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 2022  febbraio 21 Lunedì calendario

Più gas meno pale. I paradossi nel mar di Sicilia

PALERMO – Visto con gli occhi di Legambiente è un paradosso bello e buono: «Mentre si bloccano i parchi eolici, in nome della transizione ecologica si aumenta la produzione di idrocarburi», lo sintetizza il presidente dell’associazione in Sicilia, Gianfranco Zanna. Nel mare a sud dell’isola, infatti, la settimana appena trascorsa ha spinto la produzione energetica verso le fonti non rinnovabili: giovedì il decreto legge Energia ha scommesso sui giacimenti già attivi nel mare a sud di Gela per far aumentare la dotazione di gas nazionale e calmierare così le bollette per le imprese energivore, dopo che martedì l’Assemblea regionale siciliana aveva invece dato parere contrario alla realizzazione del più grande parco eolico galleggiante d’Europa, proposto da Toto Holding per il tratto di mare a 45 chilometri delle Egadi.
Quella che si gioca sugli idrocarburi è una partita che vale circa due miliardi di metri cubi di gas all’anno, più della metà della produzione attuale. Al momento, infatti, i giacimenti italiani ne estraggono 3,2 miliardi: il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani vuole portare quella quota a 5 miliardi senza nuove trivellazioni, puntando cioè sull’aumento della produzione da impianti già in funzione. La gran parte della quota aggiuntiva dovrebbe arrivare dalla piattaforma Cassiopea, un impianto gestito dall’Eni nel mare che si trova di fronte alla provincia di Caltanissetta. «Oltretutto – protesta il portavoce di Europa Verde, Angelo Bonelli – in questo modo sarà impossibile centrare l’obiettivo di tagliare del 70 per cento entro il 2030 il ricorso alle fonti fossili e ovviamente anche quello di abbandonare del tutto gli idrocarburi entro il 2050».
La disputa, però, è estremamente complessa. Per sfruttare il gas proveniente Cassiopea e dalla vicina Argo, anch’essa dell’Eni, l’azienda del Cane a sei zampe sta costruendo un impianto di trattamento a Gela con un investimento da 700 milioni in tre anni, e i sindacati tifano ovviamente per l’aumento della produzione: «Grazie a questa struttura – stima la Filctem-Cgil di Caltanissetta – saranno creati circa cento posti di lavoro per la costruzione dell’impianto e quindici impieghi a regime nella gestione della struttura». La presenza degli impianti in mare, fra l’altro, consente al Comune di puntellare il bilancio con gli incassi provenienti dall’Imu per le piattaforme in acqua: «C’è stata una battaglia legale per ottenerla, ma abbiamo vinto – sorride il sindaco, Lucio Greco – incassiamo ogni anno circa 250 mila euro. In passato siamo arrivati anche a un milione all’anno». Proprio Gela, però, è teatro di un paradosso analogo: «Pochi anni fa – ricorda Zanna – la soprintendenza bloccò un impianto eolico in mare perché deturpava il paesaggio. Le trivelle vanno bene, le pale eoliche no».
Anche l’impianto progettato per le Egadi, d’altro canto, vede in campo posizioni contrastanti. Se infatti Legambiente, Wwf e Greenpeace tifano per il parco eolico, contro il progetto si sono schierati invece i Comuni della zona, guidati dal sindaco di Trapani Giacomo Tranchida e da quello di Favignana, l’ex presidente della commissione Antimafia Francesco Forgione: «Un impianto del genere – osserva Tranchida – impatterebbe su pesca, biodiversità e flussi di navigazione. Di più: in quella zona ci sono i nostri tesori archeologici». Proprio facendo leva su quest’ultimo punto la questione è arrivata sui banchi del Parlamento regionale, dove l’ha portata il presidente della commissione Lavoro dell’Ars, il leghista Luca Sammartino: «Il sito in cui potrebbero sorgere i parchi eolici – ha scritto nella mozione, poi approvata – copre l’area del Banco Scherchi e del Banco Talbot, formazioni rocciose sottomarine che nel corso dei secoli hanno causato l’inabissamento di navi e custodiscono, tra le altre, le vestigia di imbarcazioni risalenti all’epoca degli scambi con l’antica Cartagine».
Renexia, la controllata del gruppo Toto che ha presentato il progetto, si dice però sicura del contrario: «In quel tratto di mare – garantisce l’azienda – i ricercatori non hanno individuato alcun sito di interesse storico e archeologico. Questo dato è stato certificato dall’Istituto Anton Dorhn». L’ultima parola spetta al ministero. Ma il paradosso siciliano è già nella cronaca dell’ultima settimana.