Corriere della Sera, 22 febbraio 2022
Cosa resta di PPP
«Era una caldissima giornata di luglio. Il Riccetto che doveva fare la prima comunione e la cresima, s’era alzato già alle cinque». È la prima frase di Ragazzi di vita. La sto trascrivendo dal libro edito da Garzanti che vive in casa mia dal 1955. È la seconda edizione: di giugno, la prima era di aprile. Naturalmente il libro lo comprò mio padre, che non era un letterato; ed io, che avevo appena dodici anni, non ero in grado di leggere un simile libro. Eppure, avidamente cominciai a sfogliarlo, poi a leggerlo. Inutile dire che mi colpì moltissimo, non l’ho mai dimenticato, e da sempre so che tutta la mia vita è stata accompagnata dal nome del suo autore, Pasolini, divenuto fatidico. Ma che vuol dire fatidico? Significa risonante? Significa che determina una svolta? Ecco, proprio una svolta no: ma che un nome, ovvero una presenza, cambia il paesaggio in cui nasce, lo determina; e che questo paesaggio a sua volta, lo volesse o no, contribuisce a modificare lo stesso libro. Prima Pasolini non c’era; ora Pasolini c’è.
La differenza con gli autori della medesima importanza, se non superiore, è che questo nome non riguarda solo le persone che si interessano di «arte»: letteratura, teatro, cinema. Riguarda tutti, anche chi il nome dello scrittore friulano lo ha solo sentito. In altri termini, significa che Pasolini non fu solo un «artista», divenne (volle anche diventare) un personaggio, volle appartenere alla vita pubblica, influire su di essa. In un modo o nell’altro, in tempi più o meno lunghi, di sicuro vi riuscì. Oggi siamo perfino incerti se egli fu più un «autore» o un «personaggio». Penso ad un uomo che gli somiglia, a Oscar Wilde. Probabilmente alcuni o molti, almeno in Italia, conoscono De profundis, ma quanti hanno letto i suoi capolavori, Il ventaglio di Lady Windermere o L’importanza di chiamarsi Ernesto? Quanto lo si rappresenta nei nostri teatri? Per altro, tutti percepiamo che la «vita scandalosa» di Oscar Wilde fu un evento irripetibile, che di sicuro ha influito in modo non esiguo sul costume di vita degli inglesi, e non solo degli inglesi.
Oggi è difficile pensare a Pasolini distinguendo la sua opera dalla sua vita; e ancora più difficile distinguere quanto di considerevole vi è all’interno di quell’opera e quanto di trascurabile. In modo succinto per non dire sbrigativo è proprio ciò che vorrei però fare, adducendo a mia personale difesa la lunga convivenza e la conoscenza di tutto quello che quest’uomo fece.
Abbiamo cominciato con Ragazzi di vita, seguì due anni dopo Una vita violenta: e benché siano tra le sue opere più note (per il mondo della periferia romana che vi si ritraeva e per l’uso del dialetto) penso siano due libri antiquati, quasi illeggibili. Ma Pasolini aveva cominciato come narratore lirico e finì come scrittore puro: si può smettere di leggere Amado mio e Petrolio, la sua opera capitale? Quando lessi Petrolio mi convertii, ne ero stanco, tornai a lui, lo amai – ben al di là d’una sua qualunque volontà di denuncia della cattiva «cosa pubblica».
Nessun interesse (mio torto) per le opere giovanili, quelle in dialetto. Letti e riletti Le ceneri di Gramsci e La religione del mio tempo. Poi ho smesso di prendere in mano quei due libri e ho scoperto una viscerale passione per Trasumanar e organizzar. Perché? Credo perché nel suo aver abbandonato ogni volontà di lirismo in questo libro vi sia la traccia di un sacrificio: quanto di lirico vi rimane è lancinante. Sono un lettore ferito da quei due versi: «Ahi, cane, fermo sul ciglio della via Prenestina / che si guarda di qua e di là prima di attraversare la strada».
