il Fatto Quotidiano, 28 febbraio 2022
Il doppio gioco di Erdogan
Nell’ottobre 2021, le forze armate ucraine avevano mostrato le immagini di droni d’attacco turchi utilizzati contro delle postazioni di ribelli separatisti filo-russi nel Donbass. Immagini che avevano scatenato le furie del Cremlino. La reazione di Mosca aveva finito col preoccupare Ankara, tanto che il ministro degli Esteri turco, Mevlüt Çavusoglu, aveva chiesto a Kiev di “smetterla di associare il nome della Turchia” all’uso dei droni:”Questi droni saranno pure stati prodotti in Turchia, ma appartengono all’Ucraina e la Turchia non può in nessun caso essere ritenuta responsabile dell’uso che ne viene fatto”, aveva detto Çavusoglu. I droni armati turchi, prodotti da un’azienda che appartiene al genero del presidente turco Recep Tayyip Erdogan, Selçuk Bayraktar, hanno già avuto un impatto forte in conflitti recenti, nel Nagorno-Karabakh e in Libia. L’Ucraina ha firmato un contratto per la fornitura di 24 nuovi droni lo scorso settembre e molti altri paesi dell’Europa dell’est, primo fra tutti la Polonia, si stanno interessando a questo tipo di veicoli aerei senza pilota.
Malgrado si tratti di dispositivi di combattimento utili per quelle forze che non dispongono di un’aviazione forte né di apparecchiature elettroniche di disturbo o antiaeree avanzate, i droni armati turchi non svolgerebbero che un ruolo molto limitato nell’ipotesi di una guerra sul territorio ucraino. Oltre alla fornitura di droni all’Ucraina e agli accordi di cooperazione industriale in materia di difesa firmati con Kiev, Ankara sostiene anche diplomaticamente la posizione ucraina sulla Crimea, annessa militarmente dalla Russia nel 2014. Nella regione risiede un’importante comunità di origini e lingua turca, i tatari, che hanno spesso giocato un ruolo centrale nelle dodici guerre che hanno opposto la Russia all’impero ottomano dal XVI al XX secolo. Ancora oggi Mosca e Ankara si oppongono su diverse questioni geopolitiche, dal Caucaso alla Libia, passando per la Siria, dove Mosca non ha esitato a bombardare le truppe turche nel febbraio 2022, facendo 33 vittime. “Mosca e Ankara stanno facendo in modo di compartimentare al massimo le controversie che le oppongono – spiega Hakan Güneş, docente all’università di Istanbul e specialista dell’Asia centrale e della Russia –, anche se può capitare che gli sviluppi sull’una abbiano degli effetti sull’altra: al momento della crisi dei droni turchi in Ucraina, la Russia ha potenziato la sua base militare di Qamishli, nel nord-est della Siria, un’area detenuta dal forze arabo-curde delle SDF, le forze democratiche siriane, in conflitto con Ankara, in particolare installandovi per la prima volta degli aerei Su-35. Il che era stato interpretato come un messaggio inviato a Erdogan”. Putin ed Erdogan condividono lo stesso linguaggio, quello della forza. Un linguaggio comune che del resto facilita le relazioni tra i due paesi. Erdogan, che è stato più volte ammonito dai leader occidentali rispetto alla condizione delle libertà e dei diritti umani in Turchia, e poiché considera che gli alleati americani e europei sono rimasti sordi alle sue principali preoccupazioni strategiche in Siria e nel Mediterraneo, ha avviato in questi ultimi anni un processo di riavvicinamento alla Russia. I due autocrati cooperano in molti settori, in particolar modo nel settore energetico, per esempio nella costruzione di un gasdotto per il trasporto del gas russo verso la Turchia e l’Europa, il Turkish Stream, e nella costruzione della prima centrale nucleare del Paese, ancora in fase di elaborazione. Russia e Turchia collaborano anche nel settore degli armamenti.
