il Fatto Quotidiano, 27 febbraio 2022
Biografia di Francesco Paolantoni raccontata da lui stesso
Collegarsi con Francesco Paolantoni, infortunato (anzi, pluri-fratturato) a letto per una caduta con il motorino, è impresa ardua. Non per il dolore, il disagio o il caos. No, proprio perché con la tecnologia il suo conflitto (interiore) prende risvolti da resa incondizionata; così, per vari minuti, sullo schermo appare lui in stile pesce rosso, mentre prova a scandire senza audio, non troppo sconsolato, quasi abituato, fiducioso più nel potere del caso, del dito fortunato nello scovare il tasto giusto sulla tastiera, che della ragione.
Alla fine ’o miracolo del dito. “E pensare che sono stato un pioniere”.
Di cosa?
Della tecnologia. Prima ancora che andasse di moda Internet (di moda…) in televisione ero il nonno multimediale; niente di più sbagliato: ancora oggi non ho idea dell’argomento, figuriamoci allora.
Come le era venuto in mente?
Così, solo un gioco inventato a Mai dire gol; (ride) anzi, in qualche modo creammo una sorta di Alexa, chiamata Guendalin: un dispositivo con il quale parlavo, chiedevo consigli, mi confrontavo.
L’artista anticipa.
Dei visionari; (pausa) con la Gialappa’s mi sono proprio divertito…
E ci torniamo, ma prima: come sta?
Tibia e perone rotti: mi ha fregato una buca stradale; (pausa) pensi che stavo andando al concessionario per acquistare una moto.
Basta due ruote.
No! Anzi, ho pensato: ora che sono caduto posso stare più tranquillo.
Cioè?
È una questione statistica: se sono già caduto e fratturato, posso ritenermi vaccinato sulla sfiga. E potrò andare più tranquillo in moto.
Torniamo a Mai dire Gol: secondo uno dei “Gialappi”, Giorgio Gherarducci, lei è un suo rimpianto.
Eccola là: che ho combinato?
Sostiene che è un talento straordinario, ma pigro.
Ha ragione; (pausa) solitamente la carriera si costruisce sui “no”. Io ho ecceduto. E più che costruirla me la sono demolita e la colpa è stata in gran parte della pigrizia e del timore di non divertirmi; (pausa) ultimamente sono migliorato.
Un esempio di “no”.
Mi proposero una serie televisiva sulla scuola, Caro maestro: al mio posto presero Emilio Solfrizzi; lì, probabilmente, ho sbagliato ma non me la sentivo di trasferirmi per sei mesi a Urbino.
Che ha Urbino?
Nulla! Mi soffoca da sempre l’idea di allontanarmi da Napoli; un’altra volta, dopo aver recitato in Baci e abbracci, stavo per scrivere un film insieme a Paolo Virzì. Poi niente.
Ancora pigrizia.
Eh… (l’elenco non si ferma) Dopo Mai dire Gol i dirigenti di Medusa mi rincorrevano per girare un mio film: macché, non credevo fosse il momento. Quante cazzate.
L’hanno mai accusata di indolenza del sud?
No, ho superato lo stereotipo: la mia è di indolenza paolantoniana.
Insomma, mai via da Napoli.
Pure da ragazzo, quando i miei colleghi partivano per Roma o Milano, non me la sono sentita. Io devo stare qui. Tra questi odori, colori, persone. E questa teatralità: la commedia dell’arte è in tutti noi.
Nell’aria…
Fa parte della nostra cultura e in Stasera tutto è possibile (il martedì su Rai2: lui è ospite fisso) viene fuori: lì sono libero di improvvisare e infatti chi riesce meglio nel programma sono i napoletani.
Le cronache su di lei partono dal 1986: e prima?
Iscritto a una scuola di arte drammatica dove ho imparato ciò che non si deve portare sul palco; anni dopo ho tradotto quell’esperienza in un altro personaggio di Mai dire Gol, De Lollis: in dolcevita nera pontificavo di teatro, con la voce da trombone e tipica gestualità accentuata.
Non si deve.
È di altri tempi: oggi molti attori sono costretti a eliminare la dizione, non è più di moda, soprattutto al cinema; comunque da ragazzo ho portato in scena Brecht, Beckett e contemporaneamente Scarpetta. Quindici anni di teatro anonimo…
Nel frattempo ha mai pensato “mollo tutto”?
Certo. Con Stefano Sarcinelli e l’aiuto di Paola Cannatello, ex fidanzata e tuttora una delle mie autrici più dotate, a metà anni Ottanta inventammo lo spettacolo Fame: saranno nessuno, con debutto allo Zelig di Milano.
E…
Non andò benissimo eppure resistemmo due anni. Ecco, in quel periodo ho vissuto dei cedimenti, pensavo fosse una fatica inutile, fino a quando in un festival mi vide Arbore e mi propose Indietro tutta.
Qual era il suo piano B?
Mica ce l’avevo.
Cosa avrebbe combinato?
Niente; da quando ho sei o sette anni ho sempre e solo voluto diventare un attore; poi negli anni Settanta ho vissuto quel momento di magia artistica guidata da fenomeni come Edoardo Bennato, Massimo Troisi e Pino Daniele; (cambia tono) a Pino avevo chiesto di comporre le musiche del mio film.
E pure qui…
Aveva accettato, poi sempre per quella pigrizia ho rinunciato. Mi prenderei a schiaffi (effettivamente un ceffone se lo dà). Lasciamo perdere (pausa, poi…) un’altra volta non è stata colpa mia.
Che è successo?
Un giorno mi chiama Nuti: “Giriamo un film: saremo due fratelli”. Va bene. Un mese dopo Francesco ha l’incidente e finisce tutto (ci pensa). Ho sfiorato momenti meravigliosi.
