La Stampa, 26 febbraio 2022
È emergenza siccità
La sorgente del Po è un rigagnolo. A Torino non piove da 93 giorni. Manca l’acqua e manca la neve. È mancato l’inverno tutto intero. Al punto che la signora Glenda Vignoli, di mestiere coltivatrice diretta, ha visto succedere sulle colline di Ravenna, a Riolo Terme, quello che non era mai successo prima nella sua vita: «Il 4 di febbraio gli albicocchi hanno iniziato a gemmare. Adesso, a fine mese, sono completamente in fiore. Fiori aperti, scamiciati. Abbiamo avuto giornate di gennaio a venti gradi, e la nebbia neppure una volta. Tutta la campagna è in risveglio, mentre si annuncia una gelata».
C’è un’altra guerra alle porte. Una guerra già dichiarata, che nessuno ha il coraggio di riconoscere. Anche se una frase di questi giorni pronunciata dal ministro delle Politiche Agricole, Stefano Patuanelli, è passata quasi sotto silenzio, soverchiata da altre emergenze: «L’Italia incomincia a avere grandi problemi di approvvigionamento idrico». È la guerra per l’acqua, mai così preziosa come adesso che non c’è. L’Italia a secco. L’Italia africana. L’Italia tropicale. Dentro l’inverno più mite di sempre. E tutti ripetono una preghiera simile a una scaramanzia, la stessa che pronuncia anche la signora Vignoli: «Spesso a inverni così secchi, segue una primavera di piogge abbondanti. Speriamo». Solo che non è la stessa cosa. Se piove d’inverno o se piove in primavera. Il tempo è cambiato, mentre tutti discutevano del cambiamento climatico. E ora quel tempo di prima, il tempo prevedibile e ordinato, nessuno può riportarlo indietro. Ecco: tipica emotività italiana di fronte a un’annata storta. Qualcuno dirà così. Proprio per questo, a uso e consumo degli scettici, è importante citare qui il rapporto appena pubblicato dal servizio meteo nazionale della Svizzera: «A sud delle Alpi l’inverno 2021-22 terminerà con una temperatura media di 1.8°C superiore alla norma 1991-2020, mentre il totale di precipitazione sarà inferiore a un quarto del valore normalmente atteso, più precisamente risulterà pari al 22% di esso. In passato una stagione invernale mite e asciutta come quella che si sta per concludere non era mai stata registrata». Mai. Mai prima di adesso. Ed ecco, sempre per i serafici svizzeri, come continua l’analisi: «Come appare chiaramente dal grafico, in passato non si era mai verificato un inverno con una temperatura media superiore alla norma di 1°C e precipitazioni inferiori alla metà di quelle attese. Questo si è tuttavia verificato durante la stagione invernale che volge al termine, a causa principalmente di due fattori: condizioni anticicloniche persistenti caratterizzate da aria molto mite in quota, che ha contribuito a far registrare temperature miti soprattutto in montagna, e frequenti giornate con favonio, che hanno innalzato le temperature anche alle basse quote». La poca neve caduta si è sciolta. Anche quella artificiale non regge più. Il lago di Ceresole Reale, sul Gran Paradiso, è vuoto. Si cammina su pietre calde, come dentro a un passaggio lunare. E se non c’è più neve, i fiumi restano asciutti. Il Po scende a valle con metà della sua portata. Adda: -54%. Brembo: -78%. Torrente Roja, al confine fra Italia e Francia, in secca.
Sono stati, questi ultimi due anni, due anni di record terrificanti nel nord dell’Italia, come nel sud. Quelli con la temperatura più calda mai registrata in Europa a Floridia, in provincia di Siracusa: 48,8 gradi. Quelli con il record di giorni senza una goccia di pioggia: 140 nella piana di Catania. E intanto: sono già fiorite le pesche in Romagna, sono fioriti i mandorli sui Monti Marsicani. Gli orsi hanno finito il letargo prima del tempo. Quello che potrebbe sembrare bellezza, questa luce tiepida e dorata, è invece una primavera in anticipo. Una primavera malata. Anche i pollini sono in anticipo, così come lo le allergie.
