare la vita dal pianeta». Quindi suggerisce di partire dalle motivazioni: «Putin è nei guai. Pensava di ripetere Georgia o Crimea, prendendo Kiev in pochi giorni, eliminando Zelensky e instaurando un fantoccio. Non è andata così per la resistenza militare ucraina e la risposta compatta dell’Occidente. Le sanzioni contro la banca centrale lo espongono al rischio che oggi ci sia l’assalto agli sportelli. Quindi avverte l’Occidente che se continuerà le sanzioni, anche lui ha contro-minacce a disposizione». Questo però non spiega tutto: «È possibile che voglia alzare la pressione su Zelensky, in vista dei colloqui. Il suo obiettivo non era ritrovarsi a negoziare con gli ucraini al confine bielorusso senza precondizioni, e quindi alza la minaccia per strappare concessioni». Ma la debolezza di Vladimir, se da una parte è positiva, dall’altra aumenta il pericolo: «Come prima cosa, è evidente che siamo davanti ad una persona diversa. Qualcosa è accaduto nella sua testa, che lo rende meno razionale e più instabile. Finora ci siamo preoccupati dell’offensiva russa, ma adesso dobbiamo anche preoccuparci del suo fallimento. Perché Putin ha scommesso tutto su questa invasione, anche la propria vita, e davanti alla sconfitta potrebbe pensare che le armi nucleari siano l’unica via d’uscita».Il Pentagono deve immaginare tutti gli scenari. Il primo è l’esplosione di un’atomica tattica in Ucraina: «Premetto – sottolinea Cirincione – che non c’è alcuna ragione per un simile atto, che metterebbe il capo del Cremlino tra i personaggi più disprezzabili della storia. Se però accadesse, usando magari un missile a corto raggio come quelli delle esercitazioni prima dell’invasione, le reazioni immediate degli americani sarebbero almeno quattro: primo, cercare di eliminare Putin, per impedire che possa dare altri ordini simili; secondo, contattare la leadership militare per convincerla a non obbedire più; terzo, lanciare attacchi cyber per paralizzare l’arsenale nucleare e le comunicazioni; quarto, imporre tutte le sanzioni rimaste e chiudere i confini, isolando Mosca dal mondo. Non è detto che la risposta sia subito nucleare, anche se si farà sentire la scuola di pensiero secondo cui a qualsiasi attacco atomico bisogna sempre rispondere con forza uguale o superiore, perché non puoi permettere al nemico di prevalere». Il dubbio però non esisterebbe se l’atomica colpisse un territorio Nato: «Ci sarebbe la risposta nucleare, schiacciante e immediata. Non resteremmo seduti a prenderle. Il concetto della deterrenza dipende da questo: minacci l’uso per impedire che avvenga. Da ciò segue la commitment trap, ossia se qualcuno viene ucciso da un’atomica devi rispondere, altrimenti perdi ogni credibilità futura». E gli Usa hanno la capacità di infliggere una risposta schiacciante? «Certo».