la Repubblica, 21 febbraio 2022
Giallo sulla Costituzione
Sorpresa: la Costituzione che tutti conosciamo (o almeno dovremmo), quella che si studia già sui banchi di scuola, che campeggia sulla scrivania del presidente Mattarella e in mille biblioteche, insomma il documento pubblicato sulla Gazzetta ufficiale e promulgato da Enrico De Nicola il 27 dicembre 1947 – ecco, quel testo non coincide con il testo approvato cinque giorni prima dall’Assemblea costituente. O perlomeno non del tutto, non perfettamente. In qualche misura è un falso, è un esemplare difforme dall’originale. Eppure per oltre settant’anni non ce ne siamo accorti, nessuno fin qui ci aveva fatto caso.
La scoperta si deve a un consigliere parlamentare e a un documentarista, entrambi con esperienze universitarie, entrambi in servizio nei ruoli del Senato: Andrea Carboni e Gabriele Matteo Caporale. In un saggio in corso di pubblicazione sulla rivista giuridica dell’Isle ( Rassegna parlamentare ), Carboni e Caporale espongono i risultati d’una ricerca condotta negli archivi, consultando l’originale della Costituzione firmato in triplice copia dal capo provvisorio dello Stato e mettendolo a confronto con le versioni stampate sulla Raccolta ufficiale e sulla Gazzetta. Ne viene fuori una serie di difformità fra un testo e l’altro, che investe 26 articoli (su 139) e tocca complessivamente 30 commi della Costituzione.
Diciamolo: è uno scoop giuridico, più fragoroso di molti colpi giornalistici strombazzati in lungo e in largo. Non tanto per la sostanza normativa di quelle variazioni, quasi mai davvero rilevante; quanto per il disorientamento che ti lascia addosso la scoperta. Siccome la Costituzione rappresenta la carta d’identità di ciascun popolo, ne riflette la storia e la cultura, è un po’ come avvedersi all’improvviso che abbiamo in faccia un neo, o una sottile cicatrice della quale non sospettavamo l’esistenza. Qual è il falso, quale il vero? E quale immagine dobbiamo prendere per buona, il volto che ci ha donato in sorte Madre natura oppure la sua fotografia ufficiale, benché alterata in photoshop?
A esaminarle in controluce, le divergenze fra i testi della Carta costituzionale si dispongono in tre categorie. C’è anzitutto un gruppo che comprende difformità d’ordine tipografico: per esempio l’uso dell’apostrofo («puo’» anziché «può», «responsabilita’» invece di «responsabilità»); la soppressione dell’accento circonflesso, ampiamente utilizzato dal testo originale per marcare la forma plurale dei termini in -io (i «Principî fondamentali» con cui s’apre la Costituzione); l’accento grave in luogo dell’accento acuto (nel testo pubblicato in Gazzetta ufficiale «nè» diventa spesso «né»).
Nulla di significativo, e d’altronde le prassi ortografiche mutano nel tempo, così come muta la lingua nel suo insieme. Perciò chi legga il testo dell’articolo 114 della Costituzione – emendato nel 2001 – vi troverà il termine «province», mentre i costituenti scrivevano «provincie»; col risultato che la nostra Carta ospita adesso entrambe le forme in questione.
Il secondo gruppo di divergenze concerne l’uso della virgola, talvolta omessa rispetto al testo originale, più di sovente aggiunta. Si dirà: e allora, cosa cambia? Sulla punteggiatura è meglio mostrarsi generosi, diceva Totò in un celebre dialogo con Peppino De Filippo ( Totò, Peppino e la malafemmina ): «Punto, punto e virgola, un punto e un punto e virgola. Altrimenti dicono che noi siamo provinciali, che siamo tirati».
Ma non è così, giacché le virgole esprimono unità di senso, dunque possono alterare il significato della frase. Wikipedia ne offre un’esemplificazione. Se dico: «Il fratello di Viviana che vive a Londra lavora in una banca d’affari», significa che Viviana ha più di un fratello. Se invece dico: «Il fratello di Viviana, che vive a Londra, lavora in una banca d’affari», bisognerà desumerne che Viviana ha un fratello solo.
E c’è infine un terzo gruppo di discrasie, quelle di maggior spessore. L’indagine di Carboni e Caporale ne attesta due manifestazioni. Nell’articolo 39, dove «secondo le norme stabilite dalla legge» diventa «secondo le norme di legge». Nell’articolo 13, dove il testo promulgato reca l’espressione «per atto motivato dell’autorità giudiziaria», mentre il testo pubblicato tanto nella Gazzetta quanto nella Raccolta recita «per atto motivato dall’autorità giudiziaria». E qui la differenza non è di poco conto, perché l’articolo 13 disciplina le misure restrittive della libertà personale, insomma l’arresto, le perquisizioni e via elencando. Con una garanzia: serve l’intervento della magistratura. Ma a leggere le parole usate dai costituenti, ne deriva che sia il provvedimento restrittivo, sia la sua motivazione, devono essere raccolti in un unico documento adottato da un giudice. Viceversa, nella variante che ci è pervenuta, potremmo anche desumerne che il provvedimento venga deciso in via d’urgenza da un funzionario, mentre il giudice ne scriverà poi la motivazione.
Sicché, alla fine della giostra, ti sale in bocca una domanda: com’è potuto accadere? Perché all’epoca non c’erano i computer, non c’era il copia-incolla, saremmo tentati di rispondere. Gli errori di trascrizione erano perciò moneta corrente. Ma è solo una parte della spiegazione. L’altra parte ha a che fare con la malattia del troppo, che allora come oggi affligge il nostro ordinamento. Dove non basta un tipo di pubblicità legale, ne pretendiamo due. Sulla Raccolta ufficiale degli atti normativi (con funzioni di certezza) e sulla Gazzetta ufficiale (con funzioni di notorietà). Come se la legge pubblicata in Gazzetta non sia a sua volta certa, come se la Raccolta sia invece inconoscibile. E come se il doppio lavoro cui viene costretta la tipografia di Stato non sia fonte di errori e di refusi.
Sennonché il dubbio è ancora un altro: a quale delle due Costituzioni dobbiamo riferirci, qual è insomma la regola? In un saggio da poco in libreria ( La vita verosimile, Luiss University Press), il sociologo Carlo Carboni osserva come ogni falsa credenza divenga verità, se accettata ormai da lungo tempo. È avvenuto per la scoperta dell’America (il navigatore islandese Leif Erikson ci arrivò mezzo millennio prima di Colombo), per la Bibbia di Gutenberg (non è affatto il primo libro stampato con la tecnica dei caratteri mobili), in altre innumerevoli occasioni. Avviene adesso per la “falsa” Costituzione, ormai ci siamo affezionati. Con una postilla, tuttavia: ai 556 membri dell’Assemblea costituente è doveroso aggiungere un nome sconosciuto: quello del tipografo, artefice della Carta a sua (e nostra) insaputa.
La firma A Palazzo Giustiniani il presidente Enrico De Nicola firma la Costituzione assistito dal presidente dell’Assemblea Costituente Umberto Terracini