la Repubblica, 26 febbraio 2022
Viaggio in Russia prima della fine del mondo
Non è la prima volta che sono a San Pietroburgo. Ma la sensazione arrivando all’aeroporto di Pulkovo e andando verso il centro sembra sempre straordinaria: le strade collegano due punti quasi con una linea retta fino alla prospettiva Nevskij. Certo è domenica 21 febbraio, sono partito da Roma Ciampino. Rotta Nord-Est. Linea diretta Roma- San Pietroburgo. Evitata Ucraina. Passati sopra Slovacchia, Polonia, Lituania. Mi viene in mente mio nonno Michelas Moshe. Poiché la sua famiglia era benestante (il padre era un mercante di sale a Kaunas), ha potuto continuare gli studi anche se le leggi zariste dell’epoca non permettevano a un ebreo di studiare oltre le scuole superiori. Così se ne andò a Heidelberg a continuare gli studi in Medicina. Conobbe mia nonna Elisa. Una famiglia europea.
Viaggio inaspettato verso Gelendzhik, Mar Nero. Rimango la notte a San Pietroburgo. L’albergo guarda lo smisurato spazio che contiene la chiesa di Sant’Isacco, il palazzo del Governo e l’Hotel Astoria, luogo da dove Hitler si era ficcato in testa di annunciare la vittoria finale sulla Russia. Accendo la televisione per vedere se riesco a avere qualche notizia di quello che è successo in questo 21 febbraio. Sul canale RT (Russia Today, diffuso in tutto il mondo) si afferma che Biden sostiene che Putin sta per invadere l’Ucraina. Annunci successivi danno notizie della evacuazione di parte della popolazione del Donbass. E il riconoscimento delle due repubbliche autoproclamate di Donetsk e Luhansk.
È una domenica calma e silenziosa. Silenziosissima. Sembra che nessuno pensi ad altro. L’albergo era semideserto. A mezzanotte le persone sulla piazza sono diminuite, se ne possono contare un piccolo gruppo che si aggira dal Palazzo del governo verso l’Hotel Astoria. Alle 2 di notte compaiono due persone. Nella città si contano 50 mila contagi giornalieri, molti! Ha nevicato durante la notte, una neve piccola e fredda.
Il giorno dopo, alle 8.30, siamo in un mal disegnato e non confortevole salone per la colazione in un ex palazzo aristocratico di San Pietroburgo. Partiamo poco dopo da un altro terminal per jet privati dell’aeroporto di Pulkovo, un po’ monumentale, costruito tra il 1931-32 (chiari tratti sovietici), con lo stesso aereo con cui siamo arrivati la sera prima. Scopro di proprietà di Yuri, il nostro cliente. Prima di partire, la nostra auto si affianca a un’ambulanza che ci aspetta per l’ennesimo tampone molecolare. Con me e Ramon viaggiano anche l’interprete e il vicepresidente della banca. Rimango sorpreso nel vedere sugli schermi la rotta per il Mar Nero. Segue a distanza di sicurezza esattamente i confini dalla Bielorussia e dall’Ucraina, facendo uno strano zig-zag. Questo è l’unico segno che avverto di quasi una massa al centro dell’Europa, che non si può né costeggiare né attraversare. Quasi che sugli schermi non esistesse e fosse un territorio lasciato in bianco...
Arriviamo alle 14 a Gelendzhik nell’aeroporto che abbiamo progettato. Ma lo vediamo solo da lontano. Andiamo a farci un altro tampone. È diventata quasi un’ossessione. Tenendo anche conto dei tre vaccini. Dalla vicinanza materiale con Odessa mi vengono in mente i racconti di mio padre e di mia madre. Il fratello di mio nonno decise di andare a passare gli ultimi anni di vita in un clima più mite della Lituania, sul Mar Nero. Fino adesso nessuno dei miei ospiti e delle persone che conosco ha fatto cenno alla crisi regionale in atto tra Russia e Ucraina. Siamo in una giornata discreta. Il Mar Nero è tranquillo. Gelendzhik sembra un luogo di vacanza per una piccola borghesia in via di formazione, con discrete e ben curate pinete. Andiamo a visitare l’aeroporto. Appena terminato. I dettagli, anche i più complessi sono estremamente curati. In Russia l’artigianato sopravvive all’industrializzazione.
Più tardi ci raggiunge Yuri e iniziamo la visita. Una sorta di visita guidata condotta dal nostro cliente. La cosa che colpisce immediatamente è il grande soffitto, progettato e disegnato con una dozzina di algoritmi. Le pieghe della copertura si alternano messe in evidenza dai cambiamenti della luce. Al momento hanno i colori della bandiera russa.
Andiamo a casa di Yuri a pranzo. Che poi in effetti sarà anche una cena. L’ingresso è completamente nascosto ed è solo visibile dal Mar Nero. La copertura di due terzi della casa è vegetale. Perfettamente mimetizzata. All’interno grandi spazi alternati da complessi bacini d’acqua e da piscine. La vista sul Mar Nero è veramente straordinaria. Alla fine del pranzo-cena, Yuri affronta la questione del giorno: argomenta il riconoscimento della regione del Donbass. Solo il giorno dopo ci parlerà in modo approfondito e con grande entusiasmo del discorso storico-politico di Putin sulle origini dell’Ucraina.
Il nostro ospite mi consiglia una zuppa di zucca che adora. Difficile scegliere tra una quantità esorbitante di frutti di mare, pesce e uno storione di grande qualità. Ci salutiamo e ci diamo appuntamento al giorno dopo. Ormai è sera. I 18 chilometri del lungomare di Gelendzhik sono abbastanza affollati e illuminati. Ci sono famiglie con molti figli. Sembra un’Italia serena di fine ’50 inizi anni ’60. La stessa impressione mi dà l’albergo che ha come ospiti in maggioranza bambini. I genitori sembrano solo un’appendice. A colazione si unisce a me e a Ramon un project manager dell’impresa che ha costruito, un giovane ingegnere di 35 anni che con un buon inglese, manifestando brevemente con quale felicità e onore ha lavorato insieme a noi, comincia a parlare di quanto sta avvenendo. Alla fine racconta la sua interpretazione: Cina e Russia aumentano i loro legami. Gli Stati Uniti fortemente preoccupati. L’Europa completamente priva di una voce in capitolo. Ritorno verso le 10 all’aeroporto per alcune interviste rituali alla tv nazionale. Sono uno dei primi a partire da questo nuovo aeroporto per Mosca, e da lì a Parigi. Ripercorriamo la stessa rotta dell’andata. Arriviamo a Mosca dopo tre ore. Ci spostiamo di poco per cambiare il terminal dei jet privati e con rapidissime procedure ripartiamo con un aereo ancora più grande: un bombardier che in tre ore e mezza, continuando a evitare questa massa bianca. Passa sopra la Lettonia e Lituania, sorvoliamo Klaipeda sul Mar Baltico in cui la mia famiglia ha avuto per quasi 200 anni una casa, l’enclave russa di Kaliningrad, la Polonia e poi fino a Parigi. Anche questa volta per fortuna non c’è un gran traffico, sono circa le 21.30 e finalmente sto andando a casa. L’Europa è proprio la mia casa.