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 2022  febbraio 24 Giovedì calendario

Intervista a Francesco Guccini

Nella grande casa che fu dei genitori e prima ancora dei nonni, lassù a Pavana, sull’Appenino al confine tra Emilia e Toscana, fan nostalgici continuano ad andare a cercare Francesco Guccini. «Mi portano olio, vino, salami», sorride lui nella cucina di casa, il buen retiro da oltre vent’anni, lontano dalla Bologna «Parigi minore» che ha tanto amato e cantato, «non ci torno quasi più», circondato da pareti di libri che oggi fa fatica a leggere per problemi alla vista, «mi tocca guardare la tv», e i tre gatti Paurina, Bianchina e Stagnadino – «ma io lo chiamo lo stronzo rosso, non si fa vedere mai, sta solo con mia moglie». Dall’ultimo concerto non ha più suonato – «non ho più i calli sui polpastrelli» – ma ha scritto tanto, una quindicina di libri di cui alcuni insieme all’amico Loriano Machiavelli: «Ne stiamo per cominciare un altro, abbiamo già buttato giù la trama, la protagonista sarà Lope, Penelope, una giovane giornalista».
Qui ha trascorso i due anni di pandemia: come sono stati?
«Strani. Io non mi muovo quasi mai, non ho sentito il peso della chiusura, se non per il fatto di non poter vedere gli amici. Ormai però i miei amici sono morti quasi tutti…».
Ne stiamo uscendo migliori come ci si riprometteva di fare?
«Ne stiamo uscendo uguali o forse peggiori. Ho sentito che hanno assalito il virologo Bassetti mentre prendeva un aperitivo con la moglie: il problema è che la gente non ha più cultura».
Cosa intende dire?
«Una volta c’erano due culture, quella delle élite e quella povera, contadina, che oggi è scomparsa. La cultura di adesso è solo televisiva, non si legge più, e si sente chiunque pontificare su qualunque cosa».
Lei frequenta i social?
«No, sono tremendi».
Però consentono a tutti di esprimersi.
«Della serie uno vale uno? Auguri!».
E la scuola? Il suo ruolo?
«Non c’è più rispetto per gli insegnanti. Mi tocca dire che l’unica riforma seria è stata la riforma Gentile del fascismo! Capisco che poi le medie unificate siano state un progresso, ma adesso escono dalle elementari che non sanno nemmeno leggere e scrivere».
Ha visto le proteste degli studenti di questo periodo?
«Sono stato studente anch’io, e gli studenti tirano a fare sempre meno. Oggi tra l’altro gli esami sono tre volte più facili di quelli che abbiamo fatto noi».
Protestano anche per l’alternanza scuola-lavoro, e i casi di due ragazzi morti. È capitato anche che siano stati picchiati dalla polizia.
«Non so bene come siano andati i fatti. Io ricordo le violenze della polizia a Genova, piazza Alimonda, quelli sì sono stati fatti tremendi».
Lei partecipava a manifestazioni studentesche?
«Sì, certo. Mi viene nostalgia di quei tempi: delle magistrali, fu un periodo piacevole. Non delle medie: andavo malissimo ed ero un po’ disadattato. Mi rimandarono per tre anni in latino e per due anni in matematica».
L’Università di Magistero poi non l’ha mai finita.
«Nel marzo 1970 ho dato l’ultimo esame. Stavo facendo la tesi su un cantastorie bolognese, ma nel frattempo avevo cominciato a cantare… Quando anni dopo ero pronto con una tesi sul dialetto pavanese, mi hanno chiesto le tasse di tutti gli anni arretrati, ho lasciato perdere. Ma mi hanno dato due lauree ad honorem, a Bologna in Scienze pedagogiche e all’American University di Roma in Letteratura italiana».
Chi è il dottor Guccini?
«Uno scrittore prestato alla canzone. Quando ho fatto la mia lectio magistralis a Bologna li ho ammazzati col dialetto pavanese, di cui non fregava niente a nessuno…».
Che impressione le fanno questi venti di guerra in Ucraina?
«Che brutta situazione! Fa impressione sentire parlare di guerra in casa, in Europa. Putin è un autocrate che fa la voce grossa, risveglia il mio vecchio pregiudizio anti-sovietico».
E pensare che lei è stato spesso considerato un comunista!
«Non sono mai stato comunista. Ero piuttosto un anarchico, in senso romantico. Guardavo al Partito d’Azione, a Giustizia e libertà».
Se la ricorda la guerra?
«Sì, sono del 1940, i primi cinque anni di vita li ho trascorsi qui, a Pavana. Non stavamo male perché i nonni avevano il mulino. Ricordo appena i tedeschi, molto di più gli americani».
Perché ricorda meglio gli americani dei tedeschi?
«Perché hanno lasciato un imprinting. Erano pieni di roba: sigarette, cioccolato, questa bibita scura, la Coca cola, che mi piacque subito. Ricordo il Natale del ’44, vidi un misterioso signore tutto vestito di rosso con la barba bianca, che faceva “oh oh"».
Babbo Natale!
«Ma noi non sapevamo neanche chi fosse! Allora i regali ai bambini li portava la Befana, o Gesù Bambino. O ancora, il 14 febbraio 1945: arrivarono gli americani pieni di doni. A me regalarono un cagnolino bianco di peluche che sporcai subito di terra, piansi tantissimo! Era San Valentino, ma noi eravamo sbalorditi, non sapevamo cosa fosse».
Ha seguito la vicenda Quirinale?
«L’ho seguita, non c’era altra soluzione per me. Draghi sta bene a fare il Presidente del Consiglio. È stata una sconfitta della destra, soprattutto di Salvini».
