il Fatto Quotidiano, 24 febbraio 2022
Paola Pallottino ricorda Lucio Dalla
“Non si venne a sapere”. Cosa? “Che Lucio aveva cantato Gesubambino al Teatro Duse, nel dicembre 1970”. Prima di Sanremo. L’avrebbero squalificato. “Ma furono proprio quegli applausi a convincere la RCA a proporre la canzone al Festival. La bellezza del violino e il resto…”.
Testo scritto da lei, cara Paola Pallottino.
A Bologna, e non alle Tremiti come inventava lui. Gli portai la poesiola e trovò subito la melodia. Io ero ossessionata dalla metrica. Non cambiò una virgola.
Ci pensò la censura.
Un’ostinazione demente, ma anche quegli infamoni dei discografici premevano per la cautela. Niente madonne e puttane, telefonate a valanga con la Rai. Dalla, sfinito, cambiò il titolo e i versi scomodi. Il brano fu ripescato in gara grazie all’insistenza di Alberto Bevilacqua e del regista Piero Vivarelli.
4 marzo 1943. La svolta.
Avevano stampato poche copie, sparirono in un baleno. Improvvisamente, per la RCA, Lucio non era più l’ultima ruota del carro.
Lei era in platea.
Tobia, il guardaspalle che accompagnava Dalla a riscuotere dagli impresari furbastri, si alzò tra i battimani e urlò: ‘Ora basta subire’. Il tempo delle vessazioni era finito.
Canzone umiliata ed esaltata.
I censori ne avevano mutilato il testo, che però vinse un premio. Mario Soldati, illuminato presidente della giuria di qualità, mi raccontò delle proteste di chi non ne aveva afferrato il senso, interpretandolo come un incesto. Soldati disse: ‘Certa gente soffre di recepimento intermittente. Ascoltano l’inizio e la fine e non capiscono niente in mezzo’.
Lei voleva scrivere del padre di Lucio.
Era rimasto orfano a sette anni, il mio doveva essere un risarcimento da una come me, che ha avuto un papà ingombrante, illustre etruscologo. Mi uscì un pezzo su una madre, certo trasfigurata.
Quella di Dalla era Iole, la sarta.
Che antipatica. Stava sempre lì a squadrarti dalla testa ai piedi, valutando quanto risultassi utile al figliolo. Dopo il terzo posto di Sanremo mi soffiò gelida: ‘Sei contenta, Pallottino?’. E io: ‘Dovremmo esserlo in due’.
Vivevano insieme: mamma lo controllava…
Poiché cominciavano a circolare chiacchiere sul conto di Lucio, lo faceva accompagnare da presunte fidanzate, aspiranti mogli segrete. Scrissi Anna Bellanna. Mi ero ispirata a una sua deliziosa amica, bionda e bellissima, sorella del povero manager Renzo Cremonini.
A Bologna parlavano.
Dicevano cose orrende. Busone, schifoso, puzzolente, nano maledetto. Pure lavorare con lui diventava sospetto. Dopo la sua morte la città si riempì di vedovi inconsolabili, accorsi al megagalattico funerale-passerella dove non si trovò un posto per me.
Criticarono Marco Alemanno perché aveva pianto in chiesa, dopo aver visto morire Lucio tra le sue braccia.
È l’unico che avrebbe diritto alla vedovanza. Marco, ragazzo civilissimo, in un amen si è visto sbattuto fuori dalla casa di via D’Azeglio dove conviveva con Lucio. Serratura cambiata, i familiari del ramo materno di Dalla si sono ritrovati tra le mani un’eredità enorme e ne hanno estromesso Alemanno. Che è tornato a Lecce per stare lontano da giochini e fondazioni. Lucio era stato imprudente a non far testamento in suo favore.
A un certo punto lei, Paola, litigò con Dalla.
Per Il Gigante e la bambina. L’avevo pensata per la sua voce. Lucio, con ostinazione incrollabile, voleva la cantasse un ragazzino come Ron. Io insistevo: solo tu puoi dar luce a un tema così. Niente da fare. Dissi che era un pazzo e gli tolsi il saluto.
Una canzone spesso fraintesa.
Mi aveva colpito il fatto di cronaca di un uomo che, a Cavalese, aveva rapito una piccola, ma non le aveva fatto niente. Un disturbato, però innocuo. Non un pedofilo. Invece nella mia storia il personaggio uccide la ragazzina, come a proteggerne l’innocenza. Immagini i morbosi esami clinici una volta liberata. Ron che c’entrava?
Pallottino, lei è una storica dell’illustrazione italiana e nel ’74 lavorò a un disco sulla condizione femminile, Donna Circo, che ora torna in una nuova versione. Per Dalla ha scritto nove canzoni. Nel libro di Massimo Londini spunta il provino de La ragazza e l’eremita.
Una versione registrata in studio da Lucio. Da sempre ero persuasa non avesse musicato il mio testo, che a un certo punto affidai ad Angelo Branduardi. Dalle stesse parole era uscito fuori un brano diverso.
Primo marzo 2012, la morte improvvisa di Dalla, profetizzata in Cara. Il mattino sereno, il treno che si ferma: l’esatta scena che stava vedendo dalla finestra d’albergo. E buonanotte anima mia, adesso spengo la luce e così sia.
Lui vedeva e negava la morte. Anche in un paio di miei pezzi, Un uomo come me e soprattutto Convento di pianura, dove uno bussa per farsi aprire e non sa da dove parta il colpo fatale.
Quando vi vedeste per l’ultima volta?
Mesi prima. In via D’Azeglio, su due divanetti a raccontarci tante cose. Il merlo fischiava. Avevamo rifatto famiglia. Anche quel giorno il cielo era bellissimo.