il Fatto Quotidiano, 23 febbraio 2022
«Meglio i tossici che Big Pharma» dice Beth Macy
“Ossicodone e cocaina sono cugini chimici: quando ho capito che stava per scoppiare una nuova epidemia di oppioidi negli Stati Uniti ho cominciato a scrivere”. Per raccontare la storia finita nel suo libro – Dopesick: Dealers, Doctors and the Drug Company that Addicted America, “Spacciatori, medici e la compagnia farmaceutica che ha reso dipendente l’America” –, Beth Macy ci ha messo quasi dieci anni. Ha seguito i giovani e le loro famiglie distrutte dal farmaco della Purdue Pharma, l’oppioide commercializzato dal gigante farmaceutico con la promessa che non inducesse dipendenza. Nell’America rurale, dove le fabbriche vengono abbandonate alla ruggine, abbondano disoccupazione e povertà: lì la crisi è esplosa e si vive sotto lo stigma di addicted, di tossico, di drogato.
Beth, ha mai avuto paura di scrivere i segreti della Purdue?
Hanno provato a intimidirmi, ma i fatti sono chiari e sono stati evidenziati anche dalle Corti. La famiglia proprietaria dell’azienda è finita sotto processo, per la prima volta per aver mentito sulla dipendenza che induceva il prodotto; la seconda volta, invece, perché dava bonus ai medici che lo usavano; una terza, infine, per bancarotta. Ma i proprietari, i Sackler, non sono in bancarotta. Sono solo così ricchi da avere i migliori avvocati e consulenti capaci di tirarli fuori dai guai.
Ancora oggi la famiglia che ha creato la crisi dell’ossicodone dice di non essere responsabile: due giorni fa ha raggiunto un accordo per mettere a tacere tutte le cause intentatele sborsando 6 miliardi di dollari. Intanto, in America ogni anno si registra un nuovo triste record di morti per overdose.
Secondo il Nida, l’Istituto nazionale dell’abuso di droga, nel 1996, anno in cui fu introdotto sul mercato il farmaco, sono morte per overdose 13 mila persone. Nel 2020 erano già diventate 100 mila. Più di un milione di morti è legato alla crisi degli oppioidi: l’Oxycontin (nome commerciale dell’ossicodone, ndr) ha cambiato la narrativa, la percezione, il marketing. Il farmaco continua a essere pubblicizzato come non pericoloso. Ci vorranno generazioni per riprenderci da questa crisi e fondi statali per la prevenzione che mancano.
Dopesick è il suo terzo libro, ma anche gli altri trattano di dipendenza.
Ho sempre scritto di underdog: i perdenti, gli sfavoriti. Sono cresciuta in una famiglia molto povera, dipendente dall’alcol da molte generazioni. Per tanto tempo sono stata spaventata dalle dipendenze, so quanto è doloroso. Quando ho cominciato a scrivere di eroina all’inizio della mia carriera da giornalista, l’ho fatto da reporter e non per ragioni personali. Oggi i cronisti raramente raggiungono i piccoli paesi, dove più che nelle grandi città i tossicodipendenti pagano il prezzo dello stigma. Anche io vengo da una factory town, una zona industriale in cui il lavoro è quasi scomparso. L’epidemia è scoppiata in posti come questi.
L’ha mai oppressa il dolore degli altri?
Sì, ma è sempre stato minore rispetto a quello delle vittime e delle loro famiglie. Quando Tess – una delle protagoniste tossicodipendenti del libro – è morta, ho riscritto la fine della storia e al suo funerale ho pensato: “Non mi occuperò mai più di questo”. Ora scrivo un libro sui volontari invisibili che stanno salvando l’America.
Nella serie, Michael Keaton interpreta uno dei dottori coinvolti dall’azienda nella diffusione del farmaco. Prima diventa egli stesso dipendente, poi comincia a salvare le vittime.
Il vero dottore della serie era sul set con noi, Keaton ha recitato al top of the game, al suo massimo. Suo nipote è morto per abuso di oppioidi e ne parla apertamente.
Le sue ricerche, durate anni, sono finite dal libro agli schermi delle tv di tutto il mondo.
La tv ha raggiunto decine di migliaia di persone che non avevano alcuna idea della crisi degli oppioidi in corso. Alcune hanno comprato il mio libro solo dopo aver visto la serie. Uno dei ragazzi che ha lavorato alla fiction mi ha detto che una volta era in fila in un supermercato e ha sentito una donna parlare di Dopesick: da 3 anni non rivolgeva più la parola a suo figlio, tossicodipendente. Dopo aver visto Dopesick, però, lo ha cercato di nuovo: per vicende e vite come questa la tv ha fatto la differenza.