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 2022  febbraio 22 Martedì calendario

Intervista alla moglie di Attanasio

ROMA È passato un anno da quell’attentato sanguinario. Luca Attanasio lasciò la sua vita a Kibumba, vicino alla città di Goma, in Congo, dove era stato nominato ambasciatore. Aveva 43 anni. E lei, la moglie Zakia Seddiki, lo ha voluto ricordare proprio oggi con una partita di calcio con la Nazionale cantanti, nel paese dove Luca Attanasio era nato, Limbiate, provincia di Monza e Brianza. E poi con un nuovo avvio della sua fondazione.
«In memoria di Luca la fondazione Mama Sofia da oggi opererà anche in Italia. Porterà avanti anche qui i valori di Luca».
Di cosa si occupa Mama Sofia?
«È nata per seguire i bambini di strada, in Congo, l’ultimo Paese dove Luca ha lavorato. Si occupava principalmente di dare loro istruzione e formazione».
E poi?
«Abbiamo allargato i progetti, con una rete in Congo di 14 organizzazioni impegnate nei diritti dell’infanzia. È stato Luca che ha creato questa rete».
Anche Luca era impegnato nella fondazione Mama Sofia?
«Lui la seguiva molto da vicino. Era un ambasciatore diplomatico, sì, ma soprattutto umano».
Avete già progetti italiani in programma?
«Sì. E ci occuperemo delle persone che soffrono, non soltanto di bambini. Ad esempio siamo stati contattati da Rita, una donna disabile siciliana. Lavoreremo perché possa vedere rispettati tutti i suoi diritti. Studiare, muoversi come gli altri, anche un aiuto psicologico».
Impegni e progetti molto importanti, utili a sostenere la mancanza di Luca, un anno dopo?
«Non sento la mancanza di Luca».
In che senso?
Non so come spiegarlo ma Luca è ancora qui con me. Non c’è fisicamente ma è ancora qui, continua a fare delle cose
«Non so come spiegarlo. Luca è ancora con me. Non c’è fisicamente ma è ancora qui. Continua a fare delle cose».
Che cosa?
«Tutto. Mi sostiene in ogni cosa che faccio. Continua a unire le persone».
Cosa intende?
«Unire le persone, come nella rete del Congo: è stato Luca a crearla. Adesso è rimasta unita».
Lei ha tre bambine piccole, come vivono la mancanza del padre?
«Vivono una mancanza fisica. Ma il padre c’è sempre».
Cosa vuole dire?
«A casa nostra tutti i giorni si parla di Luca. Questo aiuterà le bambine a superare la mancanza fisica del padre».
È vero che il giorno dell’attentato lei avrebbe dovuto essere con suo marito?
«Sì, lo seguivo spesso nelle sue missioni».
E invece?
Lo seguivo spesso nelle sue missioni, il giorno in cui è stato ucciso avrei dovuto esserci anch’io con lui
«Invece nei giorni della missione del Pam (Programma alimentare mondiale, ndr) mia madre aveva dovuto fare un viaggio in Marocco. E io sono rimasta a casa con loro. Non avevo mai lasciato le bambine da sole con le tate».
E non lo ha fatto nemmeno quella volta?
«No».
Un segnale?
«Già. Adesso loro hanno me».
Dopo l’attentato lei si è trasferita a Roma.
«Sì, era quello che avremmo voluto fare con Luca per il futuro delle bambine».
E adesso tornerà in Congo per seguire i progetto di Mama Sofia?
«È troppo presto».
A Roma la fondazione ha una collaborazione con la Comunità di Sant’Egidio?
«In realtà la collaborazione con loro è cominciata in Congo, con quei progetti che adesso dovranno andare avanti. Ma qui in Italia sicuramente ne faremo altri insieme con la Comunità di Sant’Egidio».
Lei è musulmana nata in Marocco, Luca era italiano ed era cattolico. Avete mai avuto problemi per la differenza tra le vostre religioni?
Il nostro rapporto era oltre la religione. C’è un essere superiore che ognuno chiama come vuole. Allah, Dio, che cosa cambia?
«No, non è stato mai importante. Avevamo un rapporto che andava oltre la religione. C’è un essere sopra di noi che ognuno può chiamare come vuole. Allah, Dio. Cosa cambia?».
Adesso sopra di lei c’è anche Luca...
«Che mi aiuta e mi sostiene ogni giorno».