Si stanno moltiplicando gli incendi con il loro carico di morte. In queste ore i Canadair volano sulla Val di Susa per spegnere le fiamme sulle montagne all’altezza di Chianocco. Secondo i dati della Coldiretti, nel primi due mesi del 2022 gli incendi in Italia sono quadruplicati rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Vanno in cenere foreste e riserve naturali, stanno bruciando perché manca l’acqua. L’unico merito di questo inverno è raccontare bene il futuro. L’associazione nazionale dei consorzi di bonifica, attraverso i dati del Cnr, dice che c’è rischio di inaridimento sul 70% dei suoli agricoli della Sicilia, 58% del Molise, 57% della Puglia, 55% della Basilicata, fra il 30% e il 50% di Sardegna, Marche, Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Abruzzo e Campania. E nella pianura padana attraversata dal Grande Fiume, già adesso, è chiaro che bisognerà contingentare l’acqua per salvare l’agricoltura.
È una questione, quella dell’acqua, che interpella direttamente la protezione civile, così come per le catastrofi naturali, come per i terremoti. E infatti, proprio in questi giorni il capo del dipartimento Francesco Curcio ha dichiarato: «In Italia è urgente intervenire sulla prevenzione e sulla gestione dell’emergenza acqua, vanno implementati i sistemi di approvvigionamento idrico basandosi su una combinazione di interventi infrastrutturali nel medio e nel lungo termine». Non ci sarà acqua per tutte le coltivazioni.
Ogni anno vengono ripetute come un mantra, in ogni convegno, le stesse tre ricette: servono nuovi invasi per la raccolta dell’acqua piovana, bisogna riparare la rete idrica italiana affinché l’acqua non vada dispersa e sprecata, è necessario iniziare a pensare a come dissalare su larga scala il mare. Di questo si parla. Mentre non piove. Mentre la temperatura sale.
E poi verranno gli acquazzoni, verranno le grandinate. Forse qualche nevicata tardiva. E qualcuno scambierà quell’acqua come una compensazione. Ma non è mai così. «Quando si inverte il corso delle stagioni è sempre un guaio», dice la coltivatrice diretta Glenda Vignoli. «Non sono sbagliate le gelate che dovrebbero arrivare nei prossimi giorni, l’anomalia è ritrovarci adesso con gli albicocchi completamente in fiore. Stiamo lottando contro qualcosa di molto più grande di noi». Non ci sono molte armi per difendere il raccolto. Si possono accendere fuochi notturni e candele, si possono usare i cosiddetti ventiloni o l’irrigazione antibrina. Tutto pur di non fare morire di freddo i fiori sbocciati troppo presto.
Le statistiche climatiche non sono mai lineari. Dopo questo inverno siccitoso, magari ne seguirà uno nella norma. Ma la curva è segnata da molti anni, ormai. Anni con meno acqua. Anni di acqua più violenta. Anni di alluvioni, di bombe devastatrici. Di uragani che abbattono foreste. Il Po, nella sua maestosità, non fa altro che testimoniare quello che sta accadendo. «Si registrano anomalie decisamente marcate per molti indici» ha spiegato in questi giorni nei Meuccio Berselli, segretario generale dell’autorità di bacino. «Temperature di quasi tre gradi sopra la media, venti caldi che hanno sferzata la pianura e asciugato i terreni».
Cosa diventerà la Pianura Padana? Riuscirà a conservare la sua biodiversità unica in Europa? Era qui che sarebbe dovuta arrivare l’acqua del disgelo, portata a valle dai fiumi e dai torrenti. Ma quella neve non c’è stata. E nessuno sa dire se a maggio ce ne sarà a sufficienza per le coltivazioni.
Manca l’acqua. Quindi manca la vita. Tornano in mente le parole dello scrittore Jonathan Franzen pubblicate da Einaudi nel 2020, quando dopo aver assistito a un incendio a Jüterborg in Germania, che aveva mandato in fumo 750 ettari di bosco, decise di rompere ogni indugio: «L’apocalisse climatica sta arrivando. Per prepararci a affrontarla, abbiamo bisogno di ammettere che non possiamo prevenirla». E invece, due anni dopo, nessuno ancora vuole ammetterlo. Nemmeno di fronte all’evidenza.