Corriere della Sera, 26 febbraio 2022
Ciro Capano e la frase cult «Non ti disunire»
Alla fine quel monito che nel film ripete riuscendo a tenerci dentro rabbia, saggezza e pure dolore, lo ha rivolto anche a sé stesso. Perché in ognuno c’è un po’ di Fabietto Schisa e della sua tragedia, «e in sessant’anni di vita è capitato anche a me di sentirmi come si sente lui. E me lo sono detto: “Non ti disunire, perché non te lo puoi permettere”. C’è tutto in quelle parole, proprio tutto, se si riesce a comprenderle».
E allo stesso modo si è ritrovato in quell’altra frase, che a Fabietto quasi sbatte in faccia: «’A tieni ’na storia ’a raccunta’?». Perché Ciro Capano, scelto da Paolo Sorrentino per interpretare il regista Antonio Capuano in È stata la mano di Dio, di storie da raccontare ne tiene non una ma molte di più. La storia di un ragazzino che ha visto i suoi amici d’infanzia perdersi in quei quartieri di Napoli dove la strada insegna a sopravvivere ma non sempre anche a salvarsi. La storia di un atleta che ha giocato a rugby da professionista fino a 34 anni e ora che ne ha 61 continua a portarsi dentro quei valori di coraggio e lealtà appresi sul prato dell’Albricci, un campo che ancora evoca emozioni tra gli appassionati, anche quelli non napoletani.
La storia di un attore che si è formato sui palcoscenici della sceneggiata, che ha lavorato con i grandi, da Beniamino Maggio a Pino Mauro, da Mario Merola a Mario Da Vinci. E che poi ha fatto parte della compagnia stabile del Sannazaro diretta da Luisa Conte, la signora del teatro classico napoletano.
Una storia che ha affascinato Sorrentino. «Quando andai da lui per il provino, volle prima sapere tutto della sceneggiata, stemmo a parlare tantissimo tempo. Quelle storie gli piacevano moltissimo». Avrebbe potuto raccontargliene anche altre, seppure non di teatro. «Ho frequentato Maradona. Me lo presentò Josè Alberti, un ex calciatore argentino che gestiva un locale a Posillipo. Diventammo amici, uscivamo insieme. Gli feci conoscere la Napoli che conoscevo io. Anche quei quartieri difficili in cui sono cresciuto. A volte penso che senza il teatro avrei potuto prendere brutte strade».
Invece il suo percorso lo ha portato fino all’incanto della Piscina Mirabilis, il sito archeologico dei Campi Flegrei dove è ambientata la scena dell’incontro tra Capuano e il giovane Schisa. «Girammo all’alba, e ricordo come Paolo aspettava la luce per cogliere l’attimo in cui ci fosse l’atmosfera che aveva in mente. Quando penso all’intensità di quei momenti, ancora mi emoziono. L’incontro con lui è stato il più importante della mia carriera, il più forte. È un regista capace di creare con gli attori un rapporto straordinario. Che sa caricarli, farli sentire bene, metterli in condizione di dare sempre il meglio». A lui ha dato una parte speciale. Perché Antonio Capuano per Sorrentino rappresenta tantissimo. «Eppure non mi ha detto nulla. Io non conoscevo personalmente Capuano, ma solo come regista, e lui non me ne ha parlato, non mi ha indicato come interpretarlo. Ha lasciato che fossi io a trovare il modo. E il risultato è frutto del feeling che si è subito creato tra noi».
Un risultato che va oltre quella frase ormai così famosa. «Non ti disunire è diventato un modo di dire. A me lo ripetono in tanti. Ma non mi dà fastidio: è una frase importante, può essere d’aiuto a tutti in certi momenti della vita».