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 2022  febbraio 27 Domenica calendario

Intervista a Valeria Bruni Tedeschi

Parigi, sabato sera. Nella casa borghese bohémien di Raf e Julie, la prima disegnatrice di fumetti, la seconda editrice, scoppia il litigio. Di quelli brutti, volano paroloni, Julie prende la porta e se ne va. Raf la insegue, scivola, si rompe un braccio. Stessa sera, negli Champs-Élysées scoppia la consueta guerriglia dei gilet gialli, volano le pietre, le molotov, i proiettili. E intanto, poco lontano, in un Pronto soccorso, scoppia il caos sanitario: alla già caotica routine s’aggiunge l’emergenza manifestanti. Succede a Parigi, tutto in una notte, commedia amara di Catherine Corsini, protagoniste Valeria Bruni Tedeschi e Marina Fois, dal 10 marzo in sala. 
«La fracture», titolo originale ed emblematico, qui è sicuramente multipla.
«Una al gomito, un’altra affettiva, altre ancora sociali e sanitarie… Le lacerazioni sono tante, quel che emerge è lo scollamento tra Stato e cittadini, un Paese a pezzi in tutti i sensi» ammette, al telefono da Parigi, Bruni Tedeschi. 
Cominciamo dal privato, la coppia lesbica sull’orlo della crisi di nervi. L’amore gay è più esposto agli scossoni della vita?
«Ma no, l’amore ha le sue fragilità comunque lo si declini. E tra Raf e Julie l’amore c’è. Incrinato, ferito, ma vivo. Se Julie, più razionale, vorrebbe arrendersi all’evidenza dell’inferno quotidiano, Raf, più emotiva ed egocentrica, è decisa a combattere. A usare ogni arma, dalle lacrime ai baci, dalla discussione alla tenerezza, per riconquistare la compagna». 
Lei condivide questa posizione? 
«Assolutamente sì. È così raro l’amore, così prezioso, che quando lo incontri devi tenertelo stretto. L’amore è fragile, ha bisogno di attenzioni continue se no rischia di appassire. E non è detto che ne spunti un altro». 
Il gomito rotto porta Raf e Julie in un Pronto soccorso. Ha mai vissuto una simile esperienza?
«Solo per accompagnare un amico che stava male. Tutta quella gente dolente, spaventata, in attesa del proprio turno… Un non luogo dove il tempo sospeso crea una strana comunanza tra persone le più disparate. Raf si ritrova su una brandina fianco a fianco con Yann (Pio Marmaï), camionista rimasto ferito nella protesta, uno arrabbiato contro quelli come lei, borghesi privilegiati. La lunga attesa consentirà loro di mettersi a confronto». 
Poche ore bastano a far mutare idee e pregiudizi? 
«Qualcosa può accadere. Piccoli cambiamenti, certo. Da quel Pronto soccorso tutti usciranno un po’ diversi, per la prima volta hanno guardato l’”altro” negli occhi, hanno ascoltato le sue ragioni». 
Un ascolto che oggi sembra essere il grande assente nel privato e anche nel politico. 
«Raf dice a Yann: davvero pensavi che Macron accettasse di ascoltarvi? Lo dice con stupore, da intellettuale che non si sorprende del silenzio del potere. Ma quella gente scesa in piazza perché non arriva a fine mese, se non è ascoltata grida, batterà i pugni sulla porta che gli viene chiusa in faccia». 
Inascoltate sono anche la ragioni dei sanitari. Così convincenti da sembrare veri. 
«Perché lo erano! Medici e infermieri reclutati in tempo di Covid, il caos era più che reale. Allora tutti li chiamavano eroi, appena passata l’emergenza sono stati dimenticati. Hanno portato nel film la verità di una sanità allo stremo». 
Per chi voterà alle prossime elezioni? 
«Macron non è certo il mio idolo, troppo a destra, troppo poco attento alle istanze climatiche. Ma alla fine, passa la logica del meno peggio. Non sono ottimista sul futuro della Francia, come su quello di un pianeta malato. Da una parte ci sono le ragioni dei popoli, dall’altra quelle dei potenti, troppi pazzi furiosi, portatori di orrore». 
Prossimo film? 
«Come attrice mi aspetta il secondo set di Ginevra Elkann, un film corale che mi porterà a ritrovare amici come Golino, Scamarcio, Alba Rohrwacher. Ma prima devo finire il mio film da regista». 
Che sarebbe? 
«Les Amandiers, in francese i mandorli, ma anche il nome della scuola di Patrice Chéreau a Nanterre, che ho frequentato negli anni 80. Una storia di teatro e vita. Louis Garrell sarà Chéreau, regista a cui devo tutto. Sarà il mio modo di restituirgli un po’ di quel che ha dato a tutti noi».