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 2022  febbraio 26 Sabato calendario

In Russia è record di prelievi dai bancomat

Ai tempi dell’Unione Sovietica si diceva che la preoccupazione del partito comunista era tenere insieme la tv e il frigorifero. La televisione era la propaganda, che dipingeva una realtà sempre rose e fiori; il frigorifero era quello che il cittadino russo trovava nella cucina di casa in termini di capacità di spesa e consumo.
Vladimir Putin ha lo stesso problema, ogni giorno più difficile da risolvere: il frigorifero è sempre più lontano dalla tv. 
Una società di consulenza internazionale, Simon-Kucher, ha appena pubblicato una ricerca sull’andamento dell’economia russa negli ultimi anni. Risultato: il Paese, nonostante la ricca dotazione di materie prime, è in realtà sempre più povero. E forse anche per questo più pericoloso.
Il primo dato da cui si parte è l’andamento del Pil russo, nel 2021 pari a 1.650 miliardi di dollari. È il 7,2% della ricchezza prodotta dagli americani (23.000 miliardi di dollari) e il 10,9% di quella prodotta dall’Unione Europea (15.200). Nel 2013, anno precedente all’invasione della Crimea, le distanze erano molto più ridotte: la Russia produceva il 12,7% della ricchezza Usa e il 12,9% di quella europea. 
Il divario è cresciuto se si guarda anche al reddito pro-capite: in Russia è di 11.273 dollari a testa (ben 3.490 in meno che nel 2013, più o meno la metà di quello portoghese). Il reddito medio europeo è di circa 32mila euro, di poco superiore a quello italiano. 
Se si guarda al commercio internazionale, nel periodo 2010-2019 la Russia ha esportato per 4,3 miliardi di dollari (l’Italia poco meno di 3,9). Tre quarti della cifra è rappresentata da gas e petrolio, il resto sono quasi tutte materie prime di altro genere. 
A Mosca si produce poco o nulla che interessi al resto del mondo. E la scarsa vitalità dell’economia è confermata dalle registrazioni di brevetti validi sul territorio dell’Unione Europea. In dieci anni i giapponesi ne hanno registrati 1.812 per milione di abitanti, gli americani 535, i russi la bellezza di sei.
Le università del Paese sfornano a tutto andare ingegneri, matematici e informatici di alto livello. Ma questi, appena possono, se ne vanno all’estero. Non meraviglia dunque, che al di là della facciata costruita dal regime, la prospettiva delle sanzioni causi in Russia grandi preoccupazioni. Sul sito del Consiglio per la politica estera e di difesa (la sigla russa è SVOP) un think tank che, nonostante il nome, vive di donazioni private, ieri faceva bella mostra di sé l’intervento di un professore russo che insegna a Chicago e che ipotizzava scenari di «tipo sovietico» con code ai negozi e carenza di beni di consumo. La home page del quotidiano economico Kommersant presentava invece un lungo elenco di aziende europee che rinunciano ai progetti in Russia o hanno deciso di chiudere i loro impianti, insieme alla notizia, con relative spiegazioni, che le carte di credito delle banche oggetto di sanzioni non potranno essere più utilizzate per pagamenti su internet o con i circuiti internazionali. 
Il cittadino medio da parte sua inizia a correre ai ripari: tra mercoledì e giovedì i prelievi dai conti correnti hanno raggiunto quota 1,3 miliardi di dollari, un record dall’inizio del 2020, quando il governo introdusse una tassa sui conti che superavano un determinato ammontare, scatenando la corsa al ritiro. 
La finanza è del resto in prima linea: la Banca centrale ha raccomandato agli istituti di credito «di considerare il rinvio del pagamento di dividendi e bonus ai manager», annunciando una serie di misure di sostegno al settore. Putin l’altro pomeriggio ha riunito al Cremlino i vertici dei maggiori gruppi industriali del Paese. Ha cercato di tranquillizzarli dicendo che il governo è in grado di limitare l’effetto delle sanzioni. Difficile che li abbia convinti fino in fondo.