La Stampa, 27 febbraio 2022
Fenomeno Nft, il gioco dell’arte
Beeple, negli Anni 80, era un peluche prototipo dei pupazzi interattivi. Quarant’anni dopo, Beeple è il nome d’arte di Mike Winkelmann, autore della terza opera più pagata di sempre tra i contemporanei. Autore, non artista, sottolineano in tanti, come a mettere un distanziamento sociale rispetto a chi sta nei due primi gradini del podio: Jeff Koons e David Hockney, scultore il primo, pittore il secondo. E Beeple? Al computer ha realizzato un’immagine – Everydays: The First 5000 days – composta da miniature di foto. Un collage che non si misura in centimetri ma in pixel, che con non poche difficoltà si appende a un muro (certo, si può stampare ed è stato fatto), più facilmente sta in un pc, in un telefono, in una videoinstallazione. Chi l’ha acquistata ha pagato 69,3 milioni di dollari, ovvero più di 61 milioni di euro e ne è proprietario unico, grazie al fatto che quell’opera è un Nft.
E qui si aprono più fronti. Primo: che cos’è l’Nft? Secondo, è vera arte? Terzo: e perché Nft&Arte oggi muovono un’economia da 41 miliardi, sì, miliardi, di dollari?
Primo tema. Per capire l’Nft bisogna uscire dal mondo reale ed entrare in un computer. E avere un gettone (il token) «che ha una propria individualità che lo rende unico, oltre che non frazionabile», spiega l’avvocato Angela Saltarelli, che nello studio legale Chiomenti si occupa di diritto dell’arte e beni culturali ed è Arbitro della corte internazionale per l’Arte. «Gli Nft sono quindi beni digitali e crittografici che vengono registrati su una blockchain, rappresentativi a loro volta di beni digitali o fisici». «Quel numero seriale creato garantirà la proprietà e l’unicità di un oggetto», aggiunge Achille Minerva, esperto di cryptovalute e che a New York ha realizzato una piattaforma per fare incontrare venditore e acquirente (italianft.art). Sarà come avere tra le mani l’atto firmato da notaio, con meno burocrazia.
Secondo fronte: «Certo quella di Beeple è un’opera d’arte - dice Pietro Kobau, docente di Estetica all’università di Torino – ma altre no, sono giochi, e penso ai Krypto kitties (venduti a oltre 100 milioni di dollari, ndr) o altri pupazzetti orrendi. Più in generale, non credo che gli Nft rappresentino una nuova forma di arte destinata a cambiare il mercato». E così la pensa Deodato Salafia, gallerista che con la Deodato Arte è presente a Milano e in Europa: «Nella prima ondata di Nft veniva digitalizzata qualsiasi cosa. Chiamiamola come vogliamo, ma non è arte. Poi ci sono lavori interessanti, ma è così nell’arte digitale da trent’anni». Anche per questo, Salafia ha commissionato a un artista una serie di opere classiche rivisitate a formare una mostra che potrebbe intitolarsi così: "L’Nft ha ucciso l’arte".
Eppure, tra collage in jpg e gif animate di scimmiette annoiate o gattini affettuosi il business del momento è questo. Perché? «Perché chi ha perso l’occasione con i bitcoin, il cui valore è cresciuto esponenzialmente, oggi ci prova con gli Nft, dove i valori delle singole opere sono lievitati, ma senza che ci fosse un’autentica domanda a fronte dell’offerta», osserva Deodato. Minerva ha logicamente un punto di vista differente: «Una bolla? No, viviamo in una realtà digitale, ogni like che mettiamo sotto un’immagine sui social è realtà digitale. Stiamo vivendo una rivoluzione democratica, dove l’arte non viene vissuta passivamente, non è solo per sé stessi, ma può essere messa a disposizione di una comunità». Anche l’avvocato Saltarelli è in linea: «Gli Nft non sembrano essere un oggetto da collezione passeggero, ma sembrano piuttosto costituire un trend che caratterizzerà l’arte contemporanea nei prossimi anni. Occorre, che sia chiaro ai consumatori che le condizioni di acquisto degli Nft e l’ampiezza dei diritti acquisiti sono, tuttavia, definite contrattualmente dall’accordo stipulato con la piattaforma tramite cui i consumatori acquistano tali prodotti digitali». Se il tema della rivoluzione è caro a chi vive il mondo digitale, lo è meno a chi ama l’arte da maneggiare, da appendere al muro. È la dematerializzazione dell’oggetto. «Penso alle immagini tridimensionali e poi al Cristo Velato – riflette il professor Kobau – e il desiderio che trasmette vedendolo, quello di sfiorarlo, di capirlo, perché le statue chiedono di essere toccate. Allora bisogna ripartire dalle teorie della percezione per arrivare a quelle dell’estetica».
Blocchi. A questo fa pensare un viaggio nel mondo degli Nft. Posizioni contrapposte (digitali e classici), generazioni a confronto («i collezionisti ne stanno alla larga», dice Salafia, e chi compra Nft e spende ha infatti meno di quarant’anni), filosofie economiche che stanno su fronti distanti («Rivoluzione», secondo Minerva, «democratizzazione» per Saltarelli, «Utopia» per Salafia e «mera speculazione» per Kobau). Senz’altro qualcosa di nuovo e che quindi avvicina fascinazione e timore. Nel mezzo ci sono gli artisti. Convinti alcuni, dubbiosi altri, curiosi molti, già pentiti in tanti. Esempi? Hackatao, duo artistico italiano: «I loro lavori esposti qui in galleria non funzionavano», dice Salafia. Ora sono tra i pionieri della Crypto Art, dove "vivono" dal 2018, ben prima che esplodesse il fenomeno. L’americano Shepard Fairey (Obey), famoso per l’iconica immagine di Obama, con gli Nft ha fatto beneficenza. L’ex videomaker di Banksy, l’artista Mr. Brainwash si è tuffato in questo mare, ma sta tornando a riva come Takashi Murakami. Lo stesso Hockney, insidiato in seconda posizione da Beeple nella top three degli artisti più valutati al mondo, non si risparmia: «The First 5.000 days non esiste», dicem sentendosi rispondere dal diretto interessato «cerco consigli per una stampante, budget 69 milioni di dollari».
E infine ci sono i collezionisti (o investitori): il calciatore Marco Verratti è l’ultimo contagiato dall’Nftmania e ha coinvolto calciatori del Psg, convincendoli anche all’ingresso nel Metaverso, evoluzione degli Nft, una second life dove sfoggiare tutto quel che è virtuale. Un mondo parallelo. Non dovesse piacere quello che abitiamo.