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 2022  febbraio 23 Mercoledì calendario

Bompiani, il non mestiere dell’editore

Trent’anni fa, esattamente il 23 febbraio del 1992, moriva Valentino Bompiani. Un po’ di anni prima era scomparso Erich Linder, il grande agente letterario, per tanto tempo l’unico a dominare la scena italiana e internazionale. Bompiani aveva scritto di lui. «Sapeva tutto dalla nascita. Era per una tradizione millenaria il migliore di tutti nel sapere cosa sono i libri e cosa si deve fare nei libri». Luca Scarlini, che ha appena pubblicato Bompiani Story, un documentatissimo omaggio al grande editore, commenta: «Questa sentenza la possiamo rivolgere anche a lui nella sua molteplice attività d’editore e scrittore, lungo un percorso accidentato e complesso che va da un capo all’altro del Novecento italiano ed europeo».
Sul suo non mestiere Bompiani scherzava: i libri li scrivono altri e altri li stampano e altri ancora li vendono. L’editore, di suo, ci mette l’amore… Aveva cominciato come segretario personale di Arnoldo Mondadori, ed era stata una grande scuola, poi il desiderio di far qualcosa in proprio si era via via affermato e, siamo nel 1929, aveva stampato il suo primo libro, una biografia di don Bosco, non ancora beato, ma in procinto di esserlo nel giugno dello stesso anno.
Ci sono, tra i moltissimi pubblicati, libri che hanno segnato una svolta particolare. Uno di questi è il Mein Kampf di Hitler, i cui diritti erano nelle mani di Mussolini. Siamo nel ’34. Naturalmente in molti criticarono, anche tanti anni dopo, la decisione di pubblicare La mia battaglia (questo il titolo italiano), ma Bompiani, nel ’49, scrivendo a Curzio Malaparte, ribadì che il suo solo rammarico era che non tutti gli italiani lo avessero letto abbastanza.
Anche con l’antologia Americana, affidata a Elio Vittorini, Bompiani si scontrò con lo spirito del tempo. Se da un lato era urgente portare al pubblico italiano i nuovi scrittori d’oltreoceano, dopo tanti anni di chiusura alle altre culture, non era facile far passare un’iniziativa del genere mentre le maglie della censura si facevano sempre più strette. «Gli Stati Uniti sono potenzialmente nostri nemici» scriveva Alessandro Pavolini, che era ministro della Cultura popolare ed era in sostanza favorevole all’antologia, ma ora temeva di favorire un eccessivo entusiamo «per l’ultima letteratura americana… moda che sono risoluto a non incoraggiare». A sostenere la pubblicazione dell’antologia intervenne Emilio Cecchi, che con la sua introduzione doveva temperare gli eccessi di Vittorini.
Negli stessi anni in cui si preparava l’antologia, dove molti scrittori italiani si misurarono nella traduzione di scrittori americani, maturò anche una grande impresa: il monumentale Dizionario Bompiani delle Opere e dei Personaggi che cominciò a uscire, dopo molte traversie, nel 1946. Era, il Dizionario, passato attraverso la guerra: a tal punto che i piombi dei testi già composti si erano liquefatti per le bombe cadute sulle tipografie, poi, dal ’42 al ’44 la casa editrice era sfollata in una villa nei pressi di Firenze, già appartenuta a Marsilio Ficino. Moltissimi erano stati i collaboratori, i direttori delle varie sezioni e gli estensori materiali delle voci. Bompiani citava lo storico della letteratura francese Carlo Cordié che preparò 18.000 schede di correzione a scrittura minuta. «Come ha potuto farlo?» si chiedeva Bompiani. «Perché è pazzo, un pazzo di Dio, a suo modo, se esiste una divinità della filologia e dello scrupolo. Per lui la guerra è passata come un ritardo postale». Ogni volta che si riparla del Dizionario si ricorda la scelta di togliere la “h” dalle voci del verbo avere, limitandosi ad accentare la vocale “ò, à”. All’inizio sembrava una sciocchezza, ma consentì di risparmiare moltissimo spazio.
Naturalmente una casa editrice è fatta di tanti autori: l’editore tiene le fila, magari anche per moltissimi anni. Caro Bompiani, il volume delle lettere scambiate dagli scrittori con l’editore e pubblicato da Bompiani nel 1988 a cura di Gabriella D’Ina e Giuseppe Zaccaria, è una vera miniera di storie e di retroscena. Luca Scarlini ha scelto di raccontare, nella seconda parte del suo lavoro, i principali autori della casa editrice, cominciando con Massimo Bontempelli e seguitando con la sua compagna Paola Masino (i due, con scandalo di qualche benpensante, non si sposarono mai). Poi arriva Cesare Zavattini, funambolico come sempre. È tra i primi a portare i suoi scritti a Bompiani, che si è appena messo in proprio e gli chiede di riscrivere i suoi materiali. Al che Zavattini ricorda: «Io risposi va bene, volentieri». A Zavattini, Bompiani affida, nel ’34, la redazione dell’ Almanacco letterario che avrà lunga vita.
Con Moravia, che sarà per tanti decenni l’autore di punta della casa editrice, c’è un incrocio sotterraneo. Nel 1929 nella stessa tipografia milanese si stampavano Gli indifferenti per l’editore Alpes e il Don Bosco per Bompiani. Un segno del destino? Chissà. Intanto Moravia pubblica Le ambizioni sbagliate da Mondadori, ma Bompiani riuscirà a portarlo nella sua casa editrice nel 1937 con L’imbroglio.
Il carteggio tra Moravia e l’editore è il più cospicuo tra quelli conservati nell’archivio Bompiani e tocca naturalmente anche i momenti di grande successo come accadde con La ciociara (1957) e poi con La noia (1960). «Credo che La noia sia il tuo capolavoro e il tuo libro più audace, moderno, modernissimo». Il libro di Scarlini ha una introduzione dichiaratamente pettegola della figlia di Valentino Bompiani, Ginevra. Anche lei ha lavorato in casa editrice svolgendo diverse mansioni e dirigendo poi la collana Il pesanervi. In casa editrice lavorava anche Umberto Eco, che nel ’62 aveva pubblicato Opera aperta in linea con il dibattito della neoavanguardia di allora. Eco, ricorda Ginevra, arrivava in redazione alle undici, mandando Bompiani su tutte le furie. Alla fine vinceva Eco, che faceva ridere l’editore e che per tanti versi era diventato un punto di riferimento importantissimo. Bompiani si era presto aperto alla filosofia e le nuove generazioni erano entrate in casa editrice: con Eco lavoravano Enrico Filippini (che portò in Bompiani Tabucchi) e Leo Paolazzi (che si firmava, scrivendo versi e romanzi, Antonio Porta).
Nel ’72 fu giocoforza cedere la proprietà della casa editrice, ma Bompiani continuò ad andare nel suo ufficio per vent’anni ancora. Tra i nuovi autori di quegli anni, presentato da Ennio Flaiano, c’era stato anche Luigi Malerba con La scoperta dell’alfabeto e poi con Il serpente. Malerba si rivolgeva a Bompiani, scrivendo «Caro Conte». L’editore era infatti un nobile.
Eco avrebbe poi pubblicato, nel 1980, Il nome della rosa, che con il ritorno dell’intreccio e del manoscritto ritrovato, chiudeva di fatto il capitolo dell’Opera aperta. Un titolo perfetto per l’editoria e per la sua storia infinita.