La Stampa, 26 febbraio 2022
Francesco Bianconi parla del nuovo album "Accade"
Dentro ci sono brani che, fin dagli anni dell’adolescenza, hanno influenzato l’orecchio di Francesco Bianconi, i motivi che ci arrivano come melodie primigenie durante l’infanzia e i viaggi in auto con la figlia, la radio accesa e un’estate che rivela una vena malinconica. Canzoni che ora Bianconi si prepara a presentare in tour nei teatri - partenza il 13 maggio da Fermo, quindi il 20 a Firenze e il 21 a Roma, per poi toccare le principali città italiane. A quasi due anni dall’esordio solista con Forever, nell’ultimo lavoro Francesco Bianconi Accade rende omaggio ad autori che sono pezzetti di formazione, da Guccini a Fiumani, da Lolli a Tenco. Tra le dieci tracce brani per Irene Grandi, Paola Turci e un cameo vocale di Lucio Corsi: «È il mio cantautore preferito della sua generazione, mi piaceva fosse lui, un amico, a fare una piccola parte».
Quando è uscito «Forever» raccontava i detriti e lo stupore davanti a un mondo immobile, paralizzato. E ora?
«C’era un senso di frustrazione dovuto all’annullamento dei concerti, stavolta è qualcosa di ancor più metafisico, è come vivere una lunga sospensione. Non è certo il male assoluto questo tempo, ma lo vivo come qualcosa lasciato a metà, quasi fossimo in "un bicchiere di acqua e anice" parafrasando Paolo Conte quando delinea la nebbia. Io soffro molto lo stato di incertezza».
Il nuovo album rende omaggio agli autori che hanno calamitato la sua attenzione.
«Dentro, ci sono le voci degli autori che amo, vero, ma è anche un disco di cover di me stesso, è stato come ripescare parti di me che erano catalogate in schedari che avevo perso di vista. Non mi interessa la cover come imitazione, è ovvio che nasce anche così se si pensa alla storia della musica, con i gruppi nelle balere che cercavano di emulare altri, anche questo può avere un lato divertente. Io cercavo, però, un approccio diverso, più complesso della semplice riproposizione. È come rubare cose altrui ma gli oggetti che rubi li rimescoli e devono star bene in casa tua. È un disco dal mio punto di vista molto leggero. Sono canzoni ridotte all’osso, voce e pianoforte, suonate nel mio studio e parte dei miei ascolti. Il brano reso noto dalla versione di Ornella Vanoni fa parte dei ricordi arcaici e mitologici dell’infanzia. Poi Fiumani, altro amore musicale dichiarato da quando un concerto dei Diaframma fu a fine anni Ottanta una rivelazione, allora capii che mi sarebbe piaciuto formare un gruppo rock. E ancora Guccini, Tenco, Lolli…».
«La Playa», epurata dalla patina pop, è un’istantanea malinconica. Perché l’ha scelta?
«Ascolto raramente la radio, mi capitava solo quando andavo al mare con mia figlia che ora ha otto anni. Un paio di estati fa è stata lei a farmi sentire il brano. Nonostante non sia un genere di musica che ascolto, mi è sembrata, fin da subito, struggente. Ho avuto una specie di visione all’inizio, una versione beata e cosmica. Al di là dell’arrangiamento che può distogliere l’attenzione e frastornare, è una canzone molto interessante anche dal punto di vista della struttura. Così ne ho fatto prima una mia versione, poi Baby K mi ha invitato a un suo concerto e io e il pianista abbiamo fatto un’apparizione bizzarra. Per ricambiare la cortesia, le ho chiesto di cantare la mia versione nel disco, ha fatto armonizzazioni molto interessanti. Bisogna sempre uscire dai preconcetti. Il mio mestiere, anche con i Baustelle, l’ho sempre visto così: se c’è una strada facile, prendi l’altra. Magari ti sbranano gli assassini ma è comunque più divertente».
Ribaltare punti di osservazione, dilatare i confini tra generi e registri linguistici…
«Mi piace pensare il disco come una dimostrazione che tutto sia possibile, si possono unire figurine molto distanti o sassolini agli antipodi. Puoi mescolare femminile e maschile, dovrebbe essere introiettato senza bisogno di dimostrarlo. Lo penso da sempre, nella musica, nell’arte c’è un grande vantaggio, puoi far entrare in collisione mondi lontanissimi e farli vivere in una nuova veste di senso coerente. Non solo è possibile ma si deve fare, è l’unico modo per trovare vie nei mestieri creativi. Vorrei vederla di più questa attitudine nella musica. Spesso ci si accontenta, si va sul facile ma è continuando a sperimentare che si verificano passi avanti. Una cosa che temo come la morte, forse più della morte, è la noia.