La Stampa, 24 febbraio 2022
Intervista a Oliviero Toscani
Li capisci sempre dalle mogli. Oliviero Toscani ha battagliato, polemizzato, discusso moltissimo, sempre, con chiunque, tranne che con Kirsti Moseng, la terza e ultima donna che ha sposato. Cinquant’anni insieme e mai un litigio perché «Lei mi guarda e io mi sento un cretino». Nelle 250 pagine della sua autobiografia, Ne ho fatte di tutti i colori"(La Nave di Teseo, da oggi in libreria), su di lei e loro insieme c’è pochissimo: un paio di frasi, nessun aneddoto. Perché lui viene da una famiglia radicale e sobria, non ha avuto che trenta baci da sua mamma in tutta la vita, detesta quelli che si dicono «ti amo». Della Kirsti, però, è «innamorato come il primo giorno». Il tumulto, nella sua vita (il 28 febbraio fa ottant’anni, come Dino Zoff), è stato altrove. Nel lavoro, che è tutto il resto e che lo ha portato ovunque: a Zurigo, a studiare, negli anni in cui a Basilea venne sintetizzata per la prima volta l’Lds; al Chelsea Hotel quando ci viveva Dylan Thomas, che ha fotografato in vestaglia, tra gli scarafaggi; a giocare a carte con Keith Richards; a lavorare per Vogue, Elle, Libération, con Fiorucci e Luciano Benetton; a fare l’assessore di Vittorio Sgarbi; a mandare al diavolo Anna Wintour dicendole «fatti curare da uno psichiatra» (poco dopo lei sposò uno psichiatra); in tribunale per vilipendio della religione, diffamazione di Salvini, Gasparri, popolo veneto. Quando fece l’epica campagna dei jeans Jesus, quella del Chi mi ama mi segua scritta sugli shorts, Pasolini scrisse sul Corriere della sera che Toscani aveva cambiato le regole dello slogan. Di giornali e riviste ne ha fatti a bizzeffe. Con Colors dice di aver rivoluzionato l’editoria.
So che le è stato proposto di dirigere il Corriere. È vero?
«Sì. E arriverei a un milione di copie in sei mesi».
Mi dica il piano editoriale.
«Prima di tutto faccio una redazione molto eccentrica. Niente vecchi, nemmeno un barboso editorialista di questi rincoglioniti con cui riempite i giornali. A scrivere ci metto ventenni da tutto il mondo: analisi, opinioni forti, contrasti, polemiche, risse, approfondimenti. Le notizie si leggono sul telefono. E poi abolisco le distinzioni di settore: politica, esteri, sport, spettacoli. Va tutto insieme: storie e letture personali. Il giornale dev’essere super soggettivo, una sorpresa quotidiana, una rappresentazione teatrale scritta e illustrata».
Bello, lo compro. Ai trentenni nemmeno un posticino?
«Mi sembrano in maggioranza imbecilli. Pochissime eccezioni. Preferisco i ventenni».
Che dice dei ragazzi in piazza in questi giorni?
«Non mi piace che si rifiutino di fare la prova scritta: magari scrivono che i professori sono cretini, ma devono farla».
E delle proteste per gli studenti morti sul lavoro?
«Che è qualcosa di troppo drammatico per farne una ragione per scendere in piazza. E non può passare l’idea che chi offre lavoro ammazza la gente: lo dico pur convinto che la scuola non debba insegnare a lavorare, o a fare marketing, bensì a ragionare, a sorprendere, anche a contestare. Io volevo la cattedra di sovversione alla Sapienza, ma non me l’hanno data».
Ma la sovversione non si può insegnare, è un controsenso.
Certo che si può, anzi: si deve. Sovvertire significa mettere a posto le cose che non vanno».
Bella la sua bio, le invidio l’avventura.
«Lei dove è nata?».
Matera.
«In un sasso?».
No, ahimè.
«Allora non è figlia di un asino. Mi spiace per Matera, l’ho vista che ero un ragazzino, con le bestie nelle case, ricordo il rumore, lo strazio. Ora è un posto per ricchi vecchi bavosi, ci sono stato di recente per fare un libro ma ho mollato, non mi piaceva».
Perché in Italia roviniamo sempre tutto?
«Perché non abbiamo fantasia. Diciamo di essere creativi ma è una balla. Abbiamo inventato solo il fascismo, e infatti ne siamo gelosi, non riusciamo ancora a rinnegarlo».
Dov’è finito il suo patriottismo?
«Parlo così proprio perché sono un patriota. Per amore».
Cosa ama di questo Paese?
«Le minoranze. Pannella prendeva il 2 per cento, ma aveva ragione. In buona parte, gli italiani sono vigliacchi, pigri. Ma ci sono individualità eccezionali che finiscono o soffocate o assorbite: qui hai speranza di fare qualcosa se ti iscrivi al partito, se stai col regime».
Lei si è fatto la tessera del PD nel 2018.
«L’ho fatto quando avevano perso tutto, miseramente».
E si è pentito?
«No. Se ci fosse stato il PCI, mi sarei iscritto al PCI».
