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 2022  febbraio 21 Lunedì calendario

I guai della Bbc

Le prime parole pronunciate via etere avevano più a che fare con il gergo tecnico che con la storia: «Due-Lo, Qui parla Marconi House, Londra». Erano le sei di sera del 14 novembre 1922, la Bbc iniziava le trasmissioni citando il codice dell’autorizzazione a trasmettere («Lo» sta per Londra) e la sede provvisoria vicino al Covent Garden, oggi trasformata in residence di lusso. I dipendenti erano quattro, non c’era nessun giornalista e il giornale radio (la notizia di apertura parlava della rapina a un treno) veniva preparato raccogliendo i dispacci dell’agenzia Reuters.
Per la più antica e più importante emittente pubblica nel mondo il 2022 è un’occasione di celebrazione. Ma l’anno del centenario è iniziato con un avviso di tempesta. In gennaio la segretaria alla Cultura Nadine Dorries ha annunciato che la prevista revisione del canone pagato dai cittadini non ci sarà, l’ammontare (fissato a 159 sterline) rimarrà bloccato e alla scadenza del 2027 l’attuale convenzione non sarà rinnovata con conseguente perdita del canone. La Bbc, ha concluso, dovrà trovare nuove fonti di finanziamento.
È l’ultimo episodio di un braccio di ferro tra l’attuale governo conservatore e uno dei colossi tra i media mondiali: quasi 7 miliardi di euro il fatturato, trasmissioni in 43 lingue, oltre 400 milioni di spettatori settimanali a livello internazionale. Considerata in tutto il mondo uno dei bastioni della libera e obiettiva informazione, la Bbc ha, da sempre, faticato a gestire i rapporti con i politici al potere a Londra, che hanno il non trascurabile privilegio di controllare le sue fonti di finanziamento.
Ai tempi della Guerra fredda Winston Churchill era convinto che l’emittente fosse in mano «ai rossi» e sono rimaste famose le sfuriate di Margaret Thatcher contro l’atteggiamento dell’informazione pubblica durante la guerra della Falklands. Per suo marito Denis, Bbc (British Broadcasting corporation, società britannica di trasmissioni) stava in realtà per British bastard Corporation. E quando si è trattato di decidere se rimanere o no nell’Unione Europea, per la destra inglese l’acronimo è diventato Brexit Bashing Corporation (società per colpire la Brexit).
Litigi e minacce, a dire la verità, non hanno riguardato solo i conservatori. Reportage e analisi sulla guerra in Irak, con l’accusa a Tony Blair di aver ingannato i cittadini britannici, aprirono una frattura tale con i laburisti da poter essere risolti solo con le dimissioni dei vertici dell’emittente. Ma nell’ultimo ventennio e soprattutto dal 2010, ha scritto David Hendy, autore di una recente storia della Bcc («Bbc, a people’s history») «gli attacchi si sono fatti più persistenti, organizzati, corrosivi e soprattutto più distruttivi». I governi laburisti, spiega Hendy, sono perennemente insoddisfatti perché accusano la «zietta» («auntie» è uno dei soprannomi della società) di non fare abbastanza per riequilibrare l’orientamento di destra proprio di gran parte della stampa popolare inglese. Da parte loro «i governi conservatori hanno mostrato una più profonda sfiducia ideologica», scrive Hendy, «percependo qualcosa di fastidiosamente collettivista nell’intero atteggiamento e negli obiettivi della Bbc». Anche per questo Mark Thomson, per otto anni direttore generale dell’emittente e poi numero uno del New York Times, sostiene che «la Bbc ha di fronte la minaccia più grave della sua storia».
LOTTA CONTINUA
L’attuale premier, Boris Johnson, con la Bbc è impegnato da anni in un duello senza quartiere. Negli ultimi anni ha bloccato ogni adeguamento del canone all’inflazione, in più ha messo a carico della casse dell’ente l’esenzione da ogni pagamento per gli over 75 sotto un determinato livello di reddito. L’operazione è costata quasi 300 milioni di euro, trovati diminuendo il personale giornalistico di circa 400 unità (su 6mila). Sotto la sua guida un’ala del partito conservatore ha proposto di alleggerire le sanzioni per il mancato versamento del canone: da reato penale per cui si può andare in prigione a semplice illecito amministrativo. Alla fine non se ne è (per il momento) fatto nulla, ma il significato simbolico del gesto è rimasto.
