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 2022  febbraio 27 Domenica calendario

Intervista a Daniel Kehlmann

BERLINO
Reduce dal suo adorato Sudamerica, Daniel Kehlmann ci racconta su Skype come nasce il suo ultimo racconto, Te ne dovevi andare (Feltrinelli) uscito in questi giorni in Italia. Ma dopo il successo mondiale de La misura del mondo lo scrittore tedesco ci svela anche perché è sempre stato affascinato dagli scienziati, perché la guerra contro l’irragionevolezza comincia dal supermercato e come i tedeschi riescano a far convivere, non sempre felicemente, irrazionalità e rigore implacabile.
Kehlmann, perché ha scelto una storia di fantasmi per il suo ultimo racconto?
«Sognavo da anni di scrivere una storia di fantasmi. Quando mio figlio era piccolo comprammo un baby monitor. Sono aggeggi con una telecamera a infrarossi che si punta sul bambino. Un giorno ho pensato: se apparisse un fantasma accanto a mio figlio morirei d’infarto. È allora che mi è venuta l’idea per il racconto».
Lei ha scritto uno dei più grandi successi mondiali della letteratura tedesca, “La misura del mondo”.
Uno stupendo racconto di due geni del loro tempo, Humboldt e Gauss, che incrociano altri geni come Kant e Goethe. È stato un omaggio al classicismo o un’operazione nostalgica?
«È un romanzo ambientato nel periodo del classicismo tedesco, ma anche nell’Illuminismo. E l’Illuminismo, grazie a Dio, non sembra così lontano. Inoltre amo molto un filone che è totalmente l’opposto della letteratura tedesca: la letteratura sudamericana. Mi ha influenzato molto. E ho sempre pensato che come autore di lingua tedesca sarebbe stato ridicolo scrivere un romanzo sudamericano. Poi ho scoperto Humboldt come personaggio, quando andò in Sudamerica come emissario di Weimar. In un certo senso, poteva essere il mio espediente, il mio accesso al mondo letterario sudamericano.
Ho pensato che in lui questi due mondi potessero convivere».
Tre secoli dopo l’Illuminismo, bisogna fare i conti con il fatto che molti cittadini non abbiano alcuna fede nella scienza. E in un’epoca in cui la scienza sembrerebbe preponderante.
«Sì. Perché siamo stati troppo disattenti nella vita di tutti i giorni e non abbiamo messo in discussione le cose che andavano messe in discussione. Anche io sono andato da medici che mi hanno prescritto dei globuli omeopatici. E ho pensato “che sciocchezza!”. Ma ho pensato anche, “beh, non può fare danni”. Insomma, ho preso quei globuli. E purtroppo una parte della medicina alternativa si è trasformata in Germania in una sorta di rete di propaganda contro la ragione e contro il vaccino.
Abbiamo sopportato immense sciocchezze e follie. Ovvio che dobbiamo cercare il dialogo. Ma non possiamo essere troppo tolleranti verso tutte le sciocchezze irrazionali. Peraltro è una battaglia che può fare ognuno di noi, nella sua vita quotidiana. Inizia quando andiamo al supermercato e vediamo che vende “acqua viva”».
E cos’è?
«Esatto. Me lo sono chiesto anche io. E ho scoperto che ci sono diverse aziende che la producono. È un industria. È acqua che non è morta come la nostra povera H 2 O, bensì arricchita di qualche elemento energetico. Insomma, dovremmo cominciare ad arrabbiarci già quando andiamo a fare la spesa».
L’irrazionalità è un fiume carsico della storia e della cultura tedesca, Thomas Mann ne era terrorizzato.
«Infatti. D’un lato in Germania sei circondato da una burocrazia folle, in ogni ambito. I tedeschi amano le regole, non c’è niente da fare.
Penso che sia soprattutto l’eredità prussiana - in Austria e anche nel sud della Germania è molto diverso.
Kleist era prussiano e scrive sempre di questo conflitto tra libertà e regole. O Kant, che ha anche derivato la sua filosofia morale fortemente da regole astratte, auto imposte. Ma naturalmente c’è anche il Romanticismo, che è una corrente e un’invenzione tedesca. E questo tratto molto irrazionale nel tedesco è senza dubbio il suo subconscio. Io stesso sono affascinato dalla superstizione e dalle storie di fantasmi. E non sarei affatto sorpreso se mi svegliassi di notte e ci fosse un fantasma nella stanza.
Ma penso anche che essere razionali sia una cammino in divenire, una sfida costante. E bisogna distinguere tra credere nei fantasmi o in un vaccino duranteuna pandemia. Se scrivo una storia sono assolutamente disponibile a far irrompere l’irrazionale. Ma nella medicina, nella vita reale, andrebbe evitato. Nella scienza, la noiosa competenza è la cosa migliore che ci possa capitare».
Ma come bisogna comportarsi con i no vax?
«Non lo so nemmeno io. In realtà non credo molto all’obbligo vaccinale. È qualcosa che divide molto, è pericoloso. Una mia amica mi ha detto di recente che “il problema della destra è che non accetta che i migranti appartengano al popolo. Il problema della sinistra è che non accetta che gli idioti appartengano al popolo”. Non so, sinceramente, come convincere i no vax, penso che sia tardi».
Lei è sempre stato affascinato dagli scienziati, anche nei suoi primi racconti e romanzi.
Perché? E avrebbe mai pensato di avere un successo mondiale con un libro su Humboldt e Gauss?
«No, non me lo sarei mai aspettato.
Il fatto che sia un libro divertente, una commedia, credo che aiuti. Ma forse i lettori sono affascinati dal fatto che gli scienziati sono persone che tentano di mettere ordine nel caos, che si imbarcando nell’avventura della ragione. Ho scritto ad esempio una commedia intitolata Ghosts in Princeton su Kurt Gödel, il più grande logico dei nostri tempi, che credeva nei fantasmi e morì di paranoia. Questo conflitto tra razionalità e oscurità mi affascina. Sempre».