la Repubblica, 23 febbraio 2022
La rete filo-russa dentro il governo
L’ aspro attacco del Wall Street Journal
al governo italiano, e in particolare al presidente del Consiglio Draghi, lascia perplessi. L’accusa a Roma di essere l’anello debole dell’alleanza occidentale si direbbe più che altro un processo alle intenzioni. O forse è un riflesso condizionato che scatta quando si parla dell’Italia in una crisi internazionale. Draghi in realtà non ha fatto nulla per meritarsi queste critiche.
La visita in Russia non si è concretizzata e comunque sarebbe arrivata dopo i viaggi di Macron e del Cancelliere tedesco. Ieri il premier ha rilasciato una dichiarazione in cui la posizione italiana, a fianco dell’Unione europea e all’interno della cornice Nato, è ribadita senza ambiguità: anzi, senza nemmeno certi “distinguo” semantici nei quali in altre occasioni e con altri governi si nascondeva la tentazione del doppio gioco, come il diavolo si cela nei dettagli.
Dove nasce allora il sospetto del quotidiano economico? In primo luogo, dalla dipendenza energetica dell’Italia: un Paese debole sul piano politico, in una condizione di emergenza semi permanente e affamato di gas, sembra il candidato ideale a subire la pressione di Putin. Ma a quanto pare non è così: Roma si prepara a sostenere con lealtà le sanzioni e oggi alla Camera il governo riferirà (benché sia singolare, data la drammaticità del caso, che a prendere la parola sia il ministro Di Maio e non il premier). In secondo luogo la diffidenza serpeggiante verso un Paese importante della Nato dipende dalle voci discordanti nella maggioranza. E che erano ancor più evidenti nella stagione dell’esecutivo Conte-1, il cosiddetto giallo-verde. Esiste in sostanza un partito filo-russo, o meglio filo-Putin, molto forte già al tempo dell’asse 5S-Lega.
Comprendeva il vertice del governo, di espressione “grillina”, e il ministro dell’Interno Salvini. Da allora parecchia acqua è passata sotto i ponti. Oggi Conte, alleato del Pd, è attento a non compiere passi falsi e peraltro la sua simpatia per l’autocrate di Mosca era dettata da mero opportunismo.
Matteo Salvini invece mantiene una linea eterodossa rispetto alla gravità della crisi. Lo ha sottolineato ieri, minimizzando la necessità di sanzioni e facendo credito a Putin di una buona volontà di cui nessun altro si è accorto. Il capo della Lega è insomma il più autorevole rappresentante di quella rete filo-russa che i putiniani hanno costruito con pazienza in Europa occidentale, attraverso strumenti leciti e forse anche non leciti. È un reticolo che comprende gruppi di estrema destra accanto a gruppuscoli di estrema sinistra in equilibrio tra loro: l’ideologia che li unisce a Mosca, come noto, è una forma di nazionalismo populista alquanto confuso e pragmatico. Oggi Salvini occupa una posizione di spicco in questa piramide, dopo aver sottoscritto pochi anni fa un patto d’amicizia con la formazione politica che si richiama all’autocrate. Non solo. Lo stesso Salvini è un personaggio chiave della coalizione pro-Draghi, per cui all’estero possono supporre che sia in grado di influenzarlo.
Non ci sono in Europa altri esponenti del partito filo-P utin titolari di un’analoga posizione strategica. Ciò pone una contraddizione che dovrà esser sanata.
Come ha scritto un attento osservatore, Francesco Sisci, la linea leghista nel mezzo di una crisi internazionale è un serio elemento di debolezza per Draghi.
Come dire che Salvini dovrà chiarire in fretta da che parte vuole stare.