il Giornale, 28 febbraio 2022
I 50 anni del Padrino
Era il 1972 e Nixon era appena volato in Cina per mettere le basi al ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra le due potenze. In Italia, eravamo alle prese con il processo per la strage di Piazza Fontana. In questa collocazione temporale, esce, in America, un film che avrebbe rivoluzionato non solo un genere cinematografico, quello gangster, ma la stessa storia del grande schermo. Eppure, Il Padrino, che compie 50 anni, ha avuto una genesi travagliata. A partire dalla scelta, alla regia, di un giovane Francis Ford Coppola, ingaggiato dalla Paramount perché costava poco e perché italo-americano, in modo che si potesse «sentire il gusto degli spaghetti», come affermò Robert Evans, capo della Major.
A dire il vero, il primo nome fu quello di Sergio Leone che declinò cortesemente essendo alle prese con C’era una volta in America. E, prima di Coppola, bussarono alla porta di Elia Kazan, Arthur Penn e Costa Gavras, ma tutti si rifiutarono di trasporre il romanzo di Mario Puzo. Tra l’altro, complimenti a Peter Bart, vicepresidente Paramount che, nel 1967, capì, dopo aver letto 60 pagine del manoscritto, che sarebbe potuto diventare un grande film. Così, andò da Puzo con in mano due offerte: una da 12mila dollari per finire il lavoro e l’altra, 80mila, per trasporlo. Puzo, pieno di debiti di gioco, accettò.
Come produttore esecutivo venne scelto Albert S. Ruddy, quello che aveva gestito la saga di Bond. Mal gliene incolse, perché iniziarono i guai, con tanto di auto crivellata di colpi. Joseph Colombo, che era il boss della famiglia Colombo, una delle cinque di Cosa Nostra che controllavano le attività criminali a New York, fece di tutto per boicottare il film, fino a quando siglò un patto con Ruddy secondo il quale nella pellicola non doveva mai essere pronunciata la parola «mafia». Come avvenne. Anche Sinatra si mise di traverso, organizzando, senza grande successo, una raccolta di fondi contro Il Padrino. Non gli era andato giù il personaggio di Johnny Fontane, a lui ispirato, come ebbe anche a dire a Mario Puzo, assalendolo in un ristorante.
Non fu meno travagliata la scelta del cast. Coppola arrivò a un passo dal licenziamento perché volle tenere duro. Per il ruolo di Vito Corleone, la Paramount voleva ingaggiare uno tra Ernest Borgnine, Edward G. Robinson, Orson Welles, George C. Scott o Gian Maria Volonté. Coppola, invece, scelse Marlon Brando che, però, era malvisto a Hollywood. Così, Francis si presentò a casa Brando facendogli firmare una lettera con la quale si impegnava a risarcire la Paramount, in caso di atteggiamenti dannosi. Bastò poi il suo provino con il cotone in bocca per convincere della bontà della scelta.
Non fu facile nemmeno la firma per Al Pacino, allora semisconosciuto, nel ruolo di Michael Corleone. La Paramount voleva Jack Nicholson, Dustin Hoffman o Robert Redford, ma Coppola non li riteneva, per la loro fisionomia, adatti al ruolo. Pacino, però, non lo aiutò. Al, infatti, era reduce da un provino pessimo: «Non avevo studiato la parte, sapevo che lo Studio non mi voleva e all’epoca non mi impegnavo per un ruolo per cui già sapevo che non sarei stato preso». Infatti, sia lui, sia Coppola, stavano per essere licenziati quando girarono la scena dell’assassinio di Sollozzo e McClusky, perfetta, che cambiò non solo il loro, ma anche il destino del capolavoro.
Il film, capace di riscrivere un genere, dove, di solito, si assisteva alla nascita e caduta del gangster di turno, offrì anche un’interessante rilettura del concetto di famiglia e della figura del padre. Vinse tre Oscar, anche qui, non senza polemiche. Infatti, oltre a quella per Miglior film e Miglior sceneggiatura non originale, ci fu la statuetta a Marlon Brando come Miglior attore. Il quale non si presentò alla premiazione per protestare contro i maltrattamenti ai nativi d’America. Anche Al Pacino boicottò la serata in quanto, essendo più presente in scena di Brando, rivendicò il fatto che dovesse essere lui a ottenere la candidatura come miglior attore. Invece, finì nella cinquina di Attore non protagonista, dove venne battuto dal Joel Grey di Cabaret. E che dire di Nino Rota, dato per vincitore sicuro, ma che venne penalizzato perché un anonimo lo denunciò, all’Academy, contestandogli che uno dei temi era già stato da lui utilizzato nel film Fortunella di De Filippo? Vinse con Il Padrino – parte II. Tante polemiche che non impedirono al film di incassare, nel mondo, fino ad oggi, 1.144.234.000 di dollari. Intanto, dal 28 febbraio al 2 marzo, lo potremo rivedere nelle sale nella sua versione completamente restaurata. Sarà offerto un film nella sua miglior risoluzione possibile, correggendo il colore, riparando macchie di pellicola, strappi e altre anomalie nei negativi.