La Stampa, 26 febbraio 2022
Quelli che scoprono i diamanti insanguinati
Brillantezza, purezza, scintillio. Segni distintivi della gemma più preziosa e più ambita al mondo: il diamante. Venduto come pegno d’amore eterno, «un diamante è per sempre», viene estratto grezzo. Ed è proprio lì, nella prima fase, che può diventare fonte di ricchezza per mercenari senza scrupoli. Li chiamano “diamanti insanguinati": estratti in zone di guerra da bambini e minatori ridotti in schiavitù e venduti clandestinamente per finanziare movimenti ribelli, guerre civili, colpi di stato. Un business del male da milioni di dollari, che l’Unione Europea combatte dal 2002. C’è un accordo di certificazione, il Kimberley Process, e ci sono autorità che verificano importazioni ed esportazioni di diamanti grezzi. La settima, l’unica in Italia, istituita il 1° gennaio 2021, è il Laboratorio chimico di Torino-Ufficio Antifrode e l’Ufficio delle Dogane.
«Cosa posso portarti dall’Olanda?». «Un diamante in un anello?». «Ti accontenteresti di un tulipano?» era una battuta del film “Una cascata di diamanti”, dove l’agente 007 combatteva i trafficanti. Ecco. Nei laboratori di Torino non ci sono agenti segreti e pistole semiautomatiche Walther Ppk, ma bilancini di precisione e modelli cromatici.
Dal paese produttore – i principali sono la Russia, il Sud Africa, il Canada – il diamante viene sigillato per evitare manomissioni e scortato sino alla Dogana con un certificato che ne indica spostamenti e qualità. In laboratorio scattano i controlli. Prima di tutto quello sulla veridicità. «C’è un particolare taser. Se la pietra è vera, si illumina e la banda diventa verde», spiega Claudia Zedda, responsabile del laboratorio chimico di Torino, insieme al tecnico Rosario Mazzeschi. Poi il peso in aria e in soluzione per calcolare la densità. E ancora: i raggi ultravioletti che illuminano la gemma e danno idea della qualità. «I raggi devono attraversarla, non riflettersi». La purezza, monitorata con un lentino 10x, e il colore. È il principio delle quattro C: carat, colour, cut, clarity. Il diamante perfetto? «Puro. Cinquantotto facce quelle del taglio ideale, il Tolkowsky».
Nel laboratorio il prodotto si può solo immaginare. Lì si verificano i diamanti grezzi e se la perizia conferma la corrispondenza con il certificato che accompagna la pietra, allora c’è il via libera all’importazione. Per l’esportazione servono i documenti dell’origine, del percorso. Tutto vagliato dall’ufficio ufficio Antifrode di Torino, diretto da Daniela Dispenza. Tutto tracciato. Il diktat è chiaro: nessun diamante grezzo può essere importato o esportato verso un paese al di fuori dal Kimberley Process. Due i diamanti grezzi verificati a febbraio. Le autorità di certificazione sono baluardi contro il business dei “signori della guerra” nascosto dietro lo scintillio. Anversa, Praga, Idar-Oberstein, Dublino, Lisbona, Bucarest. E ora anche Torino. Grazie alla caparbietà di Andrea Maria Zucchini, direttore interregionale dell’agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli.
Il circuito dei diamanti puliti arriva in Italia e parte dalla città sudafricana di Kimberley: lì la prima conferenza su come combattere i trafficanti, lì c’è il Big Hole, il più grande scavo realizzato a mano Ora è inutilizzata, è stata la prima grande miniera di diamanti della zona.