A guidare l’ente Johnson ha messo Richard Sharp, un suo buon amico e consulente, ex banchiere di JPMorgan e Goldman Sachs, generoso contributore alle finanze del partito conservatore. A Johnson non è invece riuscito l’obiettivo di nominare un altro suo alleato alla guida di Ofcom, l’autorità di regolazione del settore radio-televisivo: Paul Dacre, ex direttore del Daily Mail, ha rinunciato a concorrere per l’incarico (ancora scoperto) dopo una serie di polemiche sulla procedura di selezione. Per la Bbc la sua nomina sarebbe stata un presagio di nuove difficoltà: qualche anno fa era stato lui ad aprire una polemica che aveva fatto rumore, accusando la Bbc di avere un orientamento «marxista». Ora c’è molta curiosità per l’addio, previsto in questi giorni, di Fran Unsworth, 40 anni di carriera interna, responsabile dei servizi giornalistici. La sua sostituzione sarà un segnale importante per stabilire l’aria che tira intorno all’emittente pubblica.
ARRIVANO I GIGANTI
Nel frattempo, a dare un po’ di respiro alla Bbc è stata, paradossalmente, la pandemia: nel momento di difficoltà l’intero Paese è tornato a riunirsi intorno a una delle sue istituzioni, non così lontana, per prestigio e tradizione percepita, dalla monarchia. Gli annunci più importanti legati al Covid sono stati seguiti da non meno di 20 milioni di persone, il telegiornale delle 18, il più popolare, è ridiventato un appuntamento imperdibile per l’inglese medio. Nei giorni dell’introduzione delle prime misure di distanziamento la percentuale di case in cui si guardava la Bbc è passata dal 91 al 94%, il sito internet ha segnato un record di 81 milioni di visite.
Alcuni momenti sono già diventati un simbolo: la già citata storia della Bbc di David Hendy ricorda il 19 dicembre del 2020, un sabato, in cui Boris Johnson andò in tv per spiegare le draconiane restrizioni che avrebbero impedito la normale celebrazione del Natale. Pochi minuti dopo andò in onda, tra mille precauzioni, la finale di «Strictly Come Dancing», una gara di ballo tra celebrità che in Italia è stata importata con il titolo di «Ballando con le stelle». Gli ascolti da record segnarono una trasmissione trasformata dalle circostanze in una specie di celebrazione: «Nel 2020 i sabati sera sono stati un deserto, le esperienze collettive quasi inesistenti», scrisse il giorno dopo il critico televisivo del Guardian. «Avevamo bisogno di qualcosa intorno a cui riunirci. Avevamo bisogno di gioia. Questa trasmissione è stata creata per darcela. Grazie a Dio ci è riuscita».
È anche grazie al fatto di rappresentare un simbolo che l’emittente britannica spera di affrontare l’altra grande minaccia, quella impersonata dai colossi della televisione non lineare come Netflix e Amazon. Tra le società pubbliche la Bbc è stata probabilmente la prima a tener conto delle novità legate al mondo interconnesso. La sua piattaforma per le visualizzazioni digitali, l’iPlayer, risale, nella prima versione, addirittura al 2007, lo stesso anno della presentazione dell’i-Phone. L’app è ancora la più scaricata, ma nelle fasce di popolazione giovanile è ormai stata largamente superata da quelle dei rivali, anche se queste offrono solo contenuti a pagamento. E nonostante la possibilità di accedere a un pubblico globale come quello di lingua inglese anche la Bbc non riesce a tenere il passo in termini produttivi. L’anno scorso, ricordava un analista del settore, la Bbc ha speso per la produzione di contenuti 2,8 miliardi di euro. Un decimo di quanto possono permettersi Netflix e Amazon.