Corriere della Sera, 21 febbraio 2022
Giochi perfetti
PECHINO Ventimila lanterne rosse hanno illuminato la notte del Nido d’uccello per la chiusura dei Giochi. Xi Jinping ha sfoggiato uno sguardo conciliante sotto la mascherina rossa, in mondovisione. La sceneggiatura ideata da Zhang Yimou ha cercato di replicare la magia dell’estate 2008, l’Olimpiade che celebrava la grande apertura cinese. Ma neanche la macchina del tempo del regista delicato e geniale ha potuto far dimenticare che quella di allora era una Cina orgogliosa di mostrare la sua compartecipazione alle vicende del mondo; quella di oggi è una superpotenza sospettosa del resto del mondo, che a causa (anche pretesto) della pandemia si è richiusa in se stessa.
Un’Olimpiade come nessun’altra, «semplice, sicura, splendida, insieme per un futuro condiviso» aveva detto in apertura Xi Jinping. La sua Cina ha mantenuto la promessa. Nel bene e nel male. Con la forza di un sistema economico che sostiene e assorbe qualsiasi spesa (tutto fa Pil), Xi è riuscito a imporre Pechino come capitale olimpica del globo, prima città a permettersi il lusso di raddoppiare l’onore e l’onere di ospitare i Giochi invernali 2022 dopo quelli estivi del 2008. Un Paese nominalmente comunista ha portato il circo miliardario della neve in una megalopoli «moderatamente prospera» (copyright del Partito) dove non nevica quasi mai; ha mostrato al mondo la prodezza cinese nel campo delle infrastrutture, con impianti modernissimi come l’Ice Ribbon e le piste dello sci a mezz’ora di ferrovia ultraveloce, costruita alla modica cifra di 9 miliardi di dollari. Non si tratta di uno spreco, di una cattedrale nel deserto, assicurano i tecnocrati che vogliono aprire un mercato interno del tempo libero invernale da 300 milioni di consumatori.
Xi ha dato anche prova di saggezza manageriale, facendo riciclare lo stadio del nuoto, quel bellissimo Water Cube per noi indimenticabile teatro dell’oro 2008 di una ventenne Federica Pellegrini: la struttura è stata «congelata» ed è diventata l’Ice Cube del curling, dove la coppia azzurra Constantini-Mosaner ha trasformato in oro un gioco che prima conoscevamo solo per lo stralunato film «La Mossa del pinguino». Ha avuto anche fortuna meteorologica, Xi: dopo aver fatto riempire di neve artificiale le piste in montagna, con tecnologia italiana a basso impatto ambientale, ci ha potuto mostrare la meraviglia del bianco naturale caduto in abbondanza su Pechino. Un’Olimpiade come nessun’altra, con orari rispettati al secondo e campi di gara perfetti.
Spetta ora a Milano-Cortina attrezzarsi per non sfigurare nel paragone, tra quattro anni. Il primo indizio di come saranno i Giochi italiani nel 2026 è venuto con l’immagine stilizzata della Galleria di Milano, proiettata nel Nido d’uccello. La bandiera olimpica è stata portata in Italia dai sindaci Giuseppe Sala e Gianpietro Ghedina. «Ci metteremo anima e atmosfera», dice il presidente del Coni Malagò. Ma Pechino 2022 è stata unica anche per aspetti spiacevoli. Nell’era del coronavirus, Xi voleva salire sul podio più alto come il primo e l’unico leader mondiale capace di arrestare i contagi. Questi Giochi sono stati costretti in un «cerchio chiuso», vetrina della tolleranza zero verso il Covid-19 che dopo Wuhan 2020 ha evitato alla Cina «il caos che ancora si vede in Occidente» (così ripete instancabile la propaganda). Grandi attori (circa tremila atleti) e comparse (60 mila tra accompagnatori, allenatori, giudici, dirigenti sportivi, cronisti e una massa di volontari e personale logistico cinesi) sono stati segregati dalla vera e inavvicinabile Pechino in tante microbolle così strette da togliere l’aria. Nella quarantena olimpica, i tempi sono stati scanditi da tamponi quotidiani; misurazione della temperatura all’entrata e all’uscita di ogni spazio chiuso; obblighi di registrazione di ogni movimento su app burocratiche e lente; perquisizioni («allarghi le braccia, svuoti le tasche, si giri, esca e non rientri che altrimenti si ricomincia») e passaggi al metal detector condotti con uno zelo che è scivolato spesso in scortesia probabilmente non casuale.
Questa tolleranza zero ha avuto successo sotto l’aspetto strettamente sanitario, perché in tre settimane di Giochi si sono contati meno di 500 positivi nella super-bolla. Ma perché proclamare «Insieme per un futuro condiviso» in decine di migliaia di manifesti se poi li si affiggono su palizzate e grate metalliche chiuse con pesanti lucchetti? Forse non è stato un eccesso di precauzione antivirale, ma il virus dell’incomprensione del mondo esterno che si è impadronito della superpotenza cinese.
Un’Olimpiade come nessun’altra.