Vittoria dorme serena nella sua culletta, la foto del papà che non ha mai conosciuto sul comodino a fianco del lettone dove sua madre, Francesca Polli, dorme da sola dal 21 dicembre 2020.
Quel giorno, dopo sei mesi trascorsi in ospedale a lottare per la vita, è tornata nella casa di Porto Recanati che aveva messo su con suo marito, il primo e unico grande amore della sua vita, il cestista Attilio Pierini, morto a 39 anni il 23 giugno 2020 in un tragico incidente stradale, a un chilometro dell’ingresso del traforo del Gran Sasso mentre andavano a Roma. La loro auto finita sotto un Tir che veniva in direzione contraria, Attilio morto sul colpo, Francesca portata via gravissima in eliambulanza.
Vittoria, la loro bambina che avevano invano cercato di avere nei primi anni di matrimonio per poi imboccare la strada della fecondazione assistita, è nata l’8 febbraio scorso da uno degli embrioni che Francesca e Attilio avevano congelato. Un numero fortunato, 8 come il numero della maglia di Attilio che Francesca ha voluto indossare sul suo bel pancione.
Francesca, lei sembra così serena. Eppure ha preso una decisione difficile a voler portare avanti da sola questo progetto di maternità dopo essere sopravvissuta a una tale tragedia.
«Sì, sono serena, sono felice. So che ci saranno momenti duri, ma in realtà non ho deciso da sola, Attilio voleva fortissimamente questo figlio, come lo volevo io. Non era venuto nei primi anni di matrimonio e così abbiamo intrapreso insieme tutto il percorso che era ormai definito.
Eravamo alla fine, aveva già gli embrioni e gli embrioni sono vita. Ma ci siamo dovuti fermare un attimo prima perché non ero stata bene, poi è arrivato il Covid. E poi, l’incidente. Da sola ho affrontato solo l’ultimo passo, l’impianto di quella vita».
E da sola ha affrontato anche la gravidanza, per altro dopo soli cinque mesi da quando è uscita dall’ospedale. Mai nessuna esitazione?
«No. Dopo l’incidente sono rimasta in coma per più di un mese, poi ad agosto ho avuto un nuovo peggioramento e ho subito due interventi alla testa, i medici temevano che potessi sopravvivere in stato vegetativo, lo avevano già detto ai miei genitori. E invece è successo il miracolo. Per questo, a dicembre, quando sono tornata a casa, ho pensato che fossi sopravvissuta proprio per portare a termine il cammino che avevamo intrapreso con Attilio. E lui l’ho sempre sentito vicino».
Anche in sala parto?
«Sì, soprattutto in sala parto. Si poteva far entrare una sola persona e ho scelto mia suocera proprio per questo. Era come avere Attilio a stringermi la mano».
Sua madre non se l’è presa, immagino. La sua scelta così coraggiosa è stata condivisa da tutti i suoi familiari?
«Assolutamente sì. Nessuno ha mai provato a dissuadermi, tutti hanno capito e tutti mi sono stati, e mi sono ancora, vicini. Ho avuto una gravidanza fantastica, la rivivrei mille volte».
Lei e questa bambina siete proprio un inno alla gioia.
Momenti di tristezza?
«Altroché. Tutte le volte che penso che sono da sola, che lui non c’è e che non ci sarà mai più.
Sì, mi dico e dico a Vittoria da quando era nella pancia che il suo papà la guarda da lassù, ma poi penso che lei non potrà mai sentirsi stretta tra le braccia di suo padre. So che crescerà senza padre, so che io non potrò darle tutto, ma so anche che lei è il più grande atto d’amore che sono stata capace di fare. E spero che sarà una bambina felice».
Il nome è evocativo, Vittoria.
Cosa pensa quando la guarda?
«Con Attilio fantasticavamo di una bambina e prima che quel maledetto incidente me lo portasse via avevamo scelto anche il nome, Vittoria. E lei gli somiglia davvero in modo impressionante, ha i suoi colori, i suoi tratti. Insieme alla favole le racconterò la storia di suo padre e lei sarà la sua testimonianzapiù grande».
Ha già riempito la sua cameretta di foto?
«Si, per adesso la piccola dorme con me, ma appena sarà il tempo andrà in quella cameretta che, da quando avevamo comprato questo appartamento, era rimasta sempre vuota.
Purtroppo l’ho arredata da sola, quando ero all’ottavo mese di gravidanza. Ma questa è casa nostra. Io sono romana, ero venuta qui a Porto Recanati per seguire Attilio, ma adesso non potrei mai andare via».
Francesca, lei ha 34 anni. Come immagina il suo futuro?
«Non lo immagino. Ho conosciuto Attilio che avevo 17 anni. Dopo sette ho deciso di trasferirmi a Porto Recanati per vivere insieme e poi ci siamo sposati. Qui c’è la mia vita, il mio lavoro in una gioielleria, i miei amici. So che ci saranno momenti duri ma, per ora, voglio vivere giorno per giorno. E godermi ogni singolo istante in cui posso stringere questa vita al petto».