Il Messaggero, 24 febbraio 2022
Intervista a Eshkol Nevo
«Non era mai soddisfatta. Non del suo lavoro. Qualunque lavoro fosse. Non della casa in cui abitavamo. Qualunque casa fosse... Le pareva sempre che la cosa giusta fosse altrove». È diviso in tre, definitive storie di passione, finemente legate tra loro, il nuovo romanzo dello scrittore israliano Eshkol Nevo, da oggi in libreria, Le vie dell’Eden. Tre protagonisti alla ricerca di un altrove, di un paradiso che appare irraggiungibile: Omri, il divorziato che si ritrova nella Strada della Morte in Bolivia, dove una donna l’attrae come un gorgo letale; il dottor Caro, un vedovo che rischia la rovina per una carezza di troppo a una specializzanda; e Ofer, l’attempato amante dei rave, che decide di scomparire nel nulla durante una passeggiata in un frutteto con la moglie. «Non vedo l’ora di incontrare i miei lettori italiani – dice l’autore al telefono, mentre torna in taxi verso la sua casa di Ra’anana, dove vive con la moglie Anat e le sue figlie – l’Italia è sempre stato un luogo speciale per me». L’autore di Tre piani sarà domenica 27 a Firenze, per la rassegna Testo (Stazione Leopolda, ore 15); il 28 a Bologna per le Umberto Eco Lectures, dove parlerà di speranza (Biblioteca Universitaria, ore 17); e poi il primo marzo, sempre a Bologna, alla Biblioteca Salaborsa (ore 18).
Le vie dell’Eden passano sempre attraverso il desiderio?
«Certo, ma è anche vero il contrario: che si viene espulsi dall’Eden a causa del desiderio. Come nel racconto biblico del serpente che tenta Eva. Ogni personaggio del libro vive questo conflitto. Le strade che portano all’Eden possono portare al Paradiso, oppure all’Inferno».
L’amore e la morte sono strettamente legati, nel suo libro.
«C’è sempre stata questa connessione in letteratura, ma qui il legame risulta ancora più forte per via del Covid. Mentre scrivevo si percepiva l’atmosfera del lockdown. Un mio amico è morto all’inizio della pandemia. La morte era nell’aria e serviva una certa dose di desiderio, per sopravvivere a tutto questo. Il Covid non viene mai menzionato, ma è sempre sullo sfondo: le storie sono molto intense, e tutti i personaggi vengono investiti da eventi drammatici che non riescono a controllare».
Cedere al desiderio, però, ha sempre un prezzo?
«Certo, altrimenti non ci sarebbe alcun conflitto, non ci sarebbe una storia. Una delle cose che dico ai miei studenti quando stanno cercando di fare narrativa è: quale prezzo stanno pagando i personaggi per quello che stanno facendo? Il conflitto più interessante lo trovi quando ti metti nei panni dei tuoi personaggi e non sai neanche tu che decisione prenderesti, al posto loro. Quando penso a Omri, nella Strada della Morte, anche io mi sento combattuto: potrei facilmente cedere al desiderio e mettermi nei guai. O forse, no. Così come nel caso del dottore della seconda storia, che non sa se svelare i risultati del test genetico che lo scagionerebbe».
Nel caso del medico, entriamo in piena era #MeToo: una rivoluzione che ha cambiato la società?
«Sicuramente molto, e ne sono contento, essendo padre di tre figlie: sono molto più sicure di sé, sanno quando dire no. Ma solitamente i casi portati alla ribalta dal #MeToo sono definiti, sono casi in bianco o nero, mentre la mia storia non lo è. Nel mio libro non è facile capire chi sia la vittima e chi l’aggressore. Sono sempre queste zone grigie della vita, a risultare più interessanti. La letteratura è una pianta che si nutre del dubbio».
Il suo testo è stato ispirato a un passo del Talmud?
«Mentre stavo già scrivendo, mi sono imbattuto in un passo in cui quattro maestri dell’ebraismo entrano nel giardino dell’Eden, e soltanto uno riesce a sopravvivere. Così, mi sono detto che era una perfetta metafora di quello che stava avvenendo ai miei personaggi. Che il libro aveva una struttura antica, già pronta per me. Un po’ come, in Tre piani, si parla di Es, Io e Super-io della psicologia freudiana».
Il tre è un numero che ha un significato particolare per lei? In Tre piani tre famiglie, tre storie nelle Vie dell’Eden...
«I due libri sono molto diversi, ma ci sono alcune caratteristiche simili: entrambi sono libri molto intensi, i personaggi sono pieni di difetti... Sì, c’è una linea che unisce Tre piani a Le vie dell’Eden. Cercherò di pronunciarlo meglio: Le vi-e dell-E-den (dice in italiano, ndr)».
Cosa rappresenta l’Italia per lei? Nel suo libro si citano anche alcuni autori: Paolo Giordano, Paolo Di Paolo...
«L’Italia è la mia seconda patria letteraria. Ho tradotto libri in molte lingue, ma nessun altro paese mi ha fatto sentire così a casa, grazie anche al film di Nanni Moretti. Tre piani è stato il primo libro a vendere di più in Italia che in Israele, non mi era mai successo. Intendiamoci, sono molto fortunato anche in Israele, Le vie dell’Eden è stato il libro più venduto del 2021. Però mi sono affezionato ai vostri lettori. Vengo a fare dei book tour da quindici anni, ormai. Quando torno mi guardano il passaporto e dicono: No, ancora tu?».
Per questo ha creato anche un personaggio italiano?
«Sì l’ho messo nel mio libro come uno scherzo, come un omaggio ai miei lettori. Ma quanti Paolo ci sono nel vostro Paese?».
Suo nonno era Levi Eshkol, primo ministro negli anni Sessanta, uno dei padri fondatori di Israele. Per questo è anche impegnato politicamente?
«Non l’ho mai conosciuto, se non attraverso le storie che mi hanno raccontato, ma certamente è una delle ragioni del mio impegno, del perché sono pronto a combattere per i valori del mio Paese».
E come si sente ora che Putin è sull’orlo di scatenare una guerra aperta in Ucraina?
«Noi israeliani sappiamo bene cosa significhi essere in guerra. Molte persone che vivono qui, che siano ebrei o palestinesi, hanno vissuto diverse guerre. E per questo apprezziamo molto la pace. Spero che l’umanità sia progredita abbastanza da evitare che accada di nuovo».
È così difficile per l’umanità trovare un giardino dell’Eden?
«L’importante è continuare a sforzarsi, a combattere per trovarlo. Ho partecipato a molte dimostrazioni in Israele: non so se abbiano portato a qualcosa in concreto, ma ogni sabato ci ritroviamo e ci diciamo: Almeno, ci stiamo provando».