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 2022  febbraio 27 Domenica calendario

L’esempio di Mussolini in Etiopia

Non sappiamo ancora con precisione, mentre scrivo, come verranno adottate le sanzioni imposte alla Russia di Putin dagli Stati Uniti e da alcuni Paesi della Nato. Colpiranno probabilmente gli scambi commerciali con la Russia e la vendita a Mosca di alcune materie prime. Interromperanno le forniture del gasdotto gestito dalla Germania. Colpiranno le relazioni finanziarie con le banche russe e potranno espellerle dal sistema Swift: una società che permette ai soci di condividere informazioni e istruzioni, ma anche di fare transa-zioni di sicurezza e operazioni di tesoreria. Le sanzioni potrebbero quindi azzoppare il sistema bancario russo, ma questi sistemi giovano generalmente a tutte le parti che se ne servono abitual-mente; e vi è quasi sempre in questi casi il Paese che s’impegna formalmente ad applicare le sanzioni, ma trova poi il modo per aggirarne le regole. Le più efficaci, forse, potrebbero essere le sanzioni ad personam contro gli oligarchi e qualche ricco esponente russo, anche se si tratta di persone che sanno generalmente come nascondere il loro denaro. L’Italia ha in questa materia un’esperienza che può essere utile ricordare. Quando il nostro Paese, governato allora da Mussolini, invase l’Etiopia, il 3 ottobre 1935, esisteva un organismo, la Società delle Nazioni (un’antenata dell’Onu ideata dal presidente americano Woodrow Wilson) e uno statuto in cui era scritto: «Se un membro della Lega ricorre alla guerra, (…) sarà giudicato ipso facto come se avesse commesso un atto di guerra contro tutti i membri della Lega, che qui prendono impegno di sottoporlo alla rottura immediata di tutte le relazioni commerciali e finanziarie, alla proibizione di relazioni tra i cittadini propri e quelli della nazione che infrange il patto, e all’astensione di ogni relazione finanziaria, commerciale o personale, tra i cittadini della nazione violatrice del patto e i cittadini di qualsiasi altro Paese, membro della Lega o no». La condanna dell’Italia arrivò il 6 ottobre 1935 quando il Consiglio della Lega sanzionò ufficialmente l’attacco italiano e nominò, per l’applicazione delle sanzioni, un comitato composto da 18 membri. Il governo di Mussolini rispose ordinando una nuova offensiva militare che occupò una intera regione (il Tigray) e proseguì sino alla occupazione della capitale, Addis Abeba, il 5 maggio 1936. Col passare dei giorni il blocco dei Paesi che avevano approvato le sanzioni cominciò a dissolversi. Qualcuno continuò ad applicarle ma altri preferirono mantenere contatti amichevoli con l’Italia. Non basta. La vicenda ebbe anche un effetto che i membri della Società delle Nazioni non avevano previsto. Molti italiani videro in quel provve-dimento un’offesa al loro Paese e la gelosia di potenze che non permet-tevano all’Italia di avere «un posto al sole». Altri presero pubblica-mente posizione contro le sanzioni e vi furono, paradossalmente, anche casi in cui così si espressero anche persone che erano state antifasciste sino al giorno prima. Temo che Putin abbia preso provvedimenti non troppo diversi da quello di Mussolini. Con il riconoscimento di due Repubbliche separatiste e l’invasione militare dell’Ucraina, il presidente russo ha alzato la posta e ha scelto il fatto compiuto. Vi saranno anche inevitabilmente ricadute economiche. Sul Sole24Ore del 24 febbraio leggo che secondo Angelo Talavera, un analista di Oxford Economics, «l’escalation del conflitto Russia-Ucraina colpirà l’economia della zona euro principalmente attraver-so l’aumento dei prezzi dell’energia, dando un ulteriore impulso all’inflazione».