Corriere della Sera, 24 febbraio 2022
Intervista a Giovanna Chirri
di Paolo Conti
La giornalista: il Papa restava seduto e mi sono insospettita
T orniamo alla mattina dell’11 febbraio 2013, quando Benedetto XVI stupisce il mondo annunciando la sua rinuncia «al ministero di Vescovo di Roma, successore di san Pietro». Lo scoop appartiene a Giovanna Chirri, in quel momento vaticanista dell’Ansa, ruolo che ricopriva dall’agosto 1994. Riavvolgiamo quel film...
«Ero in sala stampa, nel mio box dell’Ansa. Chi conosce quegli ambienti sa come si lavora. Un lungo corridoio, poi ciascuno ha il proprio spazio dove però la privacy è impossibile. Lo dico perché ciò che mi è accaduto non è stato un segreto per nessuno. Eravamo in collegamento televisivo dalle 11 con la sala del Concistoro. Doveva essere una mattina qualsiasi di lavoro».
Quando ha capito che qualcosa non andava?
«Benedetto XVI aveva convocato un Concistoro per i decreti di canonizzazione di alcuni santi, tra cui i martiri di Otranto, molto venerati in Puglia. Fatto quell’annuncio, ho scritto la notizia per la rloc, cioè la rete locale della Puglia. In Vaticano l’11 febbraio è festa per l’anniversario dei Patti Lateranensi. Particolare importante, era difficile trovare qualcuno... Ho capito che stava accadendo qualcosa di straordinario quando ho visto il Papa restare seduto, finita la cerimonia. Una cosa insolita. Ho pensato: che ci fa ancora lì? E ha cominciato a leggere un altro testo sempre in latino...».
Ovvero: «Non solum propter tres canonizationes ad hoc Consistorium vos convocavi, sed etiam ut vobis decisionem magni momenti pro Ecclesiae vita communicem». Cioè: «Vi ho convocati a questo Concistoro non solo per le tre canonizzazioni, ma anche per comunicarvi una decisione di grande importanza per la vita della Chiesa».
«Lo ammetto, ho cominciato ad avere una reazione emotiva fortissima. Ho capito che stava accadendo qualcosa di importante: la mia gamba sinistra tremava, non riuscivo a fermarla, mi sono agitata moltissimo».
Lei padroneggia bene il latino...
«Sì, ma è solo una buona conoscenza che viene da un solido studio liceale al “Visconti” di Roma. Non sono una latinista, insomma. Continuo a pensare che la formazione classica sia stata uno dei grandi regali che mi abbiano fatto i miei genitori. Non era scontato: mio padre era usciere ai Beni culturali, mamma casalinga. Però io e i miei tre fratelli abbiamo potuto arrivare all’università. Per essere chiara: non giro col vocabolario latino, non lo studio continuamente ma lo capisco. Poi c’è stato quel passaggio».
Quale, in particolare?
«Quando Benedetto dice: “...ad cognitionem certam perveni vires meas ingravescente aetate non iam aptas esse ad munus Petrinum aeque administrandum”. Ovvero: “...sono pervenuto alla certezza che le mie forze, per l’età avanzata, non sono più adatte per esercitare in modo adeguato il ministero petrino”. Quando ho sentito il passaggio su “ingravescente aetate” la testa quasi mi è scoppiata. Chiunque segua le vicende vaticane sa che “Ingravescentem aeatem” era la Lettera apostolica in forma di Motu proprio con cui Paolo VI stabilì, nel 1970, che i Cardinali dovessero presentare le dimissioni dai propri incarichi al compimento del 75° anno proprio per “l’età avanzata”».
Un’espressione che lei conosceva bene...
«Benissimo. Per anni, ricorrentemente, ho parlato dell’”Ingravescentem aetatem” per le tante dimissioni di Cardinali. Non sempre presentate con felicità, anzi: spesso sono capitate polemiche... ma il tema si ripresentava anche per le condizioni di salute di Giovanni Paolo II. La domanda circolava spesso: magari si dimetterà per la sua malattia? E spuntava continuamente il riferimento all’“Ingravescentem aetatem”. Poi le cose sono andate diversamente».
Torniamo alla mattina dell’11 febbraio.
«Benedetto XVI ha detto il resto: il “renuntiare” al ministero di Vescovo di Roma e successore di san Pietro, poi ha annunciato il “Conclave ad eligendum novum Summum Pontificem”, cioè il Conclave per eleggere il nuovo Pontefice».
Il passaggio sul Conclave è stato insomma la conferma...
«La parola Conclave mi ha dato la conferma piena, assoluta. Ho cominciato a telefonare ovunque ma in Vaticano non rispondeva nessuno per via della festività. Ho lasciato chiamate a tutti, anche a padre Federico Lombardi che era il direttore della Sala Stampa. Quindi ho visto in diretta il Cardinal Sodano alzarsi e dire in italiano: “Santità, questo annuncio è per noi un fulmine a ciel sereno”. Lì ho capito. Ho chiamato il desk dell’Ansa. Lo ammetto, ho cominciato a gridare. Mi ha risposto una brava collega, Annalisa Antonucci, era di turno come vicecaporedattore. Le ho detto: “Il Papa lascia, se ne va”. E lei: “Ma sei sicura?”. Io: “Sicurissima”. Abbiamo fatto insieme il titolo del flash urgentissimo: sessanta battute appena, occorreva la massima sintesi. Annalisa proponeva “Il Papa si dimette”. Ma non andava bene...».
