il venerdì, 25 febbraio 2022
Intervista a Marta Morazzoni - su "Il rovescio dell’abito" (Guanda)
Fu la donna che visse due volte: una da ereditiera, la più ricca d’Europa probabilmente; la seconda in povertà radicale. Entrambe nel segno di una consapevolezza assoluta di sé, che fossero infiniti i soldi o la fame. Fu musa egoista, divina marchesa, Kore-Persefone per D’Annunzio, per lui comunque "l’unica che mi ha sbalordito". Sbalordì anche Venezia, Luisa Casati Stampa, passeggiando nuda di notte per piazza San Marco con al guinzaglio un ghepardo, solo una pelliccia gettata sulle spalle.
Ci sono persone che non muoiono mai perché preannunciano il futuro, turbano contemporanei e generazioni successive. "La Casati" è una di queste. Nata nel 1881 da una famiglia di produttori di cotone, a 19 anni sposa il marchese Casati Stampa e per trenta è al centro della vita artistica e mondana europea, musa e mecenate di pittori e fotografi tra feste di straordinaria stravaganza e relazioni scandalose. Ha anticipato star system, fluidità sessuale, diversità, perfino Instagram. In tempi in cui alle donne si chiedeva modestia, ha fatto del vestire una semantica scabrosa, dell’eccentricità un manifesto. Chi altro avrebbe potuto affascinare Jack Kerouac e Fortunato Depero, Cecil Beaton e Man Ray?
L’ultima a cedere, con riluttanza, alla seduzione di Luisa Casati Stampa è la scrittrice Marta Morazzoni. Che le dedica Il rovescio dell’abito (in libreria per Guanda dal 3 marzo). Il titolo si spiega pensando a uno dei personaggi principali, la sarta di Luisa: "Bisognava guardare il rovescio degli abiti per capire quanto minuzioso fosse il lavoro che teneva insieme quell’impalpabile perfezione". Dietro l’eccentricità delle mise di una donna che si immaginò come un’opera d’arte, c’era volontà implacabile e lucida costruzione di sé.
Come ha incontrato Luisa Casati?
"Anni fa un musicista mi propose di scrivere un libretto d’opera su di lei. Mi incuriosì, lessi biografie, il catalogo della mostra a lei dedicata a Palazzo Fortuny nel 2014. Poi il progetto sfumò, ma lei mi tornava in mente. Eppure non mi era simpatica. Talmente diversa da me che mi metteva i bastoni tra le ruote se cercavo di avvicinarla. Ho provato a immaginarla vecchia, nella sua casa di Londra... La storia parte dal 1932, quando va in miseria".
Quando il suo avvocato le annuncia che tutto le sarà confiscato dopo anni di spese folli: "Lei non avrà più nemmeno una pietra su cui poggiare il capo".
"Casati ha vissuto da incosciente tutta la vita. Chiede un prestito a un amico che vive a Bath; va da Londra a Bath a prendere i soldi e con quelli paga il taxi! È fuori dalla norma sempre, misera o miliardaria".
Un’eccentricità che sfiora il femminismo? Una che si ribella a ogni convenzione estetica e morale, che fu tra le prime divorziate d’Italia, nella sua stravaganza afferma sé stessa.
"Lei si afferma, più che in quanto donna, in quanto Luisa Casati. Anzi: Luisa Amman. Non fa battaglie per altre, aveva un progetto su sé stessa, che continua anche quando il patrimonio non c’è più".
Mi racconti la sua povertà.
"Durò 25 anni. Fu aiutata da amici, ha continuato a frequentare certa società pur non avendo più nulla. Nell’ultima parte della vita a Londra vive di niente in case sempre più piccole, ma ancora capace di folgorare. Era altissima, portava tacchi altissimi, ignorava le mode, pensava i vestiti in funzione di sé. Aveva il piacere di mascherarsi per stare sempre al limite della realtà. Si faceva le ciglia finte con i crini del materasso. Faceva la fame, ma divideva il pochissimo che aveva col suo cane, anzi pensava prima a lui. Il cane poi è morto e lei ha speso ciò che le restava per farlo imbalsamare - gli sopravvive solo un mese. Viveva di carità, senza percepirla come tale. Credo pensasse le fosse dovuto. Perfino la povertà ha fatto parte della varietà di vita che ha voluto sperimentare".