Dice? Salvini dice che ha scelto lui Mattarella…
«Mah, loro non facevano che dire “il presidente lo hanno sempre scelto gli altri, adesso tocca a noi"…».
Le piace Mattarella? Lo conosce di persona?
«Non mi dispiace. Ma no, non lo conosco, non ho mai conosciuto nessun presidente della Repubblica».
Però qualche volta è stato votato…
«Stavolta si sono dimenticati di me: l’altra volta avevo preso quattro voti… Pertini mi piaceva molto, con la sua storia da socialista. Anche se è stato Ciampi a farmi cavaliere».
Quindi Ciampi lo ha conosciuto?
«No, non sono andato a ritirare l’onorificenza».
Per polemica? Come Sartre col Nobel?
«No, per pigrizia. Mi sarebbe toccato mettermi la giacca che non ho».
Ha visto che è stato in corsa il bolognese Casini?
«Mi venne presentato anni fa da un frate domenicano: “Questo è il più giovane deputato democristiano”. L’ho rivisto qualche anno fa in un’udienza dal Papa. Sarebbe stato meglio lui della Casellati».
In un’intervista disse che i politici di destra la fanno arrabbiare, è ancora così?
«Oh sì, mi arrabbio come una bestia, anche con certi Tg che non nomino. Ma siccome la destra probabilmente vincerà le prossime elezioni, finalmente verrà l’età dell’oro».
Scusi?
«A sentire loro va tutto male: il sindaco di Milano pensa solo alle piste pedonali, quello di Roma non risolve il problema del rusco (rifiuti in bolognese, ndr), mentre se avessero vinto loro sarebbe stato tutto risolto. Ecco, ora vinceranno loro e andrà tutto bene, no?».
A parte polemiche a distanza, come quando dedicò loro Bella ciao, ha mai avuto contatti con Salvini o Meloni?
«Le racconto una cosa successa anni fa. Mi suona il telefono: “Sono Giorgia Meloni”. Allora non sapevo chi fosse. Guidava un movimento giovanile, mi voleva invitare a una festa, un convegno…».
Atreju?
«Ecco sì, quello mi pare. Gentilmente rifiutai».
Quale destra le piace meno, quella di Salvini o Meloni?
«Quello che mi fa più paura è il rischio di una destra neofascista. E non mi si dica che è impossibile con una leader giovane: i pasdaran iraniani ancora si rifanno a Maometto che è del VII secolo».
Ha seguito l’iter dei referendum?
«Avevo firmato per quello sull’eutanasia legale. Ora non andrò a votare per quelli sulla giustizia, perché hanno tolto i due quesiti più seri».
Lei ha dichiarato di votare Pd: il suo partito dovrebbe farsi sentire sui diritti?
«Me lo aspetterei, ma Letta è molto prudente».
Con Letta si è mai sentito?
«Mi hanno detto che vuole incontrarmi: perché no, volentieri».
Una curiosità: ha visto Sanremo?
«Mio malgrado. Lo guardava mia moglie».
Le è piaciuto?
«Ho pensato che io ho fatto un altro mestiere».
Cioè?
«Non mi sono mai infilato una piuma di struzzo nel culo per cantare».
Se venisse un giovane aspirante cantautore a chiederle consiglio, cosa gli direbbe?
«Una volta è venuto uno. “Tra 5 anni so che sarò famosissimo”. Va bene, fammi sentire cos’hai fatto. Aveva un foglietto in mano. Dico: e la chitarra? “Devo ancora imparare a suonarla”. Ma che fai, studi? “Ho smesso”. Lavori? “Ci ho provato ma non mi piace”. Sono passati anni, non l’ho mai più sentito. Invece ho aiutato Claudio Lolli, che mi presentò mio fratello ed era bravissimo, e Vinicio Capossela, anche lui bravo, estroso».
Lei a Sanremo non è mai andato. Dica la verità, un po’ di snobismo?
«Sì, sì, sono uno snob tremendo! Però due volte sono andate mie canzoni, entrambe bocciate».
Che canzoni erano?
«Una storia d’amore, che avrebbero dovuto cantare Caterina Caselli o Gigliola Cinquetti, una mia canzone minore in effetti. E Migranti, doveva cantarla Enzo Iacchetti».
Che giudizio dà del suo lavoro, oggi?
«Quando cantavo correva voce che io fossi bravo con le parole e scarso con la musica. Il mio amico Flaco (Biondini, chitarrista che ha lavorato a lungo con lui, ndr) dice invece che le mie canzoni hanno un’ottima veste musicale».
È vero che non ha mai preso la patente?
«Mai. Non ho né la patente né il cellulare. Ma mi sono sempre venuti a prendere perché ero quello con la chitarra».
Torna più a Bologna?
«Quasi mai, è un’altra vita. Ora vado a letto a mezzanotte: allora a quell’ora uscivo e andavo a giocare a carte fino alle 3, le 4. Non ci siamo mai giocati neanche un caffè, ma ci divertivamo. Avevo chiesto a Ellade, il mio batterista, di mettermi in contatto con Mina, che mi dicevano fosse una buona giocatrice di scopone scientifico».
Avete mai combinato una partita?
«No, mai».
Per citare una sua canzone: Se lei avesse previsto tutto questo, rifarebbe la vita che ha fatto?
«Sì, sono stato fortunato. Ho fatto un mestiere che non mi ha mai dato ansie di successo. Ricordo gli amici dell’Equipe 84: se un disco aveva successo, tremavano a quello successivo. Ecco, io questi patemi d’animo non li ho mai avuti». —