Corriere della Sera, 21 febbraio 2022
I reduci di Piazza Maidan
Formidabile, quell’anno: «Ero un ragazzino, preparavo pentoloni di zuppa calda per tutti. Facevo i turni di notte sulla barricata, presidiavo la Deutsche Bank. A volte ci dormivo sopra, dieci sottozero. Che tempi…».
Oggi lui non c’è: «Troppo lavoro. Sono nella moda, viaggio, sto partendo per Milano. E per la piazza ormai non passo da mesi. Però la mia piccola resistenza quotidiana la faccio ancora: mi rifiuto di lavorare coi russi». Allarmi, siam fashionisti: a 25 anni Oleksandr Melnik è sceso dalla barricata, «poi sono arrivati i fascisti, gli affaristi, tutta un’altra roba», e ora la rivoluzione russa, eccome se russa, se ne sta nascosta, coperta, a pisolare. Per la stanchezza, la delusione, la paura. Si celebra l’ottavo anniversario della rivolta di Maidan, la Giornata dei 100 Eroi Celesti uccisi dai cecchini delle forze speciali, e la piazza dell’indipendenza è quasi vuota: qualche reduce che dal microfono grida «difendiamo il Donbass!», una piccola folla che risponde «gloria all’Ucraina!», in lontananza gli spari a salve del picchetto d’onore, un pallido e stanchissimo Volodymyr Zelensky che passa a dare un saluto presidenziale, «l’impresa dei 100 sia d’insegnamento a chi continua a lottare per il futuro…».
Celebrazioni
Una cosa accomuna russi e ucraini, il gusto per le celebrazioni tonitruanti, ma stavolta il più drammatico degli otto anniversari della Rivoluzione anti-Putin è anche il più disertato. «Nemmeno i miei amici sono andati in piazza», dice Oleksandr: «Quest’anno è pericoloso. Ci sono sempre gli allarmi bomba, si teme la provocazione dei russi. Meglio stare alla larga».
Se l’Ucraina non è ancora morta, come intona l’inno nazionale, un grazie dovrebbe dirlo anche a Putin. Altro che dipingerlo coi baffetti alla Hitler: nel 2014, questo Paese era poco più che un’espressione geografica. E gli spari dei russi hanno cambiato molte cose: guardate la nostra bandiera, ha detto un giorno Zelensky, trent’anni fa era vietato sventolarla, ora chi potrebbe rinunciarvi? «Quand’è che aumenta un’identità nazionale – dice l’accademico Igor Semyvolos, una delle voci più ascoltate a Kiev —, se non in momenti tragici come Maidan, la Crimea, il Donbass? Con la rivolta finì del tutto il vecchio ordine russo, e la nazione acquistò ancora più significato. Verso la Russia c’era sempre stato comunque un atteggiamento positivo. Ma quel che sta accadendo ora è un’altra cosa: i russi sono sempre considerati del nostro ceppo, il regime russo no». Perfino nella lontana Kharkiv, dove metà degli abitanti nel 2014 aspettava le truppe russe con le bandierine di benvenuto, secondo un sondaggio meno del 15% degli ucraini russofoni, adesso, gradirebbe i tank di Mosca.
Il sindaco di Kharkiv
«Questo non significa che qui amano Kiev», precisa il sindaco Hennadij Kernes: come i reduci di Maidan, anche nell’Est hanno visto crescere la corruzione e il perpetuarsi degli oligarchi, insomma «uno Stato non si costruisce solo cantando gli inni in piazza. L’estate scorsa, mentre si festeggiavano i 30 anni d’indipendenza da Mosca, Putin ha concesso il diritto di voto agli abitanti delle repubbliche autoproclamate di Donetsk e di Lugansk: «Una cosa gravissima che è stata accettata quasi con rassegnazione», dice Oleksandr. Le divisioni tra i leader nati dalla rivolta, le inchieste sull’ex presidente Poroshenko, lo sprezzo con cui Zelensky ha sempre parlato delle barricate: tutto ha contribuito alla disillusione dei reduci.
Il sospetto
«Che ci va a fare Zelensky a Maidan?», s’indigna Oleksandr. Che sotto sotto si pone una domanda diffusa: non è che la guerra di Putin fa comodo anche a questa leadership ucraina, al minimo della popolarità? «Una guerra non è mai una “buona opportunità” – risponde Semyvolos —. E quando dicono queste cose, i vecchi manifestanti hanno un approccio ancora un po’ troppo naif. Certi problemi, come la corruzione, sono molto più complessi. E non dimentichiamo che pure quelli sono un’eredità sovietica». Maidan però ricompatta. Unisce. E anche vuota, resta il santuario della nuova Ucraina. È sera, quando i reduci lasciano la piazza cantando «i nostri nemici spariranno come rugiada al sole»: da stamattina, si vedrà.