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 2022  febbraio 27 Domenica calendario

Paul Kennedy: «L’economia russa non reggerà»

«L’attacco all’Ucraina isola Putin su tutti i fronti: all’Onu come davanti all’Europa, mentre perfino il Kazakistan, stretto alleato di Mosca, rifiuta di mandare truppe in Ucraina. Guai, per lui, anche in casa: abbiamo visto tutti le scene del Consiglio di sicurezza russo e di come il presidente ha liquidato i tentativi, anche di uomini molto vicini a lui, di convincerlo a dare un’altra chance al negoziato. Non credevo, poi, che a Mosca e San Pietroburgo potessero inscenare proteste così tanti russi nonostante la dura repressione. Ma, al di là della condanna mondiale, Putin sta commettendo lo stesso errore dell’Unione sovietica di 40 anni fa: uno sforzo bellico sproporzionato rispetto alla realtà economica del suo Paese. Oggi può mettere a ferro e fuoco l’Ucraina, ma alla fine non credo che uscirà vincitore dalla sfida che ha lanciato».
Autore di molti saggi, a partire dal celeberrimo Ascesa e declino delle grandi potenze nel quale fin dalla metà degli anni Ottanta aveva previsto la caduta dell’Urss per overstretch (la terra dei soviet dissanguata dal trasferimento delle sue scarse risorse all’apparato bellico), tre mesi fa, in un’intervista al Corriere, lo storico Paul Kennedy, convinto che la Cina per ora non prenderà con la forza Taiwan, si era detto, invece, molto preoccupato per l’Europa: «Putin ha un’ossessione ideologica sull’Ucraina, vuole difendere la cultura russa nell’ex Urss ed è convinto di avere un ruolo speciale nel destino della Russia. Una combinazione molto pericolosa». Torniamo dallo storico di Yale ora che la sua profezia si è avverata. 
Oggi Putin gestisce con feroce determinazione un attacco che ha preparato meticolosamente: sfida un Occidente mosaico di democrazie con interessi spesso divergenti e una Nato arrugginita e burocratizzata. Le sanzioni, se funzionano, daranno risultati tra mesi: adesso c’è solo l’eroica resistenza degli ucraini. 
«Putin ci sembra forte perché ha speso il 70 per cento del bilancio del suo Paese per costruire nuovi missili, navi e aerei. Ma l’economia russa ha basi molto fragili. Oggi questo non appare con evidenza perché Mosca vive sui suoi sterminati giacimenti di petrolio e gas, oltre che sulle riserve di grano. È difficile, quindi, varare sanzioni di efficacia immediata. Quelle decise, comunque, morderanno nei prossimi mesi. Per ora l’attacco all’Ucraina continua, ma in esso Putin sta probabilmente gettando l’80 per cento delle sue forze militari effettive. Non so per quanto sia sostenibile e le sanzioni, col tempo, cominceranno a mordere. Invadendo un Paese sovrano, lui, in realtà, sta dando nuovo vigore alla Nato e alla Ue: le fa ringiovanire». 
Uno come Putin che sbaglia i calcoli? 
«È cambiato. Conoscevamo un leader autoritario ma anche pragmatico. Magari brutale, ma con grandi capacità di analisi politica: un Bismarck. Oggi abbiamo davanti non solo un leader dogmatico, sempre più ossessionato dalla questione ucraina, che si sente tradito dall’Occidente. C’è di più: guardi la distanza che mette tra sé e gli altri quando riceve leader o riunisce i suoi ministri. Guardi le immagini della cerimonia della “Guerra patriottica”, il giorno prima dell’attacco. Mentre depone una corona di fuori sembra in trance e tiene tutti lontanissimi: più che Bismarck sembra il Grande dittatore del film di Charlie Chaplin del 1940».
Sempre convinto che la Cina non attaccherà Taiwan? Pechino non potrebbe approfittare della crisi ucraina per imporre un rimescolamento di carte degli equilibri mondiali? 
«Non credo. Xi Jinping non ha fretta come Putin: il tempo gioca a suo favore, lui è più attento alla reputazione della Cina, non vuole rompere con l’Occidente. L’altra sera noi docenti di Yale ci siamo incontrati su Zoom coi colleghi di una grande università cinese, alla presenza anche di due membri del Politburo, per celebrare i 50 anni della visita di Richard Nixon a Pechino che aprì alla Cina le porte del mondo. I cinesi, compresi i membri del Politburo, sono stati fermi nel condannare quello russo come l’attacco ingiustificato a un Paese sovrano. Poi, certo, hanno anche sottolineato che quello di Taiwan è un caso diverso perché giuridicamente l’isola fa parte della Cina, non è un’altra nazione. Ma senza toni minacciosi. Non credo che la Cina voglia rendere ancora più esplosiva questa crisi». 
Biden ha risposto di non essere in grado di rispondere quando gli hanno chiesto se la Cina parteciperà allo sforzo di isolare la Russia. 
«E ha fatto bene: Xi non può certo diventare la pedina di un accerchiamento della Russia condotto con la regia Usa. Ma se ci saranno sanzioni finanziarie contro Mosca decise da organismi internazionali penso che Pechino non si opporrà». 
Anne Applebaum, intervistata dal «Corriere», teme addirittura che Putin voglia minacciare la Germania: ricorda che alcuni anni fa il ministro degli Esteri russo Lavrov sostenne durante una conferenza internazionale che la riunificazione tedesca è stata fatta in modo illegale. 
«Anne è molto acuta. Per Putin effettivamente la Germania è una ferita aperta come la dissoluzione dell’Urss: quando cadde il muro di Berlino lui, giovane funzionario dell’ufficio del Kgb di Dresda rimasto improvvisamente senza protezione, bruciò i documenti segreti e fuggì a Mosca. Un’umiliazione che brucia ancora e lo spinge a contestare una riunificazione per la quale, forse, manca qualche firma nei documenti formali che dovevano essere sottoscritti dalle quattro potenze occupanti del trattato di Potsdam – Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia –, ma che, in realtà, è stata ratificata due volte da Mosca: nell’89 e poi nel 1991, quando si è dissolta l’Unione sovietica. È un’altra ossessione e, quindi, è pericolosa ma, come dicevo prima, non credo che Putin abbia mezzi militari per andare molto oltre l’Ucraina. Potrebbe essere tentato da una prova di forza in piccoli Stati, come le repubbliche baltiche. Sarebbe una mossa folle, dagli effetti disastrosi per tutti». 
Molti, a destra, attribuiscono la crisi, oltre che alla ferocia di Putin, alla debolezza di Biden. Che è, però, indebolito da un Trump che continua a negare la legittimità della sua elezione e a elogiare il dittatore russo: per lui è un genio e un uomo saggio. 
«Trump ammira Putin: vorrebbe essere un autocrate come lui. Queste sue lodi potrebbero rivelarsi una buona notizia nel lungo periodo: potrebbero essere la scossa che sveglia i repubblicani seguaci dell’ex presidente. La maggioranza degli americani detesta Putin e l’isolazionismo dell’estrema destra americana».