Spieghi perché.
«Perché le dimissioni si presentano a qualcuno che deve accettarle. Non è il caso del Papa. Quindi abbiamo fatto: “Il Papa lascia il Pontificato” e siamo riuscite a mettere anche la data in cui sarebbe cominciata la Sede vacante secondo le intenzioni di Benedetto XVI, dal 28 febbraio. Il flash è andato in rete immediatamente, per la precisione alle 11.46, mentre ero al telefono con padre Lombardi che mi aveva richiamato. Gli ho chiesto se avessi capito bene. Non dimenticherò mai la sua voce tranquillissima, il tono sereno: “Sì, hai capito benissimo”. E quel suo modo di rispondermi mi ha totalmente pacificato».
Uno grande scoop, insomma.
«Senza dubbio uno scoop. Siamo stati i primissimi al mondo».
Quando ha visto battere il flash, lei cosa ha provato?
«Lo ammetto, sono scoppiata a piangere. La tensione... lo stress che lascio immaginare, cominciato quando avevo intuito l’atmosfera, vedendo il Papa restare finito il Concistoro. Padre Lombardi aveva annunciato un briefing urgente in Sala stampa per le 13. In pochi minuti sono arrivati tutti. Il flash aveva fatto il giro del mondo».
E dopo il pianto liberatorio?
«Un po’ di incredulità. Io avevo fatto il mio lavoro non in un angolo nascosto ma, lo ripeto, nel mio box. E anche a voce altissima in alcuni momenti. Quindi gli altri avrebbero potuto capire, intuire, che c’era qualcosa di strano. Ma non è andata così. Sono sincera: finita l’emergenza, ho provato anche un po’ di orgoglio. Non personale, ma come italiana e come ex studentessa di materie classiche. Una dimostrazione che noi italiani siamo in grado di dimostrare che non siamo da meno degli altri anche facendo forza su quel tipo di studi e dopo una vita di lavoro. Una bella soddisfazione, lo riconosco».
La commozione era legata anche all’addio di Benedetto XVI?
«È un Papa che ho amato molto, anche se gli inizi furono difficili. Venivamo dal papato di Giovanni Paolo II che era professionalmente semplice da seguire, con i suoi testi si trovava sempre qualcosa da raccontare, poi c’erano le tappe della sua malattia. Ratzinger ai miei occhi era il Cardinale che aveva tagliato le gambe alla Teologia della Liberazione, che aveva osteggiato duramente un teologo come Hans Kung. Io da giovane ho frequentato il Centro Astalli di Roma dei Padri Gesuiti, un mondo diverso. All’inizio giornalisticamente si faticava molto, con lui, ricavando ben poco. Poi ho cambiato idea».
Perché ha cambiato idea su Ratzinger?
«Perché seguivo i suoi discorsi spesso fatti a braccio. Un livello umano e intellettuale meraviglioso, soprattutto quando affrontava temi teologici».
Domanda inevitabile, visto che parliamo di lui: lei crede o no alla versione di Ratzinger sugli abusi di Monaco e sulla ormai famosa riunione del 15 gennaio 1980? Cioè che lui avrebbe partecipato ma che, in quella sede, non vennero esaminati alcuni singoli casi...
«Io credo a Benedetto. Da sempre si è battuto contro gli abusi sessuali nella Chiesa, è stato rigorosissimo, vicino alle vittime. Escludo si possa diventare bugiardi da un momento all’altro».
E quando arrivò Bergoglio?
«Ricordo che il mio commento fu: “Per fortuna non è italiano”. Credo di averlo gridato. Avevo le mie ragioni e non penso di aver sbagliato. La mia formazione ignaziana mi ha aiutato e mi sta aiutando a capire il pontificato di Francesco».
Conoscere il latino è stata una grande occasione. Lei suggerirebbe a un genitore di iscrivere un figlio al classico?
«Senza esitazione. In tanti mi hanno telefonato dicendo, in quei giorni: “Ho convinto mio figlio o mia figlia a iscriversi al classico raccontando la tua storia”. Che è anche finita in un saggio sul “Romanische forschunger”, prestigiosa rivista tedesca di studi sulle lingue romanze, dedicato al latino come strumento dell’emancipazione femminile nei secoli».
Nel suo blog giovannachirri.it c’è una sua dettagliata biografia, oltre alle sue note di attualità. C’è un passaggio pubblico ma molto doloroso: «Dall’82 sono sposata con Mimmo, compagno di liceo, di attività politica e poi di università. Abbiamo tre figli: Luca è con noi, mentre Flavia e Marco ci aspettano in cielo».
«Abbiamo perso Marco all’ottavo mese di gravidanza. Flavia è rimasta vittima di un incidente stradale negli Stati Uniti nel 2011, a 17 anni, mentre studiava lì. È morta con tutta la famiglia che la ospitava. Sono profondamente convinta che ci riuniremo tutti insieme e che loro siano stati accolti in cielo dai nonni».
E oggi qual è la sua vita?
«Sono prepensionata, una condizione non facile da affrontare dopo lunghi anni di lavoro appassionante. Ora ho il mio blog e una piccola collaborazione che mi consente di mantenere l’accredito in Sala stampa in Vaticano. Difficile interrompere col mio mondo, dopo una vita».