Quando Erdogan ha acquisito il sistema di difesa antiaerea russa S400 ha scatenato una serie di sanzioni da parte degli Stati Uniti che hanno espulso la Turchia dal gruppo di paesi che partecipano all’ultimo programma di aerei di generazione F-35. Le minacce di un intervento militare russo in Ucraina, un paese che mantiene dei rapporti molto buoni con Ankara, mettono a dura prova il complesso sistema di relazioni bilaterali tra Russia e Turchia. I primi di febbraio, il presidente Erdogan è stato in visita in Ucraina, dove ha definito “irrealistica” l’eventualità di un’invasione militare russa e ha proposto che la Turchia, date le sue buone relazioni con entrambi i paesi, potesse svolgere un ruolo di mediatore in vista di una risoluzione della crisi. Per il momento questa offerta di mediazione è rimasta lettera morta. “La proposta è stata piuttosto ben accolta da Mosca, ma non dai paesi occidentali, soprattutto perché esiste già un dispositivo di distensione diplomatica, noto come Formato Normandia, adottato all’epoca della guerra nel Donbass, che riunisce Ucraina, Russia, Germania e Francia, al quale si potrebbero unire anche gli Stati Uniti e che appare più appropriato”, spiega Hakan Güneş. Per Ankara la crisi ucraina potrebbe rappresentare l’opportunità di avviare un processo di riconciliazione con Washington. Se tra l’ex presidente Usa Donald Trump ed Erdogan si era instaurato un eccellente rapporto personale, le relazioni turco-americane si sono degradate molto con l’arrivo alla Casa bianca dell’amministrazione di Joe Biden, che, a differenza del suo predecessore, è molto più sensibile alla situazione dei diritti umani in Turchia ed è critico rispetto alla politica estera aggressiva di Ankara, soprattutto nel Mediterraneo orientale, dove gli Stati Uniti si sono schierati dalla parte di Atene. Ma la Turchia non sembra volersi esporre oltre la questione dei droni venduti a Kiev. In nessun caso si tratta di toccare al Bosforo, lo stretto che collega il Mar Nero al Mar di Marmara e al Mediterraneo e che svolge un ruolo strategico di estrema importanza agli occhi di Mosca. La Turchia intende mantenere il suo ruolo di guardiano dello stretto, anche in caso di crisi. La Convenzione di Montreux del 1936 prevede infatti che i paesi che non si affacciano sul Mar Nero sono autorizzati ad inviarvi una flotta nei limiti di certe dimensioni e per un periodo di massimo tre settimane. “La Turchia ha sempre rispettato questo accordo, anche durante la guerra in Georgia nel 2008. Sicuramente non accetterebbe mai di ridurre il suo controllo ora che le sue relazioni con gli europei e con gli americani sono meno buone rispetto all’epoca”, precisa il professor Güneş.
Soprattutto perché Mosca ha tutte le carte per far rispettare i suoi interessi in questo bizzarro equilibrio tra cooperazione e contrapposizione. In particolare sul piano economico, mentre una grave crisi e l’esplosione dell’inflazione stanno colpendo il paese. La Turchia è molto dipendente dal turismo e in particolare dal turismo russo, che l’anno scorso ha rappresentato 4,5 milioni di visitatori. Nell’aprile 2021, in un contesto di tensioni diplomatiche con Ankara, avanzando come pretesto l’aggravamento della situazione sanitaria dovuta al Covid-19, la Russia aveva cancellato i voli per la Turchia, generando 500.000 cancellazioni di prenotazioni e una significativa perdita di guadagno per il paese. Dal mese di ottobre e con la crisi dei droni, decine di tonnellate di frutta e verdura (un altro settore in cui la Turchia è molto dipendente dal mercato russo) vengono regolarmente bloccate alla frontiera dalle autorità russe, con il pretesto questa volta di una presenza eccessiva di pesticidi. Il difficile equilibrio che Ankara sta cercando di mantenere tra la sua adesione alla Nato, il suo status (molto ipotetico) di candidato all’ingresso nell’Unione europea e la volontà di mantenere dei buoni rapporti con Mosca, in modo tale da non trovarsi troppo dipendente dagli americani e degli europei, per il momento sembra ancora possibile, ma sarà difficile da mantenere in caso di un’escalation in Ucraina. “La Turchia non vuole sollevare l’ira della Russia assumendo una posizione troppo radicalmente filo-ucraina – sottolinea Güneş-. Ma sta cercando di migliorare le sue relazioni con i paesi occidentali, e se dovesse scoppiare una crisi seria, sceglierà di schierarsi con il campo occidentale”.
(Traduzione di Luana De Micco)