Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2022  febbraio 22 Martedì calendario

Di cosa hanno paura gli italiani. Sondaggio

Ad alcuni potrà sembrare curioso che un presidente del Consiglio – molto celebrato – impegnato a fronteggiare un momento di importante transizione tra le molte iniziative in deficit legate agli ultimi due anni di pandemia e il prossimo futuro di sviluppo e crescita strettamente connesso agli investimenti del Pnrr, perda il 4,3% nell’indice di fiducia nell’arco di 20 giorni passando dal 52,1% al 47,8%. Del resto, interrogando i cittadini sulle priorità su cui vorrebbero il governo impegnato in prima linea compaiono il lavoro e l’occupazione in tutte le sue declinazioni al primo posto (20,0%), seguito dal “caro bollette” al 15,2% assoluto new entry nel ranking. Se a questo si sommano l’indicazione dell’inflazione generale (7,6%) – altro new entry – e la necessità di sanare il gap del carovita per i cittadini maggiormente in difficoltà (4,7%), la classifica subisce una modifica che porta in vetta l’importante reclamo dei cittadini nei confronti dell’aumento del costo della vita. Con le indicazioni di ben 1 cittadino su 3 (27,5%) emerge a chiare lettere quello che potrebbe essere interpretato come uno dei possibili motivi di criticità legati al calo di consenso del premier finora inattaccabile.
Il tema economico viene chiamato in causa anche come richiesta diretta di un impegno per la ripresa economica nazionale (14,9%).
Tutte le altre indicazioni, compreso l’intervento nel campo della sanità per migliorare il presidio territoriale aiutando ed incentivando il lavoro dei medici di base (6,9%) e il contrasto al Covid (2,3%), registrano valori inferiori all’8,0%. È verosimile che l’impatto dei buoni dati sulla pandemia abbiano spostato le attenzioni sulle pure questioni economiche, tuttavia la classifica delle priorità e l’indice di fiducia del premier evidenziano un segnale che a sua volta chiama in causa la speranza e la fortuna di puntare sulle capacità e le competenze del nostro presidente del Consiglio, Mario Draghi.
Da qui il richiamo alla politica chiamata ad agire non solo sui fattori economici, ma anche sulla necessità di mettere al centro proposte per la pianificazione di un Italia post Covid, come già avviene in molti Paesi del mondo. E siccome come scrisse il premio Nobel, Paul Robin Krugman, «la politica determina chi ha il potere, non chi detiene la verità», osservando le evoluzioni delle intenzioni di voto ci siamo esercitati in alcune espressioni di calcolo per comprendere come potrebbero andare le elezioni politiche nazionali se si votasse domani.
Come si sa il nuovo Parlamento sarà ridimensionato a 400 deputati e 200 senatori e, senza addentrarci nei puri conteggi, abbiamo previsto due simulazioni. Nella prima i computi sono stati realizzati sulla base dell’attuale legge elettorale che prevede uno sbarramento al 3,0%, mentre nella seconda su un proporzionale puro con sbarramento al 4,0%.
In entrambe le situazioni, non avendo a disposizione le distribuzioni dei candidati sul territorio, si è proceduto con una ripartizione equa di tutti i partiti sulle diverse aree a seconda della percentuale raggiunta nelle intenzioni di voto. I risultati ottenuti offrono delle indicazioni importanti. Infatti, a fronte di un prezzo superiore che paga il centrosinistra nelle sue tante scomposizioni, anche per il centrodestra la vittoria non è così immediata nonostante ci siano ben 9,2 punti di vantaggio a suo favore.
Con l’attuale sistema elettorale, infatti, avendo garantito l’accesso per le minoranze linguistiche e una soglia di sbarramento del 3,0%, ben 8 formazioni politiche riuscirebbero a garantirsi dei seggi. Inoltre, all’interno della coalizione di centrodestra molte sono le formazioni al di sotto dell’1% attualmente presenti con il loro simbolo che non potrebbero contribuire alla somma della percentuale su cui si effettua la distribuzione dei seggi. E così lo schema presenterebbe una sfida alla maggioranza con 199 seggi per il centrodestra alla Camera e 99 al Senato, rispetto al Pd in alleanza con il Movimento 5 Stelle, Mdp-Articolo 1 e Sinistra Italiana, che ne realizzerebbe 164 alla Camera e 82 al Senato.
Al di fuori dei due poli troviamo Azione di Calenda con più Europa e la Federazione dei Verdi che assommano ben 35 seggi alla Camera e 17 al Senato. Nel secondo esercizio con il proporzionale puro e una soglia di sbarramento al 4,0%, senza calcolare alcuna deroga, solo 6 partiti avrebbero accesso al Parlamento e i seggi dei 3 partiti del centrodestra sommati porterebbero ad una maggioranza netta: 216 alla Camera e 108 al Senato.
A questo punto a partire da tutte queste osservazioni è evidente che sia Mario Draghi e i componenti del governo, sia i partiti e i loro leader dovranno gestire e comunicare le evidenze dell’uso delle risorse economiche e rispettare e attuare i programmi proposti per il futuro.
Tuttavia, entrambe le parti nel promuovere i loro percorsi, corrono il rischio di trovarsi sulla linea del conflitto. Chissà che non sia proprio la necessità di sostenere e portare avanti tutte le iniziative connesse al Pnrr e non solo, ad avvicinare governo e partiti nel raggiungere quell’obiettivo che oggi appare ancora lontano: quello di una politica trasparente partecipata e più vicina all’individuo, esorcizzando lo spettro dell’astensione con cui si faranno i conti già a partire dai referendum di questa primavera appena ammessi. —