Ma lei non è mai andato d’accordo con i comunisti.
«È vero. Erano troppo tristi grigi ottusi e borghesi per me».
E allora?
«Sono un radicale, l’ultimo rimasto in Italia. La tessera del Pd la feci per dimostrare che bisogna avere il coraggio di appartenere a qualcosa anche nel momento in cui fallisce».
La destra riesce sempre a far sembrare i conservatori dei veri liberali e i liberali dei veri bacchettoni.
«Gioca facile: il nostro è un paese di destra. Il resto è un inganno. Una volta mi sono permesso di dire che i veneti sono alcolizzati atavici e si sono scandalizzati come suore, persino Zaia si è risentito, m’è toccato scrivergli una lettera di scuse».
L’ho letta. Bellissima. «Chiedo scusa a Lei, che è il Presidente dei veneti astemi, degli alcolisti sobri e dei bevitori moderati per il linguaggio un po’ leghista che ho usato per fotografare i simpatici amici del Veneto».
«E pensi che poi Zaia mi chiamò per dirmi che era stato eletto grazie a me«.
Un collaborazionista.
«Io? Per carità. Io sono contrario persino alle mamme italiane. Tirano su maschi fifoni, vigliacchi, superbi».
I padri tutti innocenti??
«Sempre le italiane li allevano.
Ha scritto che le donne migliori hanno i difetti peggiori degli uomini.
«Intendevo le donne riconosciute come migliori: guerresche signore nevrili, uguali ai maschi. E dire che a me le donne piacevano perché non facevano la guerra. Spero ancora che s’inventino un altro mondo, invece di battersi per prendersi questo e dire: sappiamo fare come voi».
A parte le mamme, c’è un’altra causa di tutti i mali?
«I padroni. Questo paese ne ha avuti di pessimi. Pensi ai nostri reali e imprenditori: Olivetti è morto nel 1960 e ancora lo rimpiangiamo perché non c’è stato nessuno migliore di lui. Nessuno in sessant’anni».
Dicono tutti che lei è un provocatore. Non le sta stretto?
«Ieri era qui una giornalista polacca, non faceva che dirmelo e alla fine ci ho litigato, le ho detto che mi sembrava che fosse venuta a dimostrare che Toscani è un delinquente. La provocazione è la conseguenza di un comportamento, non un modo d’essere. È un’azione».
Di questo presente cosa c’è di interessante?
«Tutto. Come sempre».
Mi piaceva la sua idea di fare una campagna vaccinale con lo slogan “Droghiamoci tutti!”. Molto anni Ottanta.
«Gli anni Ottanta sono stati uno schifo, del resto i Beatles si sono sciolti nel 1969».
E lì è finito il mondo?
«Un po’ sì. Finiti loro, ritornarono tutti i parrucconi e i loro figli. Negli anni Ottanta sono nati quelli della sua generazione. Come sono le sue amiche?».
Strepitose.
«Portano i tacchi?».
Sì.
«Vede? Basso cervello, alti tacchi. Le ballerine dovreste mettere. Io non sopporto le donne con i tacchi e meno ancora quelle con i tatuaggi: mi rifiuto, in generale, di parlare con chi si tatua».
Quante donne ha avuto?
«Non conta quante, conta che ho avuto le migliori».
Ha fatto pazzie per amore?
«Una: dedicargli la mia vita».
Perché le piace il Papa?
«Perché è un buon conservatore e dice le stesse cose che diceva mio nonno, un anarchico socialista antifascista».
Cosa sarebbe successo se avesse detto sì a Berlusconi, quella volta che chiamò lei e Umberto Eco per affidarvi la direzione editoriale e creativa delle sue tv?
«Forse avrei fatto qualche buon programma: Mediaset non ne ha fatto nemmeno uno. Berlusconi è stato la rovina di questo paese. E non mi è mai stato antipatico. Era anche amico del mio fratello maggiore, Elio Fiorucci. Ma ha sempre avuto un insormontabile problema: l’eccesso di gusto. Lui è sempre troppo: troppi denti, troppi capelli, troppi figli, troppe donne».
Lei ha conosciuto Weinstein, ha detto che era gentile.
«E aveva un carisma che trascendeva la sua bruttezza. Non voglio difenderlo, ma dico che non si può condannare senza capire. A tre anni gli fu chiaro di essere un mostro: deve avergli fatto scattare qualcosa di terribile».
Com’è andata quando ha fotografato 58 organi sessuali?
«Erano di più. 58 ne pubblicammo. Ero a Parigi, feci un fondo con un buco. Un mio assistente faceva i casting, loro si spogliavano, si fermavano davanti a quel buco, io scattavo e via. Sarà passato anche Macron».
Ha detto di aver completato la sua istruzione al cinema. Mi fa una lista di film che valgono quanto un liceo?
«Tati, Bunuel e Limonata Joe. Guardi questi, poi torni».
Cos’è il pop?
«Molte cose: quello che si mangia al cinema, una parte del papa, uno scoppio, un’espressione estetica, e anche un suono».—