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 2022  febbraio 22 Martedì calendario

Intervista a Stefano Accorsi



Un giudice stravolge la sua vita inappuntabile e di successo per salvare il figlio che ha investito senza volerlo il pupillo di un boss che proprio lui aveva sgominato in un’aula di giustizia. Le possibili ritorsioni sarebbero senza ritorno. E così s’inerpica in una strada tortuosa e senza uscita, mentendo agli amici, coinvolgendo persone care, depistando le indagini. Nulla di nuovo sotto questo cielo: se ne è occupato Nanni Moretti in Tre piani, genitore-giudice rigido con il figlio che causa un incidente. Coprire o meno i figli è il tema di partenza del Capitale Umano di Paolo Virzì, e de I nostri ragazzi, remake dell’olandese La cena, con Alessandro Gassmann e Luigi Lo Cascio. Protagonista assoluto della serie di Rai1 è Stefano Accorsi affiancato da un credibilissimo figlio restituito da Matteo Oscar Giuggioli. La regia è dell’esordiente Alessandro Casale.Accorsi, lei che cosa avrebbe fatto nei panni del suo giudice Vittorio Pagani?«Parliamo di un archetipo antico da tragedia greca, preso in prestito pure nei western. Un giudice integerrimo all’apice della sua carriera che per un caso della vita stravolge tutto quello in cui crede e questa metamorfosi non lo rende mai diabolico. In certi frangenti non si riflette, si agisce. Nella narrazione sofisticata, alla domanda complessa non si dà una risposta, basta la potenza dirompente dell’emotività che si scatena».Che cosa le ha lasciato Pagani?«Tanti interrogativi, ho figli adolescenti, un universo che può disorientare, rapporti che si costruiscono lentamente».Non è la prima volta che veste i panni di giudice.«Sì, ero il giudice Andrea Esposito ne Il clan dei camorristi. In quella occasione conobbi Raffaele Cantone e si sviluppò una certa amicizia tra di noi. Fu lui a farmi capire come fossero poco semplici i rapporti tra magistrati, pensieri diversi, correnti diverse».Perciò, da giudice prestato si sarà fatto una sua idea a proposito dei cinque referendum sulla giustizia. Che cosa voterà?«Deliberare su cose così delicate è compito di chi ha le competenze per farlo. Non vorrei che il referendum fosse un modo di non prendere decisioni in questo ambito. Io prima di votare voglio informarmi bene con chi ne capisce molto più di me».In questi giorni si ricorda il trentennale di Mani Pulite, che nei suoi chiaro-scuri ha cambiato l’Italia. Lei ha incarnato una felice trilogia in tema.«Soprattutto sono felice che sia stata vista da tanti ragazzi e in tanti Paesi del mondo. Ho vissuto quell’epoca con speranza anche nelle situazioni più complesse. Nella serie abbiamo affrontato i fatti dal di dentro, non siamo rimasti sulla porta, sia per quanto riguarda Fininvest, sia per il Palazzo di Giustizia. Credo che la trilogia, 1992-’93-’94, abbia contribuito a far conoscere un pezzo di storia che a scuola non si studia».Volendo girare una trilogia su questi ultimi trent’anni, su che cosa punterebbe?«Sui social che narrativamente hanno un peso troppo tralasciato. Eppure hanno condizionato la vita politica e sociale in tutto il mondo. Trump non sarebbe stato eletto senza social, la Lega di Salvini non sarebbe arrivata al 30%. E i social hanno anche influenzato la stampa. Più loro alzano la posta più i giornali si mettono sulla scia. I post sono divisivi ed esasperano il meccanismo della comunicazione. Le fake news sono molto più condivise delle notizie accertate. Mai stati tanto disinformati come in questo momento in cui abbiamo tutto sotto mano».Impossibile tornare indietro. Che fare allora?«Essendo uno strumento potentissimo, andrebbe amministrato da un governo creato appositamente. Non può stare tutto nelle mani di un solo uomo che si arricchisce rispettando solo la legge commerciale della pubblicità».I social condizionano anche la politica degli Stati? Potrebbero essere entrati nella crisi Russia-Ucraina?«Imprescindibile il loro apporto. I mille e più colpi sparati in Donbass, quella finta provocazione ha avuto un peso enorme. Putin è molto amato dai russi, con questa operazione sta salendo nel gradimento dei suoi compatrioti. Spero solo che non voglia alzare troppo l’asticella. Spero tanto sia solo una strategia dimostrativa». —