il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2022
Lucio Dalla ricordato dai colleghi
Lucio Dalla è – splendidamente – ovunque. In anni di interviste è il più citato tra i colleghi e per ognuno di loro rappresenta un qualcosa di speciale e palpabile. Di seguito alcuni di questi ricordi.
Tosca: “Rido quando lo vogliono far passare come un santino, mentre era tremendo ed era il suo bello: era un dissacratore, un imprevedibile; ci ho lavorato due anni: mi spiazzava continuamente; (ride) ero uno dei soggetti per i suoi scherzi. Dormivo a casa sua, una notte sento della musica, così la mattina gli domando: ‘Questa notte hai suonato?’. ‘No’. Insisto, ma nega. Poi lancia uno sguardo ai suoi inservienti: ‘Allora è tornato! Morandi lo ha visto nello specchio mentre si tagliava la barba’. ‘Ma chi?’, intervengo io. ‘Il fantasma!’. ‘Non ti offendere ma vado in hotel’”. Un modo garbato per mandarla via? “Ci ho pensato, ma qualche giorno dopo mi chiama Morandi: ‘Ho saputo che hai sentito il fantasma suonare’”. (Pausa, ci pensa) “Ogni suo soundcheck era una lezione di vita e forse non sarei quella che sono se non avessi conosciuto Lucio”.
Donatella Rettore: “A chi dico grazie? A Lucio Dalla, uomo ironico, spiritoso e di grandissimo talento; sono stata l’unica donna che ha amato, ma solo perché mi considerava un maschiaccio… Non avevo una lira e lui mi coinvolse nei concerti in Veneto e riuscì a togliere i dubbi a mia madre con una frase lapidaria: ‘Signora deve solo cantare, non fare la troia’”. Risposta di mamma? “È già piena di grilli per la testa”. E Dalla: “Risolviamo così: sua figlia canta e lei va a dire un paio di preghiere”.
Michele Torpedine: “A sedici anni già suonavamo insieme alla Festa de l’Unità di Bologna, poi giravamo la città, e piano piano è diventato ‘Ragno’”. Il suo soprannome. “Inevitabile vista la quantità di peli mai nascosta, anzi esibita: quando andavamo a casa sua, era facile trovarlo vestito appena da un piccolo slip”.
Luca Barbarossa: “Ti presentava mille persone, non solo legate al mondo della musica, anche artisti, attori di teatro, ti presentava nuovi talenti… Una sera Lucio si avvicina: ‘Ascoltalo, è bravissimo’, e mi ritrovo davanti un ragazzo al piano: era Samuele Bersani che canta Il mostro”.
Ron: “Chi lo conosceva veramente era abituato alle sue dipartite: era imprevedibile, a volte impalpabile; era in grado di organizzare una cena, alzarsi con una scusa dopo appena quindici minuti, e non tornare più a tavola; era in grado di stare a cena con Gianni Agnelli e subito dopo fermarsi per due ore per strada a parlare con un barbone. Ah, i viaggi in autostrada con lui erano unici…”. Correva in auto? “No, non per questo: quando si fermava agli autogrill capitava, sempre, che venisse fermato dai fan. Lui felice. Una volta l’ho visto su un piazzale a cantare canzoni napoletane con un gruppo di signori campani in gita”. Chi era Lucio Dalla? “Un uomo unico, non c’è nessuno simile. Nessuno”.
Renato Zero: “Con Lucio ho vissuto delle grandi affinità caratteriali, direi anche psicosomatiche: in fondo eravamo due clown, e nel deserto di essere emarginati dal contesto generale, vedevo in lui una rivalsa, non mi sentivo solo”.
David Zard: “Mi ha salvato la vita. Avevo paura del trapianto (di fegato). Così mi portò da un medico di Bologna. Il professore mi disse: ‘O ti operi o non hai speranze’. Io niente. La sera stessa Lucio mi invita nella sua casa di Bologna. Siamo in strada e arriva un tizio. Lo ferma. E rivolto a me: ‘Vedi lui? Ha avuto i tuoi stessi problemi. Gli hanno trapiantato il fegato. Raccontagli com’è andata’. E il tizio: ‘Operato quattro settimane fa, e sono già così’. Bene, lo scorso anno ero al funerale di Dalla. Incontro la stessa persona. ‘Come stai?’ E lui: ‘Bene, perché?’ ‘Il fegato’. La risposta mi ha fulminato: ‘Ma ancora ci credi? Fu tutta una sceneggiata di Lucio per spronarti’”.