Vive nel primo Novecento ma è di estrema modernità. Una personalità fortissima in tempi non amichevoli con le donne. Un Io possente.
"Lei si pensava opera d’arte. Uno dei suoi banchieri dice, "Non guardarla è come rifiutarsi di guardare un Monet". Tutto concorreva, rossetto, acconciatura, colore dei capelli: funzionali a una costruzione. Per questo mi serviva la figura della Sarta".
Che è quasi afona: a queste donne, per capirsi, non servono parole. Conosce il suo corpo e attraverso quello l’anima. Chiama la Casati "Signorina" anche da sposata: il suo stato non cambia mai ai suoi occhi. Non c’è bisogno di un uomo che la legittimi.
"La Casati era moderna anche nel rapporto con gli uomini, nel non voler smarrire la sua identità nella loro. Il rapporto con il marito era controcorrente: matrimonio combinato, io li racconto felici della loro prima notte bianca. Si sono separati di comune accordo. Lei ha avuto forse rapporti anche con donne, come la pittrice Romaine Brooks. Insistette perché la ritraesse, accettò di posare nuda per lei. Il quadro fu trovato alla morte della Brooks sotto il suo letto: non lo vendette né espose mai. Il corpo bianco, lungo e magro, solo un mantello sulle spalle e la massa di capelli, ritratto in quella Villa San Michele di cui Luisa aveva praticamente espropriato Axel Munthe. Lui non voleva ospitarla, lei fece portare i bauli davanti alla villa e dichiarò che non se ne sarebbe andata. Alla fine, lui cedette".
Eccentricità: oggi viviamo in tempi che la esaltano, vedi personaggi come Lady Gaga con le sue mise o Achille Lauro che non a caso, nel Sanremo del 2020, si è presentato con un travestimento ispirato alla Casati.
"Nell’eccentricità odierna non c’è grandezza. È conformismo, marketing. Lei aveva un’unicità inimitabile".
Per questo il racconto degli abiti è cruciale nel libro.
"A me i vestiti piacciono, vado dalla sarta, mi piace scegliere tessuti e colori, immaginarne l’effetto. Me li vedevo in testa, i suoi vestiti. Quando diventa povera è struggente, le resta un solo abito e l’ocelot, tutto rabberciato alla fine, tenuto insieme da spille. Disfarsi degli abiti degli anni d’oro è stato perdere un pezzo di sé".
Anche qui un legame con l’oggi. Il suo guardaroba fa venire in mente quello di Carrie Bradshaw in Sex and the City.
"Per lei il rapporto con gli abiti era più profondo. Era "essere". Il corpo era un oggetto che governava attraverso trucco, gioielli, vestiti. Si ispirava alla Contessa di Castiglione, a Cagliostro... L’artista che dice di sé".
Come si fa oggi su Instagram. Dando però l’impressione di non raccontare vite realmente vissute.
"Lei le ha vissute totalmente e ha esasperatamente chiesto di essere ritratta. Si offriva a fotografi e artisti come se la sua vita e diversità dovesse essere scandita da ritratti. Boldini gliene fece uno sconvolgente, da arpia, donna uccello malefica. La riveste di piume come un pavone, le mani sono zampe che arpionano, l’occhio di traverso come nelle figure cretesi, terribili. Boldini coglie la sua essenzialità. Lei si cercava attraverso lo sguardo degli altri".
"Le figure di Pirandello hanno profonda incertezza di sé, lei invece intenzioni ferme: pilotava fotografi e artisti. Persino Jack Kerouac teneva una sua foto in casa. Cosa c’entrava con lei? Eppure, le ha dedicato versi. La Casati ha trasceso tempi e confini. Solo Proust non ne parlò mai, due egocentrismi così erano fatti per ignorarsi. Erano troppo l’uno per l’altro".