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 2022  febbraio 27 Domenica calendario

Parla la madre di Dj Fabo

«Oggi sono cinque anni che mio figlio è morto in Svizzera, ma la legge in cui sperava, perché quelli come lui potessero smettere di soffrire nella loro casa, nel loro letto, con amici e famiglia accanto, ancora non c’è in questo Paese.
Ancora oggi chi decide che la sua vita è una insopportabile sofferenza deve emigrare di nascosto come un ladro. Non solo, provo rabbia e vergogna all’idea che non abbiano lasciato votare il referendum sull’eutanasia. Ora siamo tutti un po’ più prigionieri». Carmen Carollo parla con forza e commozione, il tempo non lenisce la ferita, l’assenza del suo ragazzo a cui parla, a cui racconta le lunghe giornate perché lo sente accanto, dentro di sé ogni ora. Carmen è la mamma di Fabiano Antoniani, dj Fabo, il disk jokey milanese, viaggiatore per il mondo che nel 2017, cieco e tetraplegico per un incidente, dopo anni di sofferenza morì grazie al suicidio assistito.
Marco Cappato, dell’associazione Coscioni, che lo aveva accompagnato, si autodenunciò, rischiando 12 anni di carcere. Finì assolto grazie a una sentenza della Consulta che nel 2019 ha legittimato in alcuni casi il suicidio assistito e ha invitato il Parlamento a legiferare in materia.
Cosa ricorda dell’ultimo giorno con suo figlio?
«Il peggio è stata la partenza, portarlo in Svizzera, verso la fine che desiderava. Mentre lo avevo accanto in macchina pensavo al mio viaggio di ritorno, quando lui non sarebbe stato più con me.
Qualcosa di impensabile. Come fa una madre a desiderare la morte del figlio, di un figlio che ho aspettato per dieci anni perché non restavo incinta? Eppure. Quando siamo arrivati, quattro amici gli hanno fatto una sorpresa, ed è stata una giornata di risate, dolce. Fabo era sereno, chiacchierone. Quando è stato il momento, dopo che il medico gli ha chiesto ancora una volta se era sicuro di volerlo, mi ha guardato, gli ho sorriso e gli ho detto per la prima volta: “La mamma vuole che tu vada”. Solo allora lui ha stretto i denti per azionare il macchinario. E, giuro, è morto sereno».
Prima era contraria a lasciarlo andare?
«Era cieco, tetraplegico, ma per un po’ ha cercato di tirare avanti. Ha sperato anche nelle staminali, quando invece ha capito che non c’era più nulla da fare, mi ha chiesto: mi vuoi anche così? Io gli ho risposto sì. Sono una mamma, come potevo pensare di volere la sua morte? Solo dopo ho capito che ero egoista».
Cosa l’ha convinta?
«Il suo perenne dolore tra mille contrazioni, io che sono contraria a tutte le droghe mi sono persino messa a coltivare la cannabis per fare delle gocce che gli dessero sollievo. Era terribile poi la continua umiliazione che vedevo sul suo volto. Non ne poteva più di sentirsi un oggetto in mani altrui, toccato in tutti i posti perché non poteva fare nulla da solo. Per lui non era vita, non era qualcosa degno di essere vissuto. Ma non gliel’ho mai detto per anni che avevo cambiato idea».
E quando Fabo ha chiesto di morire?
«Valeria, la sua straordinaria compagna che gli ha sempre portato il sole, il mondo nella sua stanza, e che gli è stata vicino fino alla fine, ha contattato Cappato che ha spiegato a lui e a tutti noi le diverse possibilità. Fabiano ha scelto la Svizzera, il suicidio assistito, una morte immediata, non voleva morire poco a poco, costringerci a vederlo spegnersi in una lunga agonia».
Chi è per lei Marco Cappato?
«Marco per me è come un figlio, gli voglio bene per il suo coraggio, per come si batte perché tutti siano liberi di scegliere, per come ha affrontato un processo, rischiato dodici anni di carcere, per come è stato vicino a noi fino alla fine e anche ora».
Cos’ha pensato dopo la sentenza della Consulta che autorizzava il suicido assistito?
«Che Fabiano sarebbe stato felice, anzi era felice. Lui sarebbe stato contento dell’assoluzione di Cappato, delle cose che stavamo cambiando, per tutti. Avrebbe potuto morire segretamente rischiando meno, aveva invece voluto che la sua fine fosse pubblica per aiutare anche gli altri, quelli come lui. Per questo penso che ora sia incavolato, perché non hanno permesso il referendum».
Il referendum sull’eutanasia?
«Sì, io provo rabbia, senso di ingiustizia. Non riescono a capire quello che non provano sulla loro pelle, non riescono a sentire il dolore di chi non ha vie d’uscita da sofferenze senza fine. Non pensano a quel milione e più di persone che ha firmato pensando ad amici genitori figli nel dolore?».
Cosa vorrebbe dire ai politici che stanno discutendo la legge?
«Si mettano una mano sul cuore pensando a chi sta male. La vita è di chi la vive».