Cosa vuol dire fatidico? Che determina una svolta? Ecco, proprio una svolta no: che un nome cambia il paesaggio in cui nasce, lo determina. Prima Pasolini non c’era, ora c’è
Di tanto in tanto qualche lettore riconosce tardivamente l’eccellenza delle sue recensioni, raccolte in Descrizioni di descrizioni. Giusto! Ma come trascurare Passione e ideologia del 1960? Come dimenticare alcuni dei saggi che vi sono raccolti, da «La lingua della poesia» a «La libertà stilistica»? Come trascurare quella decina di pagine che vi sono su Gadda, all’avanguardia nel riconoscere la statura di quel «grandissimo scrittore»? Ma come saggista non vi fu solo il Pasolini letterato. Ben più incisivo fu il Pasolini critico della società del suo tempo: dagli articoli sul «Corriere della Sera» ai numerosi libri che li raccolgono: mettendoli in sequenza mostrano una specie di intellettuale di cui negli anni Sessanta e Settanta vi furono altri esempi, ma nessuno di tale potenza, tanto analitica quanto icastica. Nessuno così controcorrente, nessuno così resoluto. Quando scrisse la poesia di Valle Giulia non mi piacque, non mi fu simpatico. Ma oggi? Come non dargli almeno un po’ di ragione? Come non condividere, almeno un poco, quella poesia che si piegava in modo così sfacciato verso la prosa?
Vidi il primo spettacolo tratto da un suo testo: era Affabulazione, ne fu protagonista Vittorio Gassman. Non mi piacque. Credo continuerebbe a non piacermi, chiunque lo mettesse in scena. Ma quando Mario Missiroli mise in scena Orgia con Laura Betti – come non accogliere in quella nudità, che vedemmo così aggressiva, una violenza che riguardava tutti noi e che nessuno aveva avuto il coraggio di riconoscere?
Non so se fu il primo scrittore a farsi regista. Pure, che grande regista egli fu! Quando uscì La notte brava di Mauro Bolognini e scoprimmo che nella sceneggiatura c’era il nome di Pasolini, non pensammo che avrebbe potuto, dietro la cinepresa, esserci lui stesso? E quando, subito dopo, vedemmo Accattone e Mamma Roma, non pensammo che quello che nei romanzi analoghi (sui ragazzi delle periferie romane) gli era riuscito in parte, come fosse un miracolo gli era riuscito con quei due film? E quando subito dopo uscì Il Vangelo secondo Matteo non pensammo, come realmente fu e come continua ad accadere, che quel film avremmo continuato a vederlo per sempre? All’estremità temporale opposta, Salò-Sade è un film sempre difficile, forse sgradevole, troppo fuori da ogni schema per poter essere da tutti accettato. Ma Salò-Sade è il più importante film sul fascismo italiano – o meglio sul fascismo come dimensione culturale, psicologica, fisica che riguarda l’essere umano – e tale resta.
Voglio concludere con una foto che mi hanno mandato oggi poche ore prima di scrivere questo sommario. È una foto scattata a Roma, in via Mariano da Santo, angolo via del Pigneto – trecento metri dalla circonvallazione Casilina. Vi è inciso il profilo del volto di Pasolini e vi sono quattro versi: «Non illuderti: la passione/ non ottiene mai perdono./ Non ti perdono neanch’io,/ che vivo di passione». Chi li avrà mai scritti? Non li avrà scritti uno di noi? Un qualunque cittadino romano, senza nome? Non è il disegno (il segno) di ciò che riguarda tutti, il segno dell’incancellabile? Al pari, voglio dirlo, delle testimonianze raccolte da Roberto Galaverni in un libro di prossima uscita per Mondadori. Si chiama P.P.P. Poesie per Pasolini. È un libro non meno sorprendente dell’anonimo profilo. Vi sono antologizzate poesie scritte dai maggiori poeti su Pasolini contemporanei: rivali e amici, amici e nemici. Cinque sono di Dario Bellezza. Quattro di Attilio Bertolucci. Quattro di Franco Fortini. Tre di Eugenio Montale. Tre di Andrea Zanzotto. Tre di Elsa Morante. Due di Edoardo Sanguineti. Due di Giorgio Caproni. Due di Maria Luisa Spaziani. Un poemetto di Biagio Marin. Dei nomi contenuti in questo libro ne ho fatto solo qualcuno. Ma avremmo potuto immaginare tanto?