C’è un però?
Mi dico “va bene così”. Per fortuna sto vivendo un’altra chance, un’altra giovinezza di successo e nella vita non capita quasi mai; mentre per qualche anno sono rimasto per i fatti miei, giusto un po’ di teatro. Qualcosa è cambiato grazie anche a Stasera…
Com’era Pino Daniele?
Un uomo un po’ difficile, con un carattere particolare, ma di una generosità e una simpatia non facilmente riscontrabili; con lui mi sono divertito tanto: aveva un’ironia molto napoletana ed era uno sfottitore micidiale.
Massimo Troisi.
L’ho conosciuto meno, più che altro lo vedevo quando veniva a trovarci a Indietro tutta.
Secondo Arena era lì per un solo motivo.
E certo, per le ragazze coccodè, mica per noi.
Anche lei deve dire grazie ad Arbore.
Sì, però quell’esperienza, e sottolineo purtroppo, professionalmente non mi è servita; resta il piacere di aver partecipato a un programma storico. E già allora ne avevo la consapevolezza.
La fama, quando?
Con Mai dire Gol: avevo già quarant’anni.
È un bene o un male?
Per fortuna ho sempre mantenuto una certa lucidità, del tipo: oggi è così, ma tutto può finire. Quindi me la sono vissuta con un godimento fine a se stesso e la certezza del gran culo: ci sono in giro artisti bravissimi che non hanno la possibilità di esprimere il proprio talento.
Quanti l’hanno fermata per strada per il suo tormentone “ho vinto qualche cosa?”
Ancora oggi è un continuo. Ed è meraviglioso.
Un insospettabile fan…
Paolo Conte: proprio lui mi ha dedicato un “ho vinto qualche cosa”; però sono felice quando incontro nonni e bambini ed entrambi mi riconoscono; con i piccoli per anni ho mantenuto un rapporto di amore e odio, non li sapevo trattare, mentre ultimamente va meglio.
Non si è mai sposato.
E molti mi invidiano. Moltissimo. Ho una filosofia che adotto da sempre e con gli amici mi raccomando: “Stai attento, pensaci bene”.
Pure per lei, da Mai dire Gol, se ne andò Teocoli.
Ma lo sa che questa storia non l’abbiamo mai affrontata? E perché è accaduto?
Geloso del vostro spazio in trasmissione.
Non ci avevo mai pensato, ma può essere; Teo nel suo grandissimo talento ha una vena di follia estrema.
Qual è la sua vena di follia?
(Prende tempo, inizia più volte una risposta. Alla fine…) Credo di esserlo, però riesco a conservare un equilibrio; sono così anche nella vita, quello che uno vede in trasmissione lo uso naturalmente. E questa vena mi ha regalato una vita sopra le righe e la possibilità di restare giovane, forse bambino.
La sua età.
Oscillo tra i 15 e i 35 anni; ogni tanto, ma raramente, mi sento un cinquantenne.
Con i suoi coetanei si rompe.
(Una lunga pausa) Li frequento poco.
Prima dello spettacolo è teso?
Mai. Ogni volta penso: ora vado a divertirmi.
Vuoto di memoria?
Li adoro. Mi consentono di affrontare vie non pensate; (sorride) c’è una categoria di attore, quelli rigidi, rigorosi, che se gli dai una battuta leggermente diversa va in panne.
Le è capitato.
Ero in uno spettacolo allo Stabile di Torino, regia di Ugo Gregoretti, una cosa insostenibile: ogni tanto venivano fuori i miei personaggi.
Cioè?
Le mie vocine, le movenze strane. Mi hanno cacciato.
Ci rimase male.
No, lo immaginavo; (cambia espressione, e con la mente torna a prima) per il film con la Medusa, siccome non mi sentivo pronto a scriverne uno, chiesi a vari giovani sceneggiatori di mandarmi dei loro lavori; uno di loro mi inviò un soggettino, ma non rientrava nella mia cifra artistica, ne desideravo uno più comico. Rifiutai.
Dov’è il dolore?
Era Paolo Sorrentino: (sconsolato) ma che le devo dire; poi queste sono persone che, dopo vent’anni, ancora se lo ricordano. E giustamente.
Dov’era quando è arrivato Maradona?
(Si risolleva l’umore) A Napoli. Lo stavo aspettando. È stato meraviglioso, una rivalsa sociale: ci ha tolto da quel clima di rassegnazione, di umiliazione e finalmente siamo tornati la capitale europea; ecco, Sorrentino con il suo film mi ha restituito quel momento.
Così ci fa pace.
Eh, perché no?
In fin dei conti è stato candidato al Nastro…
Con Baci e Abbracci di Virzì pure al David, poi ovviamente c’era Silvio Orlando e altri attori più conclamati. Sono soddisfazioni.
Si è mai sentito sottovalutato?
Forse negli ultimi anni; non dico che meritavo più di altri, ma almeno quanto gli altri. Adesso no, sono contento.
Quanti l’hanno accusata della sindrome di Peter Pan?
Alcuni sì; però lo ripeto: alcuni mi invidiano.
Nelle relazioni?
Eh, lì un po’ di più.
Primo sfizio con i soldi guadagnati.
Comprato casa. All’epoca avevo quella necessità, oggi l’idea del possesso non la tollero. Meglio l’affitto.
Ogni legame va evitato.
Eccome. Ora lo sfizio è quella moto: credo sia l’ultima volta di una due ruote, giovedì ne compio 66.
Non si vede.
Lei è molto caro.
Chi è lei?
Una persona perbene. E ci tengo tanto.